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Napoli nobilissima — 5.1896

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Croce, Benedetto: Annibale Caccavello
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https://doi.org/10.11588/diglit.69898#0194

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178

NAPOLI NOBILISSIMA

Così, mercè la scoverta del Diario e il lavoro compiuto
dal Filangieri di Candida, Annibaie Caccavelle, da una
quasi oscurità, è passato in piena luce. Della sua vita sap-
piamo non moltissimo, ma quanto ci basta. Era di una
famiglia di Massalubrense, ma nacque probabilmente a
Napoli verso il 1515. Abitava nella strada dell’Annunziata,
dove erano i marmerai. Aveva per moglie una Eleonora
de Magistro, da cui gli nacque il figlio Michele Giovanni,
di gusti ben diversi da quelli del padre. Morì verso il
1570, e fu sepolto nella sua cappella gentilizia nella chiesa
della Pace presso l’Annunziata, abbattuta alcuni decennii
dopo. Alla morte del figliuolo di lui Michele Giovanni, il
Pio Monte di Massalubrense entrò in possesso dell’ere-
dità secondo le disposizioni del testamento di Annibaie;
e per tal via ci sono stati serbati tanti documenti sullo
scultore, in ciò fortunato.
Il Diario e gli altri documenti ci confermano ch’egli
fu scolaro di Giovanni Merliano da Nola, e ce lo mo-
strano a collaborare non solo col suo maestro, ma con
l’altro scolaro del nolano, Gian Domenico d’Auria, quan-
tunque il De Dominici narri della fiera gelosia ed inimi-
cizia ch’era tra i due. Nel Diario il nome del d’Auria ri-
corre 49 volte, e ben nove sono le opere fatte in società.

« vi è oggi chi dubita della sua esistenza, il citato Burckhardt l’am-
mette ». L’ammette? e sulla fede di qual documento, o di qual ra-
gionamento? Il Burckhardt ha trovato quel nome in libri italiani e
anche tedeschi, e pur diffidando del De Dominici, non si è accorto
che l’esistenza del Ciccione riposa solo sulla fede del famigerato im-
broglione. In verità, se io dovessi dar peso a qualche affermazione,
crederei a quella dell’iscrizione che si leggeva su una tomba di una
chiesa di Ancona « Andreas de Florentia.... qui etiam sepulcrum regis
Ladislai excudit » (Catalani, Discorso, p. 22) : con la quale il preteso
Ciccione verrebbe privato della sua opera maggiore. A p. xxvm l’A.
combatte l’opinione del Milanesi, comentatore del Vasari, che il Mer-
liano fosse discepolo del napoletano Angelo Agnello di Fiore « poi-
ché questo scultore morì verso il 1500 », e cita in nota il manuale
del Cavallucci. Ora lo Scultore Di Fiore è un'altra delle tante inven-
zioni del De Dominici — il solo che lo nomini —; e da lui tolse,
direttamente o indirettamente, la notizia il Milanesi. È perciò inutile
discutere se il Merliano fosse discepolo di quel maestro, perchè qui
manca uno dei due termini: il maestro. Così il Burckhardt e il Mi-
lanesi, che con le loro ricerche ed osservazioni critiche hanno tanto
contribuito a screditare il De Dominici, si fanno poi talvolta ingan-
nare da costui. E in verità non è facile, specie per scrittori non na-
poletani, il riconoscere volta per volta la genealogia delle notizie e
vedere quelle che, malgrado sieno state ripetute da autori riputati (il
Lanzi, il Cicognara, il Perkins, ecc.), risalgono esclusivamente al De
Dominici. Gli scrittori posteriori si copiano gli uni gli altri, fino a
questi ultimi tempi. Anche per questo rispetto talvolta il Filangieri
di Candida mi sembra troppo minuto nel riferire le opinioni dei varii
scrittori sulle attribuzioni delle opere d’arte. Per esempio, a p. lxxvi
nota che la cona dell’altare della cappella del Caracciolo di Vico è
detta dal D’Eugenio opera dello scultore spagnuolo Pietro de la Piata.
E sta bene: il D’Engenio era prossimo ai tempi in cui quell’opera fu
compiuta; disponeva di notizie e tradizioni che noi non abbiamo. Ma
perchè darsi la pena di citare le opinioni del Celano, del De Domi-
nici, del Sigismondi, del Romanelli, del Grossi, del Principe di Sa-
triano? Tanto più che l’A. giustamente scarta poi, come prive di va-
lore, tutte queste testimonianze.

