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Napoli nobilissima — 5.1896

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Colonna di Stigliano, Fabio: Castel Sant'Elmo
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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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bilito. I padri un po’ con le buone, un po’ col far vedere il
monastero custodito dai moschettieri spagnuoli di Sant’El-
mo, sedarono questa tempesta (J). Ma altre ne scoppiarono,
e, manco a dirlo, tumultuarono in Napoli in quei giorni
anche gli studenti!
Il 22 agosto, cresciuta l’insolenza della plebe, il viceré
ordinò che da Sant’Elmo e dalle altre fortezze cominciasse
il cannone a tirare sulla città. Fu allora che il popolo
pensò di porre in atto un suo antico disegno: impadronirsi
di Sant’Elmo per togliergli la possibilità di danneggiar la
città, e per dominare le altre fortezze. Una gran turba di
popolani s’avviò verso San Martino, mentre già Andrea
Polito, capitano del quartiere di S. Maria Ogni bene, da
un paio di giorni con l’aiuto d’ingegneri e di strumenti,
avea lavorata contro il castello una mina, riducendola a
segno « che altro non vi restava che fare, se, non met-
tervi la polvere (1 2 3 4 5). » Ma il principe di Massa, eletto capo
dei popolari, intendendo a ristabilir la quiete, riusciva a
far ritirare la gente da San Martino, e tentava di nuovo
un accordo, nel quale il popolo non rinunziava però alla
pretesa di Sant’Elmo: mentre il Galiano, ignorando le
trattative, non avendo risposta ai messi e ai segnali che
faceva al duca d’Arcos, stava ansioso, vedendo dei forsen-
nati lavorar sempre intorno al forte le mine, che per for-
tuna venivano malamente scavate (3).
Intanto, mostrandosi il viceré proclive a conceder tutto
ai popolani, salvo Sant’Elmo, i più arditi con tavole ed
altri arnesi ripresero il lavoro delle mine: ed al Galiano,
che insospettito dimandava spiegazioni, scaltramente rispon-
deano voler fare ripari per l’umido della notte (4). Ma il
castellano, incredulo, per ogni buon fine il 25 d’agosto
radunava a consiglio gli ufficiali del forte, proponendo
un’accorta vigilanza e una virile difesa (5).

(1) Capecelatro, Op. cit., I, 137. Il Parrino in proposito osserva:
« ad ogni modo fu molto graziosa (sic!) la vista di tanti orbi, appog-
giati a’ fanciulli, o tirati da’ cani; di tanti zoppi, monchi, e storpiati,
e di tante altre persone inutili, che mentre precipitavano per quelle
balze, minacciavano e facevano i bravi! »
(2) De Santis, Op. cit., p. 154.
(3) Il De Santis (ibidem) parla di questi tentativi delle mine di-
cendo che « sia per intelligenza dell’ingegnere cogli Spagnuoli, o pel
disparere tra’ popolani, sortirono vani, essendo penetrati sotto la ci-
sterna della mezzaluna del Castello, per la qual cosa credevano d’es-
ser giunti ad un’altra cisterna nel mezzo del Castello; sgannati poi
quando si venne a’ ferri, voltarono tutte l’opre alla parte della coni-
gliera, ch’è nell’altro angolo della fortezza, che risguarda a levante,
condottivisi copertamente per una certa taverna ch’è sotto il castello.
Il Desio sempre vigilante a favor del duca (d’Arcos) fe’ empir la pri-
ma cava di sassi e calcina perchè non se ne servisse il popolo ». Il
Desio o di Sio era uno dei capitani di cui si circondò il principe di
Massa: e si adoprò anch’egli col suo capo a ricondur la quiete negli
animi. In quei giorni appunto mercè l’opera sua si riuscì a introdur
segretamente in Sant’Elmo 72 cantara di polvere.
(4) Capecelatko, Op. cit., 186.
(5) La relazione di questo consiglio di guerra è riferita dal Capecela-
tro (o. c., I, 188) e riportata dal Salazar, Castellani di Sant’Elmo, p. 40.

Nel frattempo l’accordo fra i popolari e gli Spagnuoli
sembrava impossibile, essendo i primi più fermi che mai
nell’intenzione di voler Sant’Elmo. Un tal Giovanni Pa-
narella, di Mercato, per aver detto essere inopportuno in-
sistere in quell’idea, per poco non era ucciso (z): la plebe
trasportava nei luoghi più adatti grossi pezzi d’artiglieria:
e disperando d’aver Sant’Elmo con Farmi, tentava invano
d’averlo con l’oro, incaricando certo Giovan Vittorio Zap-
pullo d’offrire al Galiano trentamila ducati (2).
Finalmente quella domenica del 25 agosto furono lette
al popolo le proposte del viceré: dicevano concedersi tutto
fuori che Sant’Elmo. Cresciuta l’ira della plebe, il principe
di Massa non potendo più frenarla le concesse l’assalto del
castello; ma dichiarando di voler fare una scelta dei più
arditi per quell’impresa, la fece venire a più miti con-
sigli (3). Anzi il giorno seguente i popolari stessi dichiara-
vano non voler più insistere circa Sant’Elmo: cosa che
sembrò così maravigliosa che il card. Filomarino, arcive-
scovo di Napoli, scrivendo al papa gli diceva che quando
il 26 agosto avea udito il popolo gridar pace « senza no-
minar più S. Ermo, » il fatto gli era parso sì strano da
attribuirlo « a miracolo di Dio benedetto, della sua san-
tissima Madre, e del glorioso san Gennaro; e così tengo
assolutamente che sia; mentre pareva impossibile che il
popolo avesse a cedere a questa pretensione della for-
tezza (4). » Quando alle ragioni che dovetter persuadere la
plebe a desistere da quell’idea, è probabile che fossero da
un lato la difficoltà di prendere, senza l’artiglieria adatta,
un castello più che pel suo presidio per la sua posizione
fortissimo (5); e dall’altra le pratiche di averlo con l’oro
riuscite vane appunto in quei giorni.
Così dopo tante lotte vennero i giorni di pace: il viceré
ne approfittò per rifornir le castella d’uomini e di muni-
zioni: anzi l’aver mandato quattrocento spagnuoli in San-
t’Elmo per poco non fu causa di nuovi tumulti (6 7). Il 7
settembre 1647 nella chiesa di Santa Barbara in Castel-
nuovo il duca d’Arcos giurava i capitoli dell’accordo, che
furono cinquantotto e de’ quali due soli furon rifiutati al
popolo, riferendosi l’un d’essi alla custodia di Sant’Elmo
in mano de’ Napoletani, che veniva negata, mancando l’ap-
provazione sovrana (7). La fortezza così recuperò anch’essa

(1) Capecelatro, Op. cit., I, 185.
(2) De Santis, Op. cit., 163.
(3) ibidem.
(4) Lettera del card. Filomarino a Innocenzo X, in Arch. Stor. Ital.,
Firenze, 1846, tomo IX, p. 392.
(5) Durante questi tumulti il presidio di Sant’Elmo non contava
più di cento uomini atti alle armi. Cfr. Capecelatro, Op. cit., I, 224.
(6) Capecelatro, ibidem.
(7) Questo capitolo era il nono e diceva « che il R. Castello di
Sant’Elmo di questa Fidelissima Città di Napoli si debbia tenere et
guardare da cittadini nativi Napolitani di questo Fidelissimo Popolo,
 
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