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Napoli nobilissima — 5.1896

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Colonna di Stigliano, Fabio: Castel Sant'Elmo
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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

D7

riera il primo d’aprile di quell’anno (’). Al Galiano suc-
cesse D. Luis de Espluga, che attese a vari lavori di re-
stauro del forte (2 3 4 5), durante i quali, forse, fu inalzata nel
1682 la cappelletta di S. Maria del Filar alla base della
rampa del castello (3).
Qualche anno dopo era castellano di Sant’Elmo D. Gio-
vanni Emanuele Sottomayor: ma il 27 maggio del 1702
gli si ordinava d’imbarcarsi fra due ore alla volta di Spa-
gna (4); e gli veniva l’ordine da Filippo V, duca d’Angiò,
re di Spagna e di Napoli, che si trovava appunto allora
in Napoli per attenuarvi gli effetti della congiura di Mac-
chia; e che anzi giusto un mese prima s’era recato a vi-
sitare il castello di Sant’Elmo, godendo di lassù la vista
delle « belle e spaziose pianure della Campagna felice »
e di « tante illustri e rinomate città e villaggi ond’è po-
polata » (5).
L’improvviso provvedimento contro il Sottomayor fu
preso per essersi egli trovato immischiato nelle pratiche
già allora avviare per far passare il regno di Napoli dagli
spaglinoli agli austriaci, durante le quali s’era anche bucci-
nato di cospirazioni ordite in Sant’Elmo (6 7). Succedette al
Sottomayor 1’8 agosto seguente D. Giovanni Buides (7),
che a sua volta per non goder forse troppo la fiducia de-
gli spagnuoli fu il 30 giugno 1707 dal viceré duca d’Asca-
lona, all’appressarsi delle milizie austriache di Giuseppe I
guidate dal conte di Daun, sostituito col brigadiere D. Ro-
drigo Correa, uomo assai risoluto, in cui si fidava per una
difesa a oltranza della fortezza.
Il nuovo castellano trovò in Sant’Elmo un presidio por-
tato in quei giorni a cinquecento uomini, ma viveri e

(1) Le fedi di morte son riportate dal Salazar a p. 46. — D.a Gio-
vanna di Capua principessa di Conca, moglie di D. Giovanni di Ca-
pila conte di Montuoro fu celebre per la sua disonestà, per cui « mi-
seramente finì la sua sozza vita di veleno, fattoli dare da’ suoi parenti
nelle vivande per levarsi d’attorno sì brutto mostro che così vilmente
disonorati li avea » (Verità svelata, Ms. della Bibl. Naz. segn. I D 73;
III, 33). Narrano anche le sue vicende e il suo avvelenamento in
Sant’Elmo il Liber arcanorum, Ms. Bibl. Naz. segn. X D 82, f. 149;
e i Giornali d’Innocenzo Fuidoro, Mss. Bibl. Naz. segn. X B 13; I,
f. 182, II, f. 290.
(2) Trovo fra gli altri lavori ricordato il castello di Sant’Elmo,
fatto nel 1677. Arch. di Stato. Dipendenze della Sommaria, Napoli,
1500-1692, Fortificazioni.
(3) Di questa chiesetta fu già fatto cenno a p. 1 di questo volume.
(4) Bulifon, Giornale del viaggio in Italia di Filippo V, Nap., 1703,
p. 150.
(5) Bulifon, Op. cit., p. 33.
(6) Granito, Storia della congiura di Macchia, Nap., 1861, II, 8.
(7) Bulifon, Op. cit., p. 279. — Delle castellarne del Sottomayor
e del Buides sono molte notizie di spese in alcune carte dell’Arch. di
Stato: Dipendenze della Sommaria, Napoli, 1695 a 1712 e 1713 a 1773,
Fortificazioni. Noto fra quest’ultime carte (1713-1773) un pagamento
di 360 ducati fatto nel 1713 ad Angelo Carasale per lavori in ferro
eseguiti in Sant’Elmo. Le notizie dei pagamenti si riferiscono per la
maggior parte a stipendi per le truppe, piccoli lavori, spese per lumi-
narie, etc. etc.

