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Napoli nobilissima — 5.1896

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Colonna di Stigliano, Fabio: Castel Sant'Elmo
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NAPOLI NOBILISSIMA

fino alla morte I* 1). Nell’ottobre del 1707 giungevano in
Napoli i vinti di Gaeta: ed eran condotti in Sant’Elmo
l’Ascalona, il principe di Cellamare e il duca di Bisaccia;
ma verso la fine dell’anno, sospettandosi che insieme con-
giurassero, si trasferivano l’Ascalona al castello di Baja, il
Cellamare a quello dell’Ovo (2 3 4 5).
Dopo il Buides fu castellano di Sant’Elmo il colonnello
de Colberg, morto nel 1727 (3); e dopo di questi, forse
direttamente, il conte di Losada. Fu durante la sua ca-
stellala, nel 1734, che Sant’Elmo passò col regno di Na-
poli in dominio di Carlo III di Borbone.
Entrate le milizie spagnuole di Carlo in Napoli, il conte
de Charny suo luogotenente generale, cominciò dall’inti-
mar la resa a Sant’Elmo, il 15 aprile del 1734: ma in-
tesa dal castellano l’intenzione di ben difendersi, fece dai
suoi ingegneri studiare il modo dell’espugnazione, preparò
l’artiglieria per l’attacco (4), e fin dalla sera seguente il
castello fu « investito dalle truppe spagnuole dalla parte
che riguarda la Villa del Vomere » (5). Fu cominciato il
lavoro di una trincea, che il Losada disturbava con la sua
artiglieria, intanto che due mortai a bombe rispondeano
al castello (6 7). Nel pomeriggio del 23 aprile veniva aperta
la trincea, aggiungendosi così ai due mortai altri dieci
pezzi d’artiglieria, i quali tutti battevano terribilmente in
breccia Sant’Elmo « essendo spaventevole e continuato il
fuoco tanto degli assedianti che degli assediati, che alla
disperata si difendevano » e « strepitoso il rimbombo dei
bellici stromenti » (7). I napoletani seguivan con ansia
questa lotta, tanto più che spesso palle e schegge di bom-
be cadevano sulla città, fischiando sinistramente. Il 24 a-
prile già cominciava ad aprirsi la breccia nella parte del
castello che guarda il Vomere, ma il presidio deliberò di
resistere ancora. Il 25 il fuoco era quasi cessato dall’alba,
non potendo più l’esiguo e stanco presidio della fortezza
resistere. Alla sera, inalzando bandiera bianca, il Losada
si rendeva; e il giorno dopo, uscitine gli austriaci, che fu-
rono benevolmente trattati, entravano in Sant’Elmo gli

un contemporaneo — essendosi giorni avanti bruciati dei manifesti di
re Carlo in Mercato, egli da una finestra, assistendo, avea in segno
di gioia gittati danari al popolo (Diario napol. cit. in Arch. Stor. Nap.,
X, 498).
(1) Morì nel 1721: fu sepolto nella chiesetta del castello. Vedi
l’epigrafe in Salazar, Op. cit., p. 55.
(2) Diario napoletano cit. in Arch. Stor. Nap., X, 619.
(3) Salazar, Op. cit., p. 57.
(4) Senatore, Giornale storico degli a. 1734-1735, in Nap., 1742,
p. 76-77.
(5) Gazzetta di Napoli del 1734. N. 18 del 20 aprile.
(6) Gazzetta cit. N. 20 del 4 maggio 1734.
(7) Senatore, Op. cit., p. 84.

spagnuoli; non essendo dalle due parti, nonostante il fuoco
tremendo, morte più di venti persone. La presa del ca-
stello avendo appassionati gli animi, molta gente nei giorni
che seguirono salì la collina a veder la breccia e gli altri
segni del cannoneggiamento, concorrendovi « spezialmente
il sesso imbelle, che fu veramente innumerabile, cui servì
questa congiuntura per un puro carnovaletto, perchè la
gente villeresca di quel contorno avea aperte più osterie
nella campagna per trar profitto da questo insolito con-
corso » (x).
Ma i cannoni di Sant’Elmo ripreser tosto l’ufficio loro,
poiché gli Spagnuoli se ne serviron subito ad espugnar
Castelnuovo, tirando di lassù « incessantemente a quella
volta » (2). Resosi anche Castelnuovo il 6 maggio seguente,
il io entrava in Napoli fra le più grandi feste Carlo di
Borbone, e due giorni dopo egli pure, salutato dal can-
none all’entrata e all’uscire (3), saliva a Sant’Elmo, per ve-
dere la fortezza e goder di lassù la dolce vista della città
conquistata.
Quanto ai danni che Sant’Elmo avea ricevuti, le ripa-
razioni furono « compiute con ottimo magistero » nell’a¬
prile del 1735, insieme con quelle dei castelli Nuovo e
dell’Ovo (4). « Cotesti castelli — scrive il Colletta par-
lando di quest’epoca — quando furono edificati, utili se-
condo il tempo, avevano le condizioni convenienti alle
armi di quell’antichità ed alla scienza comune di guerra.
Oggi sono a perdita d’uomini e di provvigioni, cittadelle
contro il popolo, ricovero ed ardire alla tirannide. Ingran-
dire il piccolo (sic) castello di Sant’Elmo tanto che allog-
giasse forte presidio di tremila soldati, e demolire i tre
castelli della città, sol che restassero batterie difenditrici
del porto, sarà il senno di futuro governo, quando in al-
tra età i reggitori di Napoli non temeranno le ribellioni,
guardati da leggi, giustizia e disciplina » (5).
Che il castello di Sant’Elmo, sia per difetto di muni-
zioni e di presidio, sia per colpa dei castellani, sia pel pro-
gredir dell’arte guerresca, si fosse mostrato debole l’avrà
notato da sè il lettore, avendo visto come facilmente esso
si rese agli austriaci nel 1707, agli spagnuoli nel 1734.
continua.
Fabio Colonna di Stigliano.

(1) Senatore, Op. cit., p. 84.
(2) Op. cit., p. 91.
(3) Gazzetta citata. N. 22 del 18 maggio 1734.
(4) Senatore, Op. cit., p. 320.
(5) Colletta, Storia, Capolago, 1834, I, 62.
 
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