Un’altra storiella sfumata! Una pleiade di discepoli e aiu-
tanti circondavano Annibaie: il più operoso, un Salvatore
Caccavelle (c’erano anche altri due Caccavelle, Desiato,
fratello di Annibaie, e un Giovanni), e poi un Maestro
Vincenzo, un Rocco Romano, un Giuseppe Zacco, un Ja-
cobo de Rosa, un Nicola Ambrogio Vinaccia, e molti altri.
Il Diario abbraccia lo spazio di oltre un ventennio, dal
1546 al 1567, ossia il periodo della virilità e della mag-
giore produttività artistica di lui, gli anni fra i trenta e i
cinquanta; e ci fa passare innanzi agli occhi circa cin-
quanta opere compiute da Annibaie e dai suoi collabo-
ratori.
Molte di queste opere ora non esistono più. Senza il
terribile incendio del 1757 che distrusse la chiesa del-
l’Annunziata, noi avremmo in quella chiesa un vero mu-
seo delle opere del Caccavelle. Nell’Annunziata, il Cacca-
vello fece le tombe di Lucrezia Caracciolo, di Berardo
Caracciolo, del Vescovo di Venosa, un altare con tomba
di Andrea della Morte, due altre tombe ordinategli da Pa-
squale Caracciolo e da Vincenzo Carafa, un altare con S.
Giovanni Evangelista per Giuliano di Bernardo, un altro
altare per Nardo Liparulo, la fonte battesimale, e una
fontana nel cortile.
Qualcun’altra delle sue opere in S. Domenico, in S.
Maria la nuova, in S. Giacomo degli Spaglinoli, è sparita;
e di altre menzionate nel Diario non si sa dove fossero
collocate o dove siano andate a finire. Specialmente le fon-
tane, come abbiamo notato, hanno avuto una mala sorte.
Dov’è più la sua statua di Venere che ornava la fontana
dell’incanto? Anzi, chi sa dirci mai dove fosse questa
fontana dell’incanto? Il Caccavelle col D’Auria lavorò la
famosa Fontana dei Quattro del Molo, mandata nel 1670 in
Ispagna dal viceré D. Pietro di Aragona ad adornare una
di quelle ville reali. Forse di questa fontana ■— di cui
tessè la storia il Capasse nell’Arch. Stor. Napol., voi. V —
saremo in grado di porgere qualche notizia ai lettori in
uno dei numeri prossimi, avendo pregato un nostro amico
spagnuolo di farne ricerca.
Ma, malgrado queste perdite, resta sempre visibile un
numero notevole di opere del Caccavelle. A S. Giovanni
a Carbonara si può vedere il gran monumento di Nicola
Antonio Caracciolo, al quale lavorò insieme col Merliano
e col D’Auria: il Filangieri di Candida congettura che la
statua del cavaliere sia in particolare del Caccavelle. An-
che a S. Giovanni è la ricca cappella dei Somma, a cui
lavorò insieme col D’Auria, e quasi di certo gli spetta,
oltre una parte della decorazione, l’intero monumento di
Scipione di Somma. Nella stessa chiesa, c’è l’altare della
Purificazione fatto da lui per commissione di Giulia Ca-
racciolo, a cui è unita la tomba di Biagio Marsicano, ma-
 
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