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Napoli nobilissima — 5.1896

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Bertaux, Émile: Sant'agostino alla zecca
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https://doi.org/10.11588/diglit.69898#0040

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24

NAPOLI NOBILISSIMA

SANT’AGOSTINO ALLA ZECCA

Architettura Angioina e scultura Sveva.
Se, dopo passata la piazza Depretis, si prende il Ret-
tifilo appena compiuto, si vede verso sinistra, sporgente
in mezzo a una confusione di vecchie case nere e di bot-
teghine sordide, sopra una pomposa scalinata, la mole
enorme e deforme d’un campanile e d’una chiesa barocca.
Quivi stava fin dai tempi normanni un Monastero di
monache basiliane, che nel 1259, sotto Manfredi, fu ceduto
agli Agostiniani C1). Era fuori della città, vicino alla Porta
Nova, accanto alle vecchie mura, i cui ruderi « composti
di pietre dolci fatte a quadroni », furono rinvenuti verso
il 1560 in iscavi fatti per l’ingrandimento del Mona-
stero (2 3 4 5). Carlo I d’Angiò concedette ai monaci un terreno
libero per costruirvi delle nuove abitazioni ed un chio-
stro. Non sappiamo se gli Agostiniani stessi comincias-
sero il lavoro; ma è certo che Carlo II, il re pacifico e
divoto, che fece sorgere a Napoli la nuova Cattedrale e
tanti edifizii sacri, diede molte concessioni di beni e
considerevoli somme di danaro per la fabbrica, e comin-
ciò l’edificazione dalle fondamenta di una grande chiesa
accanto al Monastero (3). Dedicò questa chiesa a Santa
Maria Maddalena, le cui reliquie aveva egli stesso esal-
tate, quando era principe di Salerno, e ad onore di lei
aveva già fondate le chiese di San Massimino, in Pro-
venza, di San Domenico a Napoli, dei Francescani a Sol-
mona (4), e fondò poi quella di San Domenico a Brin-
disi (5). La chiesa di Sant'Agostino era cominciata nel
1301, e certamente i lavori del Monastero erano già molto
progrediti nel 1300, poiché in quest’anno si potè celebrare
a Sant Agostino il grande Capitolo dell’ordine Agostiniano:
si sa anche che in quest’occasione re Carlo II offrì ai mo-
naci la testa di San Luca chiusa in un busto d’argento, che
dovette esser simile a quello fatto pochi anni dopo per la
testa di San Gennaro, ma di cui s’è perduta ogni traccia.
Sotto re Roberto, il logoteta e protonotario Bartolommeo
di Capua fece costruire la tribuna della chiesa; infatti il

(1) Traggo la maggior parte delle notizie storiche qui riunite dal
manoscritto di Carlo de Lellis, Aggiunte alla Napoli Sacra di Cesare
d’Engenio, voi. Ili, p. 67 a 92 (Bibl. Naz., ms. X, B, 23).
(2) Il De Lellis combatte decisamente l’opinione di quelli che so-
stenevano che queste mura avessero appartenuto all’« antico castello »
della città.
(3) Camera, Annali delle due Sicilie, t. II, p. 65.
(4) Nel 1290 (Piccirilli, Monumenti architettonici sulmonesi, p. 15).
(5) Reg. 1304 F, n. 138, f. 25, citato da Chioccarello, nel suo
manoscritto dell’Archivio di Stato, Notitia ecclesiarum et beneficiorum
ad regiam collatipnem pertinentium, t. VI.

de Lellis vide sull’arco dell’abside, ai lati delle armi dei
re Angioini i due stemmi delle famiglie Di Capua e
Loria; ora si sa che il famoso legista ebbe per seconda
moglie Margherita de Loria, figlia di Ruggiero, il grande
ammiraglio di Carlo II, e vedova di Ugone, Conte di
Chiaromonte.
Sappiamo ancora che i Fiorentini avevano in questa
chiesa nel secolo decimoquinto una cappella dedicata al-
l’Arcangelo Raffaele, e nel chiostro una stanza che loro
serviva per le adunanze dei mercanti; abbiamo anche la
notizia della concessione d’una cappella alla « nazione »
francese, nel 1447 (V. Ma la chiesa del Trecento, insieme
colle cappelle marmoree del Quattrocento e le tombe gen-
tilizie di tre secoli, fu diroccata nel Seicento, ed anche le
iscrizioni tumulari scomparvero col resto in mezzo alla
nuova fabbrica. La prima pietra della chiesa attuale fu get-
tata solennemente il 28 d’agosto 1641, in presenza del
Viceré duca di Medina de Las Torres. Qualche anno dopo
la ricostruzione, il nuovo palazzo della Zecca fu edificato
nel 1681 accanto alla chiesa, e questa ne prese il nome
che conserva ancora, Sant’Agostino alla Zecca.
La vasta chiesa è tutta bianca e tutta nuda; nel cam-
panile il solo pezzo antico che si veda è uno stemma
aragonese di marmo, incastrato nei mattoni del Seicento,
e quanti hanno indagato i monumenti e raccolto i ricordi
del medioevo a Napoli, dal Catalani allo Schulz e al Sa-
lazaro, sono passati sdegnosamente avanti a questo mo-
numento colossale. Eppure chi penetrerà nel chiostro mo-
derno del Monastero abbandonato vi troverà una sala in-
tatta del tempo di Carlo II e vi potrà ammirare dei pezzi
di scultura dell’epoca di Federico IL
Si vede prima una porta a sesto acuto, sotto al cui ar-
chivolto sono tagliate delle arcature assai rare anche nei
monumenti gotici di Francia e, credo, uniche nell’Italia
meridionale. Alle due estremità dell’architrave è scolpito
uno stemma con tre « onde » orizzontalmente disposte,
che può essere quello della famiglia Galeota o della fami-
glia Vulcano (2): è probabile che ricordi soltanto il genti-
luomo che avrà fatto la spesa di questa parte dell’edificio:
nello stesso modo Bartolomeo di Capua metteva il suo
stemma sull’abside di Sant’Agostino stesso, e sulle tre
porte di San Lorenzo, San Domenico e Santa Chiara, che
egli fece decorare, benché queste quattro chiese fossero

(1) Si veda alla Biblioteca del palazzo Como, fra i manoscritti
della Raccolta Filangieri, il voi. 38, doc. n. 70.
(2) Molte altre famiglie nobili hanno contribuito alle spese della
fabbrica di Sant’Agostino, come di tutte le chiese fondate dai prin-
cipi Angioini. Per esempio si sa che nel 1310, Giovanni Caracciolo
diede 70 onze per i lavori. (Ammirato, Famiglie nobili di Napoli, t. II,
p. 116).
 
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