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Napoli nobilissima — 5.1896

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Colonna di Stigliano, Fabio: Castel sant'elmo
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Colombo fu Gaetano, Antonio: La strada di toledo
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https://doi.org/10.11588/diglit.69898#0108

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NAPOLI NOBILISSIMA

di Ghiaia come fossato 0), avea risparmiato fabbrica ed
evitati al castello gravi pericoli. E qui è importante no-
tare come lo Scriba avesse l’intenzione di servirsi del
monastero di San Martino per farne una cittadella fortifi-
cata in modo da essere inespugnabile e dominata solo dal
castello di Sant’Elmo (1 2 3 4 5).
La difesa dello Scribà è certo efficace perchè si fonda
sul giusto concetto che le fortezze devono principalmente
adattarsi al luogo dove vengono costruite: ma com’egli
interroga gli avversari dimandando loro se nelle singole
parti della fortezza trovino qualche errore, risponde el vulgo:
« digo que en todas las partes que has tocado hay errar » (3).
E qui sorge vivissima la disputa a proposito delle traverse
o difese che lo Scribà con audace innovazione pose nel
mezzo delle cortine, dimostrando che se anche Sant’Elmo,
invece che in luogo elevato, si fosse trovato in piano,
egli si sarebbe regolato nella stessa guisa. Infatti — dice —
le difese van poste nel punto più sicuro della fortezza,
mentre gli angoli sono per natura loro i punti più deboli,
e poiché egli non ha creduto opportuno di guarnirli con
torrioni, così, ad evitare il pericolo che le cortine lunghe
e piane possano essere comodamente battute, sulla fronte
le ha sdoppiate con la tanaglia, e sui lati ha formato l’im-
pedimento con quella specie di torrioni o scudi ch’egli
chiama testuggini (4).
Quanto alla grave accusa mossagli che, mentre nelle
fortezze di disegno quadrangolare, perdendosi uno de’ tor-
rioni, la cortina restava sempre difesa dagli altri, e in
Sant’Elmo invece, perdutosi quell’unico scudo dei lati mag-
giori, la cortina restava tutta privata di traversa, egli ri-
sponde col ripetere e col dimostrare che i torrioni inde-
boliscono gli angoli, e sono quindi spesa superflua; che
dovendo essi contener le difese vanno posti nel luogo più
sicuro, e cioè nel mezzo, che il circuito della fabbrica non
essendo molto ampio ha mestieri di minori difese, e di
minor gente ed artiglieria; e che infine la lunghezza non
indifferente della cortina andava interrotta, secondo le buone
regole dell’architettura e della guerra (5).
Ma queste di che ho parlato sono le accuse più gravi
fatte allo Scribà, come quelle che toccano della forma e
del criterio fondamentale con cui è stata elevato il castello.

(1) Scriba, op. cit., p. 13.
(2) « el intento mio es de abrazar y tornar el monesterio de San Mar-
tin por ciudadela y fortificarle de suerte que sea ìnexpugnable contro los
otros y muy flaco y sottopuesto solo al castillo, y esto menos servirà à
senorear muy mefor la ciudad y las partes de ella que à descubrir y lim-
piaraquellahalda del monte que el castillo no puede bnenamente descubrir,
y à vueltas de esto, habr'a plaza tan grande que antes pecarà en demasiada
que en pequena » (op. cit., p. 14).
(3) Scriba, op. cit., p. 16.
(4) Op. cit., p. 27.
(5) Op. cit., p. 107.

Però i suoi oppositori, che l’autore chiama el vulgo, ma
che certo — dal modo con cui sostengono le loro ac-
cuse -—• dovettero essere, anzi che volgo ignorante, valenti
architetti, invidiosi forse dell’incarico dato all’ingegnere
valenziano, lo attaccano nei più minuti particolari della
costruzione di Sant’Elmo; così che nell’Apologia leggiamo
una serie di dispute, ora perchè le difese della cortina
sono state tagliate di sbieco, indebolendo quindi le mura;
ora perchè esse sono facili ad imboccarsi; ora perchè il
cavaliere della fortezza è stato posto dietro il revellino. E
con queste troviamo cento e cent’altre questioni, che for-
mano di quel libro un prezioso riscontro per gli studiosi
della fortificazione nel secolo XVI, anche per i frequenti
paragoni con le altre più famose fortezze d’Italia.
Naturalmente, come ad ogni accusato, non mancano allo
Scribà gli argomenti per difendersi, tanto più in materia
di fortificazione dov’è così difficile regolarsi tra le neces-
sità dell’offesa e quelle della difesa. Ma non è certo il
caso di ragionar qui più a lungo della bontà degli argo-
menti delle due parti: chi ne vuol sapere di più potrà
ricorrere egli stesso all’opera dello Scribà.
Della quale (e intendo ora parlare non già dell’Apologia,
ma del castello di Sant’Elmo) nella sala de’ modelli del
museo di S. Martino esiste un bellissimo rilievo, fatto
sulla metà del secolo passato da Giovanni Carafa, duca di
Noia (J), uno di quei patrizi napoletani che con Raimondo
di Sangro, con Francesco Maria Spinelli, con Paolo Mat-
tia Doria ed alcuni altri, illustravano a quel tempo, col
loro ingegno e sapere, la città e la classe onde uscivano.
continua
Fabio Colonna di Stigliano.

LA STRADA DI TOLEDO
IX.
I TUMULTI DEL 1647 E DEL 1799.
Le barricate del 1848. Conclusione.
Il 7 luglio dell’anno 1647 nella piazza del Mercato la
plebe istigata da Masaniello, acclamato capopopolo, s’era
sollevata; ed al grido di Viva il Re e muoia il mal governo
domandava l’abolizione della gabella dei frutti, e delle ec-
cessive gravezze che l’opprimevano.
Quel giorno memorando Ascanio Filomarino, cardinale
arcivescovo di Napoli, tentando insinuarsi nell’animo dei

(1) Intorno ai rilievi di fortezze che sono al museo di S. Martino,
compreso questo di Sant’Elmo, vedi in Nap. Nob., nel fascicolo pre-
cedente, a pag. 74, la nota 2 dell’articolo del Blessich.
 
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