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Napoli nobilissima — 5.1896

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Bertaux, Émile: Sant'agostino alla zecca
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Colonna di Stigliano, Fabio: Castel sant'elmo
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https://doi.org/10.11588/diglit.69898#0042

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NAPOLI NOBILISSIMA

tale altare barocco che nasconde ancora il Mausoleo di re
Roberto; oggi si vedono ambedue ancora intatte ai due
lati della navata, presso il transetto: esse sono monoliti e
di forma spirale divisa ciascuna in cinque zone separate da
cordoni a perle sormontati da palmette: tre di queste zone
portano delle cannellature che ricordano gli strigili dei sar-
cofagi romani, le due altre sono coperte di rami di vite
carichi di grappoli, in mezzo ai quali giuocano dei putti
vendemmiatori, come se ne vedono anche sopra qualche
tomba del quarto o quinto secolo, il tutto di rilievo assai
basso; i capitelli sono massicci e portano impressa, come
una specie di suggello, una piccola aquila colle ali distese.
Da quale dei palazzi imperiali di Puglia o di Capua fu-
rono trasportati, come le colonne di Santa Chiara, i ca-
pitelli di Sant'Agostino? Non lo sapremo mai; ma se la
loro origine deve rimanere oscura, l’epoca alla quale essi
appartengono non può lasciare nessun dubbio. Napoli che
non contiene nessun frammento d’architettura sveva, pos-
siede almeno due serie di monumenti scolpiti che risal-
gono alla prima metà del secolo decimoterzo, al tempo
nel quale la scultura raggiunse nell’Italia Meridionale il suo
più completo sviluppo locale, sotto la forte tradizione dei
tempi Normanni, e anche sotto l’influenza del genio d’un
uomo, l’imperatore artista. Le colonne di Santa Chiara ri-
cordano l’imitazione che si fece allora di qualche pezzo
di scultura romana, come si copiavano per Federico le mo-
nete d’Augusto. Invece i capitelli che ho fatto conoscere,
non rivelano l’imitazione dei monumenti romani, ma sol-
tanto la conoscenza delle opere bizantine che furono una
trasformazione sapiente e delicata della scultura antica. Col
loro profilo elegante, col lavoro energico e squisito del fo-
gliame, colle aquile superbe degli angoli, sono fra i più
pregevoli di quei monumenti che cominciano coi capitelli
del pulpito e della Cantoria di Salerno, verso il 1175, che
comprendono quelli già più pesanti dell’ambone di Sessa,
e che finiscono sotto re Roberto coi capitelli ornati d’uc-
celli e di leoni in alto rilievo, che si possono vedere nel-
l’altare sconosciuto di Santa Chiara (J). I marmerai che
hanno dato ai pezzi superbi di Sant’Agostino il loro garbo
fiero, che hanno modellato i dettagli delicati del fogliame
morbido e il corpo muscoloso degli uccelli imperiali, non
hanno più la finezza leggermente asciutta degli artefici di
Salerno, ancora così prossimi ai Greci, e non hanno an-
cora la rotondità massiccia e pressoché romana degli ar-
tefici che lavorarono a Sessa. Le loro opere, degne d’es-
sere comparate ai busti famosi di Capua e di Ravello,

(1) Quest’altare sostenuto da sei colonnine esiste tuttora sotto il
grande altare barocco, e si può osservare da un largo buco praticato
di rimpetto alla tomba di Roberto.

devono essere studiate come due dei rarissimi monumenti
che ci possono dare l’idea di quel momento di vita arti-
stica larga e piena che l’Italia Meridionale conobbe un
mezzo secolo prima che la Toscana potesse ammirare il
primo capolavoro di Nicolò Pisano.
E. Bertaux.

CASTEL SANT’ELMO
IL
Prima fondazione.
La grandiosa fortezza che D. Pietro di Toledo inalzava
sulla collina di San Martino prendeva il posto di un pic-
colo castello che già da due secoli coronava quella vetta.
Storicamente, le prime memorie della fondazione del
castello di Beiforte — che tale fu l’antico nome di Castel
Sant’Elmo — risalgono al regno di Roberto il Savio, il
terzo dei re angioini. Alcuni storici tuttavia fanno questa
fortezza più antica, dicendola chi di Carlo II d’Angiò, chi
di Carlo I, chi de’ Normanni.
Il Capaccio, tra gli altri, riferisce la voce che antica-
mente Sant’Elmo fosse una torre costruita da’ Normanni
e chiamata Beiforte (J). Però a confortare quest’opinione
mancano documenti; e non so anzi a tal proposito come
il Tufari possa dogmaticamente asserire che l’antica torre
fosse inalzata nel 1170 (1 2).
Le poche memorie, certe, che si conservano e dell’epoca
normanna e di quella più remota del ducato napoletano,
non ci dicono altro se non che anticamente la collina del
Vomero, in gran parte selvosa, era detta Paturci o Patur-
cium, e che su di essa, già sul principio del secolo deci-
mo, era una chiesetta — mi preme notarlo fin d’ora —
dedicata a S. Erasmo (3). Chi sa poi che in seguito non
vi fosse inalzata anche una piccola torre, magari da’ Nor-
manni; non certo a difesa, ma quale vedetta in luogo
eminente sul golfo, allora che il litorale e le spiagge erano
malsicure per le facili e continue scorrerie de’ predoni.
Che la torre Beiforte fosse dovuta a Carlo I d’Angiò
parve ad alcuni per un documento pubblicato dal Minieri
Riccio, del 1275, riferentesi, secondo quel che egli ha
scritto, al castel Beiforte (4): mentre il documento citato

(1) Capaccio, Il Forastiero, in Nap. 1635, pag. 841.
(2) Tufari, La certosa di S. Martino, in Nap. 1854, p. 117 e segg.
(3) Capasso, Monumenta ad Neapol. ducat. pertin., voi. Il, part. I,
pag. 28.
(4) Il Minieri Riccio così riassume il documento : « Carolo nepoti
nostri et Isabelle uxori Philippi nostri cum filia nostra parvula, et pha
 
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