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Napoli nobilissima — 5.1896

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Amalfi, Gaetano: Montevergine
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Ceci, Giuseppe: La chiesa di S. Francesco di Paola
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https://doi.org/10.11588/diglit.69898#0118

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102

NAPOLI NOBILISSIMA

stoni di castagni, in forma di forca, in mano o sulla car-
rozza, da cui pendono secchiolini, lanterne, corone di
nocciuole (fili ’e nocelle) mondate e passate al fuoco ed
immagini devote. Al Ponte della Maddalena vi è la fa-
mosa passata, e si pone in terra dell’arena per non far
cadere. Amici e conoscenti corrono a dare il benvenuto,
e a ricevere le immagini e le antr.it e benedette.
Incredibile la folla che aspetta, e il tintinnìo de’ cam-
panelli fra i cavalli corritori, e tanta gente diversa di abiti
e di abbigliamenti, e tutta cosparsa della polvere del viag-
gio. Il popolo spensierato e festoso si riversa sulle vie dei
Granili, del Carmine e della Marina, a gruppi e a capan-
nelli, per osservare, quasi per salutare, i reduci pellegrini,
inebriati dalla cantina al suono di melodie religiose, o al
canto di oscene canzoni. Quanti cocchi con opulenti popo-
lane, dalle chiome inghirlandate di nocelle, e dai pennac-
chi rosseggiami! Che sfilare di carrozze imbandierate! Che
plaudire alla corsa di cavalli camminatori, che, sbuffanti e
polverosi, si lanciano in mezzo al turbinìo della folla! Quat-
tro o cinque file di vetture, che tornano sul cammino già
fatto, che s’incontrano, s’incrociano con altre; gente che
guarda, s’agita, freme, applaude, urla, fischia, a seconda
dell’improvvisato auriga, sbirciando in quell’onda di popolo
e di vetture, o passi vittorioso innanzi, o resti imbavagliato
e confuso (*). Par proprio un simulacro degli antichi bac-
canali! Nè mancano sbornie e feriti, e l’Ospedale dei Pelle-
grini, in questa sera, ha sempre un servizio di guardia
suppletivo.
Il martedì poi si recano a fare i conti a Portici, a Torre
del Greco, e specialmente a Posilipo. È l’ultima scena
della commedia che si rappresenta, e si ritorna alla vita
normale, e ricomincia la calma e lo scontento dopo il dì
di festa, che, come un sogno, per un breve tempo, ha
fatto dimenticare la dura realtà della vita!
Gaetano Amalfi.

LA CHIESA DI S. FRANCESCO DI PAOLA
E LE STATUE EQUESTRI
di Carlo III e Ferdinando I

La bella stampa che diamo riprodotta ci mostra qua-
l’era l’aspetto del largo di palazzo nella seconda metà del
secolo scorso. La facciata della reggia vi apparisce secondo

(i) Una mirabile descrizione, in latino, è nell’opuscolo del defunto
V. Padula: Panca quae in S. A. Propertio, etc., Neap., 1871, p. 38. Vi
sono pure alcuni versi di V. Stoppelli con musica di R. Sava: Mun-
tevergene, ’u ritorno d’ ’a festa d’’e squarciane. In questi giorni si suole
andare anche alla Mad. delle Mosche al Pascone, dov’è attualmente
il deposito delle macchine ferroviarie alla Stazione; ma ciò non ha
relazione con la nostra festa.

il restauro operatovi pochi anni avanti dal Vanvitelli, e
all’inizio della via Gusmana, ora strada del Gigante, si ve-
dono la fontana a tre arcate, opera di Pietro Bernini e di
Michelangelo Naccherino, trasportata poi nella villa del
popolo, e la colossale statua di Giove, il gigante di palazzo,
famoso un tempo pei cartelli satirici che si attaccavano
alla sua base, e dimenticato ora nel fondo di chi sa quale
oscuro e umido sotterraneo. Al lato orientale, al posto del
moderno palazzo del Comando, si scorge il convento della
SS. Croce e a mezzogiorno quello di S. Luigi; mentre
la scena è animata dal corteo del re al quale una compa-
gnia di soldati presenta le armi, da cavalieri, da popolani,
da curricoli, da banche di acquaiuoli.
Come la storica piazza avea preso quell’aspetto, quale
trasformazione ebbe in seguito, quali furono attraverso tanti
secoli le vicende di quegli edifici, i nostri lettori già co-
noscono per gli interessanti articoli del Faraglia e del
Miola (z). Rimane a parlare della chiesa di S. Francesco di
Paola e delle statue equestri in bronzo di Carlo III e di
Ferdinando I.
Lasceremo descrivere la chiesa ad una gentile e colta
signora, appartenente per la sua patria d’origine e per
quella d’adozione alle due città donde furono tolti gli scul-
tori e i pittori che lavorarono a S. Francesco di Paola.
Virginia Garelli, nata in Roma da quel finissimo incisore
di pietre dure che fu Giovanni Garelli, sorella del paesista
Gonsalvo, venne a Napoli sposa di Carlo Tito Dalbono.
Ella visse, dunque, in mezzo agli artisti di quel periodo,
oramai tramontato, di cui la chiesa di S. Francesco di
Paola è una delle manifestazioni più complete. E la de-
scrizione che l’ottima signora ne diede nella lettera di-
retta al padre che qui pubblichiamo, riproduce il giudizio
che dalla gente colta fu formato su questa importante
opera d’arte al tempo della sua inaugurazione (1 2).
Carissimo Padre mio,
Continuando il mio piccolo giro di Napoli vi parlerò della chiesa
di S. Francesco di Paola, riedificata per voto di Ferdinando IV per
lo ricupero del suo regno nel 1815.
S. Francesco di Paola è la chiesa che più forse mi fa risovvenire
di Roma, e ne è ragione il formar quasi un complesso dell’architet-
tura di S. Pietro e della Rotonda o Pantheon antico di Roma, con
qualche dettaglio di quel tempo.
Vi dirò dunque, per quanto a me pare, che l’opera dell’architetto
Bianchi assai nobilmente si manifesti. I Napoletani gli gridano ad-
dosso.

(1) Gli articoli del Faraclia sul Largo di Palazzo furono pubbli-
cati nei fase. 1, 3, 4, 9, io del voi. Il di questa rivista, e quelli del
Miola su La Facciata della Reggia di Napoli e su Cavagni contro Fon-
tana nei fase. 1-2 e 6-7 del voi. I.
(2) Fu stampata nella raccolta commemorativa intitolata: Il libro
del cuore ovvero Memorie di Virginia Dalbono, Napoli, Nobile, 1868,
pp. 91-95.
 
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