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Napoli nobilissima — 5.1896

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Colonna di Stigliano, Fabio: Castel sant'elmo
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Montemayor, Giulio de: La piazza della sellaria
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https://doi.org/10.11588/diglit.69898#0073

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

57

Così Napoli era liberata da un temuto nemico e dalle
conseguenze di un lungo assedio; le cui vicende, tra l’al-
tro, avean provata l’importanza della posizione di S. Er-
mo, che pochi anni appresso Carlo V, venuto in Napoli,
ordinava fosse solidamente e durevolmente munita.
continua
Fabio Colonna di Stigliano.

LA PIAZZA DELLA SELLARIA

i.
Una giostra a Napoli
ai tempi di Alfonso d’Aragona.
(cont. v. fase. II).
I cavalieri giostratori giungevano a passi lenti e gravi,
armati ed equipaggiati in modo addirittura teatrale e se-
guiti da paggi e da scudieri a cavallo, i quali portavano
loro le lance di festa da spezzarsi nella giostra, e spesso
anche una seconda armatura con relativa divisa. Il suono
delle trombe e dei tamburi, e la musica degli istrumenti
da corda annunziavano agli spettatori il loro arrivo.
L’armatura di giostra non aveva nulla di comune con
quella di guerra: era una vera mascherata.
II cavaliere era coverto da un saio, e il cavallo da una
gualdrappa che scendeva fino in terra e svolazzava al vento
nella corsa.
Le gualdrappe erano spesso a scacchi di damasco, di
raso o velluto a diversi colori; o anche tagliate a punte,
a fiamme, a triangoli, a rombi etc., disegni che tornavano
in piccolo e con gli stessi colori nel saio-, e gualdrappa e
saio erano perciò detti la divisa del cavaliere. Le cuciture
dei diversi pezzi erano adorne di lacci e trine d’oro e
d’argento, o di ricami a tronchi; e nel campo di ogni
pezzo di stoffa si metteva un’invenzione, il cui motivo si
ripeteva anch’esso in piccolo nel saio del cavaliere.
L’invenzione era pei cavalieri una cifra, un segno aral-
dico, una croce cavalleresca, un’aquila, una rosa, una stella,
un altro fiore o animale qualunque, o d’oro o d’argento;
e spesso nelle cortapisas, larghe fasce di stoffa che orla-
vano le gualdrappe, erano scritti dei motti, lettere, la cui
canzone era sempre l’amore. Una volta trovo che il motto
era scritto in un cartiglio retto insieme a una palma da
un braccio, negli angoli della gualdrappa.
Questa specie d’ornamenti erano per lo più dipinti (T)
come si rileva anche dalle cedole, più di rado ricamati.

(i) Giul. Passaro, pag. 35-36 e 240-258.

E infatti trovo una volta elogiata come « opera molto
ricca e galante », « una vigna su raso cremisino ricor-
rente sulla cucitura della divisa, coi suoi cirri, foglie e
grappoli maturi », e appunto perchè fatta tutta « d’oro
tirato e argento e matasse di seta in rilievo. »
Le lance erano dorate o rivestite di stoffa gialla; gli
scudi dipinti o d’oro o argento brunito.
Che cosa poi i cavalieri portassero sugli elmi come ci-
mieri (chimeras) rasenta l’inverosimile. Nella Question de
amor ne trovo descritte parecchie.
Un cavaliere, per esempio, portava per cimiero una gab-
bia con una calandra che non cantava; un altro una pal-
ma; un altro una « roccia piena di lagrime che la rom-
pevano tutta »; un altro una lampada spenta d’argento;
un altro un braciere d’argento pieno di bragia. E così un
altro un serpente, un altro un martello, un altro una co-
rona d’alloro, e un altro finalmente gli istrumenti del
martirio. E non dimentico mai un cavaliere, d’una delle
splendide miniature del Romeo di re Renato, che ha per
cimiero un magnifico paio di gambe all’aria, che fan ricor-
dare del dantesco:
Forte spingava con ambo le piote (1).
Da questi cimieri di argento e d’oro, e talvolta anche
di cartone dipinto, pendevano ampi svolazzi di stoffa, in cui
erano scritte le lettere, ossia i motti; i quali spiegavano il
significato allegorico del cimiero, ed erano riportati con
grandissima cura dai cronisti mondani del tempo. Segno
che dovevano interessar molto quelli che vivevano in quel
gran mondo e ne conoscevano gl’intrighi galanti, pei quali
dovevano essere a volte delle vere rivelazioni! Non parlo
poi delle male lingue: figurarsi che festa!
Molto più comune era però l’uso delle penne di struzzo,
che si mettevano anche sulla testa del cavallo.
Quanto alle vesti poi il maggior lusso, così per le dame
che pei cavalieri, erano le stoffe a lama d’oro e d’argento.
E a conferma di tutto riferirò la descrizione che si legge
in un Compendio di varie cronache (1 2 3), ancora poco noto,
della giostra fatta per l’incoronazione della regina Joanna
d’Aragona, la triste Reyna, ai 18 settembre del 1477 G).
La giostra fu fatta all’incoronata.

(1) Dante, Inf., c. XIX, v. 120.
(2) Questo Compendio di cronache già citato dal Capasso nel suo
lavoro sulla famiglia e le case di Masaniello (Strenna Giannini, a. V)
trovasi fra i manoscritti della Biblioteca Cuomo, e sul dorso della ri-
legatura porta scritto erroneamente: Memorie del Duca d’Ossuna.
Quanto al suo valore, aspettiamo quel che l’illustre uomo ne dirà;
come ha già promesso nella citata sua opera (v. pag. no).
(3) Quanto alle giostre più particolarmente fatte in prosieguo alla
Sellaria, non ho trovato nelle descrizioni dei cronisti altre notizie in-
teressanti, se non quella dei catafalchi fatti per le giostre del 1510 e
un’altra d'un « catafalchetto » che « fu fatto in una casa in mezo la
 
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