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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 29.1926

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Bollettino bibliografico
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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

I. - Teoriche, critica dell’Arte.
Gino Saviotti, L’arte e la critica. Saggi e discus-
sioni. Palermo, Sandron, 1925.
L’autore non è uno specialista di storia dell’arte; è un let-
terato che ha vissuto con amore l’arte toscana dell’ottocento,
ha assimilato le teorie estetiche del Croce e ha riflettuto per
conto suo, spregiudicatamente, sui rapporti tra critica let-
teraria e critica pittorica. Risultati delle sue conoscenze arti-
stiche e delle sue riflessioni estetiche sono alcuni articoli, rac-
colti ora in un breve volume. Vorrei che una rivista di spe-
cialisti, come L’Arte, desse al Saviotti il benvenuto, perchè
non è dubbio che l’eccessiva specializzazione non ha giovato
alla storia dell’arte negli anni andati.
« I macchiaioli e il rinnovamento dell’arte nell’ottocento »
oppure « Giovanni Fattori e la pittura francese dell’Otto-
cento » sono i due saggi migliori di tutto il volume, perchè
l’accordo fra la conoscenza diretta della materia trattata e
le idee conduttrici vi regna assoluto; e poiché i due articoli
risalgono a qualche anno fa, vogliamo constatare che, fra
i migliori pubblicati a tutt’oggi, essi sono a torto dimenticati
dalla produzione più recente. Molto interessante anche lo
studio sugli epigoni dei macchiaioli a Livorno. Invece credo
che l’autore avrebbe fatto bene ad omettere il breve articolo
su « L’arte genovese del Sei e Settecento », dove si legge una
esaltazione- di Perin del Vaga, che Dio gliela perdoni.
Ma i due scritti cui l’autore dà maggiore importanza, e che
premette al volume, sono quelli sul metodo e gli aspetti della
critica d’arte.
Essi rappresentano un notevole sforzo per condurre la
teoria dell’arte unica, senza distinzione fra le arti, ad esami-
nare e a interpretare i particolari aspetti dell’arte figurativa.
Partito dalla filosofia e dalla letteratura, il Saviotti viene in-
contro a coloro che dall’esperienza figurativa vanno verso
la filosofia. Difficile dire quale sia la strada migliore: importa
che chiarificazioni personali e utili non manchino fin d’ora.
Credo tuttavia che una più profonda e più larga esperienza
dei problemi della visione aiuterebbe il Saviotti nella strada
intrapresa, e gli eviterebbe incertezze e, forse, errori di giu-
dizio.
Egli ripete troppo il ritornello dell’incompiutezza di Cé-
zanne. Incompiutezza di fronte a che? Alla rappresentazione
della natura? Ma allora egli reintroduce per la finestra quel
concetto di natura che crocianamente aveva cacciato dalla
porta. E d’altronde le incertezze sul rapporto tra arte e na-
tura non riguardano solo il giudizio su Cézanne.
Altro esempio. Egli dice: « Certe più recenti xilografie del
De Carolis, così finemente lavorate da perdere ogni caratte-

ristica dell’incisione in legno, sono non pertanto vere opere
d’arte; e il negar loro tale pregio in nome delle conculcate
caratteristiche originarie della xilografia pura, è giudicarle
da un punto di vista exstraestetico ». Di grazia, che cosa è la
xilografia pura? Un’astrazione cui si possa, come fa il Sa-
viotti, rimanere indifferenti, oppure un fatto storico? Alcuni
artisti superiori al De Carolis, mi perdoni il Saviotti, hanno
sentito che la stampa di una matrice in legno permette ef-
fetti lineari migliori, perchè più intrisi di sensibilità, che la
stampa di una matrice in rame. Viceversa: altri artisti, pure
grandissimi, hanno sentito che la stampa in rame permette
effètti di chiaroscuro che il legno non ha dato mai o dà con
uno sforzo, che può anche chiamarsi falsificazione del rame,
e non può quindi nascondersi per lasciar libera, a traverso lo
strumento perfetto, la fantasia dell’artista. I veri artisti che
hanno voluto realizzare una visione lineare si sono serviti
del legno, e quelli che hanno voluto realizzare una visione
chiaroscurale si sono serviti del rame. Perciò, quando la vi-
sione lineare è caduta in discredito, e quella chiaroscurale ha
predominato, la xilografia non è stata più usata artistica-
mente, e l’incisione in rame ha trionfato. E questa è stata
una esperienza del gusto, che si è svolta tra il Quattrocento e
il Cinquecento e dalla quale nessuno può astrarre senza ca-
dere in un errore, appunto, di gusto: nè il De Carolis quando
incide, nè il Saviotti quando critica.
Lionello Venturi.
Lionello Venturi, Il gusto dei primitivi. Bologna,
Zanichelli, 1926.
Parlare del primitivismo è implicitamente parlare di tutte
le correnti fondamentali del gusto e della critica, riassumere
in rapida sintesi la storia della critica e del gusto stesso,
illuminare di nuova luce lo spirito moderno, al quale il pri-
mitivismo si deve.
All’esaltazione dei primitivi si poteva giungere soltanto
coll’ammettere la piena libertà fantastica dell’artista libero
dai canoni di scuola, di quella scuola che si concreta nell’imi-
tazione accademica dei modelli classici e della bella natura;
che ha per necessario presupposto il convincimento di una
perfezione raggiunta dai grandi maestri, oltre la quale non è
possibile andare. Il Cinquecento, che riteneva aver raggiunto
il culmine più alto dell’arte, poco curava i primitivi, e se era
costretto a riconoscerne in parte il valore, quasi se ne giusti-
ficava, considerandoli in rapporto ai tempi barbari in cui
vivevano, nei quali la loro arte, benché manchevole, era una
eccezione; ma la persuasione dominante in quel tempo
che la perfezione artistica era stata conseguita, che la forma

L'Arte, XXIX, 35.
 
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