munizioni da guerra sol per dieci giorni; onde dovette
procurarsi queste cose, nel mentre studiava le mine e le
contromine del forte, chiudeva il passaggio alla Certosa
di San Martino I1), e tentava di spianare una casina sul
Vomere perchè non divenisse ricovero agli imperiali (2).
Ma il 7 luglio, accolti « da una turba sterminata di
gente uscita a incontrarli con rami d’ulivo » (3) che accla-
mava principe Carlo III fratello di Giuseppe I, entravano
in Napoli gli austriaci, tenendosi però ancora per gli spa-
gnuoli i castelli Nuovo, dell’Ovo e di Sant’Elmo. Si rese
il primo l’n luglio, il secondo il 12; ultimo a cedere fu
Sant’Elmo. Fra le proposte corse in Napoli in quei giorni
tra la città e gli austriaci v’era quella che il nuovo prin-
cipe, fortificati più alla moderna i castelli, concedesse in
custodia al fedelissimo popolo quelli di Sant’Elmo e del
Carmine (4). Ma Sant’Elmo parea non volesse cedere, seb-
bene delle prime truppe imperiali entrate in Napoli il 7
luglio si fossero mandati duecento fanti a bloccarlo. Il
Correa cominciò a servirsi dell’artiglierie minacciando di
bombardar la città; e a un colonnello austriaco che gli a-
veva intimata la resa, rispondeva fieramente voler resi-
stere « sin che non gli fossero restate più palle nè pol-
vere e sino all’ultima goccia del sangue, essendo dello
stesso parere tutti gli ufficiali e soldati » (5). Il conte Daun
a sua volta s’impadronì dei congiunti del Correa, tenen-
doli come ostaggi, affinchè la città non fosse cannoneggiata;
accrebbe il numero dei soldati che bloccavano il castello,
e circondatolo d’ogni parte gli tolse le comunicazioni ed
ogni rifornimento di viveri (6). Allora il Correa, interpel-
lato il presidio, saputa la resa del Castelnuovo (7), minac-
ciato di rappresaglie, circondato dalle truppe nemiche che
già occupavano San Martino, vista vana la resistenza, si
rese il 13 luglio, prigioniero di guerra. Occupò il castello
il colonnello Kosa col suo reggimento Gswindt, e trovò
nella fortezza ventuno pezzi d’artiglieria, 5000 colpi, 700
cantata di polvere, 500 bombe, 3800 granate, e moschetti,
archibugi e viveri, mancando, purtroppo, il vino (8 9)!
Quanto al Correa fu condotto in Castelnuovo (9): e in
Sant’Elmo fu restituito castellano il Buides, che vi restò

(1) Parrino, Compendio storico dell’anno 1707, ediz. 1878, p. 259.
(2) Pujades, Memoriale istorico dell’anno 1707, Nap., 1708, p. 156.
(3) Granito, Op. cit., II, 166.
(4) Diario napol. dal 1700 al 1709, pubb. da G. de Blasiis in Arch.
Stor. Nap,, X, 494.
(5) Parrino, Compendio storico, p. 260.
(6) Pujades, Op. cit., p. 187.
(7) Gli fu notificata, per ridurlo a più miti consigli, dal Daun: ma
la notizia gli era già stata portata « da un tamburro, travestito da
paesano che portava le lettere con l’avviso di quanto accadea, cucite
nella sola delle scarpe, una delle quali (?!) con travaglio potè leggersi,
malconcia dal sudore del piede del tamburro! » (Parrino, Op. cit., 261).
(8) Pujades, Op. cit., p. 188.
(9) La sua condizione non era molto rosea, anche perchè — scrive
 
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