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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 29.1926

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Bollettino bibliografico
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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

I. - Teorie, critica dell’arte, Storia generale.
Paolo D’Ancona, La miniature italienne du Xme
au XVIme siede. Paris et Bruxelles, G. van
Oest, 1925, con 126 riproduzioni di cui 4 a co-
lori.
Il nome di Paolo D’Ancona è ben noto nella storiografia della
miniatura. Oltre la sua opera monumentale sulla miniatura
fiorentina, vari articoli lo avevano additato come conoscitore
delle scuole senese e bolognese. Con la consueta probità egli
ha ora tratto profitto dagli studi di Adolfo Venturi, del Toe-
sca, dello Hermann, del Serafini, e, si può ben dire, di tutti
coloro che l’hanno preceduto. Perciò noi abbiamo sott’occhio,
accuratamente vagliate, le notizie relative a miniature e mi-
niatori italiani, e ai loro aggruppamenti per scuole e per tempo,
e abbiamo una scelta delle più importanti creazioni italiane
fatta con piena conoscenza del materiale. Si tratta quindi di
una lacuna colmata, e colmata bene, con utile e onore degli
studi italiani.
È una idea tradizionale tra gli studiosi di miniatura la
necessità di tener distinta quest’arte dalla pittura, se si vuole
intenderla ed evitare gli equivoci. E a tale criterio si è atte-
nuto anche il D’Ancona, dichiaratamente, con una convinzione
che deriva certo dal suo carattere di specialista, ma anche,
se non erro, da quella sua prudenza, cui tiene tanto, ma eh’è
anche talvolta eccessiva. Per essa egli ci ha rappresentato la
storia della miniatura con una divisione per scuole, un po’
rigida, un po’ staccata dalla storia generale del gusto. Onde
si presenta l’opportunità di trarre alcune conseguenze dall’esa-
me di un materiale così forbito, come quello che il D’Ancona
ci ha offerto, conseguenze che hanno il carattere d’impres-
sioni; ma si sa che anche le impressioni servono alla storia.
Se si considera la miniatura come il gusto della decorazione
di una pagina in pergamena, si constata che la prima tavola del
libro del D’Ancona (Crocefìssione del Salterio di S. Michele a
Marturi, s. XII) e l’ultima tavola (Deposizione di Giulio
•Clovio) non sono, nè l’una nè l’altra, miniature sotto l’aspetto
del gusto, ma sì due pitture monumentali. Il gusto della deco-
razione di manoscritti si è sviluppato in Italia a traverso tre
secoli, dal duecento al quattrocento. Le influenze carolinge e
bizantine, che si riconoscono in alcuni prodotti italiani prima
di Oderisio da Gubbio, appartengono alla preistoria e non si
possono organizzare storicamente.
Oderisio da Gubbio, o chi per lui, cioè la miniatura a Bolo-
gna alla fine del duecento, comincia a mostrare in modo assai
chiaro un gusto determinato, alquanto francese, come anche
Dante indica. Quale miniatore ha trasformato il gotico fran-

cese in gotico italiano? Franco Bolognese? Non lo sappiamo.
Le miniature dei Decretales (Parigi, Bib. Nat., Ms. lat. 3988)
sono certo grandi capilavori, ma bisognerebbe cominciare a
datarle. Nella prima metà del trecento chi ha dato una serie di
capilavori, anche nella miniatura, e di carattere nettamente
italiano, è Siena. Simone Martini, il maestro del codice di
S. Giorgio, Sozzo Tegliacci, non producono soltanto capilavori,
ma diffondono quel particolare gusto della linea ondulata e del
colore gemmato, che ha permesso alla pittura senese di conqui-
stare il mondo durante il trecento. I fiorentini non hanno dav-
vero avuto un Giotto nella miniatura per contrastare la marcia
ai senesi; e se le miniature del Biadaiolo sono certo bellissime,
per il loro carattere nettamele illustrativo, esse non potevano
gareggiare con la civiltà decorativa senese. Perciò mi sembra
che la miniatura italiana del trecento si comprenda soltanto
se si faccia perno a Siena. È stato ammesso l’influsso senese
sui miniatori del Duca di Berry. Mi sembra assurdo negare
l’origine senese del gusto di Giovannino de’ Grassi, di Miche-
lino da Besozzo, di Beibello da Pavia. Certo la Lombardia
ha portato alle estreme conseguenze le raffinatezze della linea
gotica, e ha impresso in quei tre maestri un carattere regio-
nale; come anche, in quel carattere regionale, ciascun minia-
tore ha trovato la sua personalità. Ma qui si tratta di tro-
vare il punto di partenza per intendere il gusto della miniatura
nell’Italia del trecento. E non mi pare che ce ne sieno molti
di punti, nè che ce ne sieno due, ma uno solo: Siena. Persino
a Firenze Siena ha influito, come attestano I.orenzo Monaco
e Zanobi Strozzi.
Con il maraviglioso Francesco d’Antonio del Chierico si ha
il passaggio allo stile del rinascimento. Egli ha la linea incisiva
per ritrarre, come Benozzo Gozzoli, egli ama la foglia grassa e
succosa, per fare saltar fuori la forma plastica dalla linea gotica,
come l’ama Jacopo della Quercia. E con Franesco d’Antonio si
presenta il secondo problema per lo studio del gusto italiano
nella miniatura. Donde è partita la riforma del gusto nel quat-
trocento? Nella miniatura come nelle altre arti: da Firenze.
A traverso Padova, Firenze forma da un lato Girolamo da
Cremona e Liberale da Verona, e .dall’altro tutta la miniatura
ferrarese. Se gli Estensi hanno dato ai miniatori convenuti alla
loro corte occasioni eccezionali, ciò non significa che a Ferrara
i miniatori potessero trovare l’origine del loro stile. Anzi si può
constatare che all’influsso diretto o indiretto di Firenze, i mi-
niatori ferraresi aggiungono un influsso franco-fiammingo, per
esempio nella decorazione del messale di Innsbruck (tav. 66).
Così pure i miniatori lombardi. Il prevalere di Firenze signifi-
cava il dominio della costruzione sulla decorazione, della forma
sul colore, della rappresentazione psicologica sull’ornamento
 
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