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Napoli nobilissima — 5.1896

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https://doi.org/10.11588/diglit.69898#0192

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176

NAPOLI NOBILISSIMA

NOTIZIE ED OSSERVAZIONI
Le opere d’arte nelle chiese.
Del Diario di Annibaie Caccavella, pubblicato ed illustrato da An-
tonio Filangieri di Candida (Napoli, Pierro, 1896), ci occuperemo nel
prossimo fascicolo. Togliamo intanto dalla introduzione del volume
alcune notizie sulle solite barbarie commesse o lasciate commettere
dai Rettori delle chiese napoletane sulle opere d’arte ad essi affidate:
« I più clementi — scrive il Filangieri di Candida — si limitano
a nasconderle sotto il velame di cenci a vivi colori, di carte dorate
o di altro; i meno clementi poi non hanno neppur ritegno di forare
e di mutilare con sacrilega mano quei marmi, sui quali è ancor viva
l’impronta di qualche illustre scalpello.
« Simili atti di barbarie, che destano l’indignazione dell’intelli-
gente visitatore delle nostre chiese, sono moltissimi, e mi si permetta
qui citarne alcuni tra i più rilevanti, che ho avuto occasione di con-
statare, nella compilazione del presente studio; e massime a S. Gio-
vanni a Carbonara, che è addirittura un museo di stupende opere
d’arte, e che meriterebbe rimanere come un monumento nazionale, tol-
tavi la sede parrocchiale, che non concorre punto alla conservazione
dei tesori ivi raccolti.
« Qui la cappella dei Caracciolo di S. Erasmo che contiene le ta-
vole attribuite al Vasari ed un altare con ottimi rilievi, si trova mu-
tata in un indecoroso arsenale di rottami, di scale, di funi, di pali,
che, ingombrando il suolo e le pareti, non risparmiano neppure le
opere del pittore aretino. La cappella del favorito di Giovanna II,
monumento e personaggio che formano il maggior vanto di Casa
Caracciolo, ridotta ad abitazione di un gatto, che, sui quadrelli inve-
triati del quattrocento, riceve il suo pasto somministratogli dalla pietà
dei vicini, attraverso un’ogiva, per tutto un sistema di corde sulle
quali scorre un paniere (Il Faraglia nella nostra rivista, HI, 77, aveva
già notato queste corde, ma non aveva indovinato l’alto ufficio cui sono
destinate!).
« Nel grandioso mausoleo di re Ladislao v’ha statue mutilate a
causa del frequente legarvi intorno pesanti pali, onde elevare il con-
sueto baldacchino di colori smaglianti che, nella festività, nasconda il
discordante edilìzio con le vecchie ed annerite sculture del contra-
stato Ciccione.
« In S. Lorenzo, nel cappellone di S. Francesco, vi è tutta una
Via Crucis di niun valore, con i rispettivi candelieri di ferro inchio-
dati sulle pareti marmoree del cappellone, non solo, ma quanto sulle
tombe di G. Angelo Pisanello, e di uno della famiglia Cicinelli.
« Non parlo dell’abside di questa chiesa monumentale, la quale
chiesa, il Municipio ricorda di possedere solo quando qualcuno chiede
di studiarvi o fotografare taluno di quei monumenti, di cui fra non
molto non rimarranno che le fotografie! Se le fusate ogive di quella
ammirabile tribuna di stile archiacuto (certo la più leggiadra che ab-
biamo) fossero sfondate, il raggio fecondo del sole vi farebbe germo-
gliare quella stessa vegetazione che si trova in tanti altri monumenti
messi allo scoperto, ed affidati alla cura municipale; ove un natura-
lista riconoscerebbe tutta la flora di una regione tropicale, che s’ingi-
gantisce al punto da farci desiderare che anche le larghe novelle vie
fossero affiancate da monumentali edificii; onde avere un po’ d’ombra
benefica nell’estate, visto che nella nostra città la vegetazione non
si tollera che sui monumenti!
« E così, o per incuria del Municipio, o per devastazione dei re-
ligiosi, contro la quale il rimpianto Arcivescovo di Napoli Riario

Sforza fece una severa circolare, che disgraziatamente ebbe poco ef-
fetto, sono destinati a deperire numerosi monumenti, quando il troppo
zelo di qualcuno non voglia destinarli a finire piuttosto sotto la mano
di un restauratore ».
Il Filangieri di Candida tocca poi un altro tasto doloroso: quello
dei restauri, e cita come esempio di metodo sbagliato i restauri fatti
dal Travaglini, specialmente quelli—ahimè!—della cattedrale di
Capua.
*
# *
La storia dei pittori napoletani.
Il comm. C. Padiglione cortesemente ci comunica che il Minieri
Riccio tolse la notizia del libro del Buongiovanni, Vite de’ pittori an-
tichi napoletani, dal De Amato, Pantopologia calabra (1725), e dallo Za-
varroni, Bibliotheca calabra (1753). Ed entrambi questi scrittori danno
il libro come stampato a Napoli il 1674. Il Padiglione aggiunge ch’e¬
gli dubita per suo conto che il libro fosse mai pubblicato.
*
* *
Dal libro del Megiser.
Seguitando a spigolare qualche notizia in questo libriccino tedesco
del 1605, di cui parlammo nel numero passato, ecco ciò che vi si
legge sui palazzi di Napoli.
« Vi sono molte belle strade e vicoli in questa città, ma straor-
dinariamente bella è la strada di Toledo, fatta costruire dal viceré
Toledo, per allargare la città. Per la moltitudine dei fabbricati es-
sendo i vicoli troppo stretti, le case sono edificate assai alte, e fatte
in modo che al di sopra di esse si può passeggiare, godendo la vista
della città, del mare e dei contorni. Vi sono molti magnifici palazzi
splendidamente adornati, con giardini e fontane, che nessun re si ver-
gognerebbe di abitarvi; fra gli altri quelli del Principe di Sulmona a
Pizzofalcone, del Duca di Gravina, del Principe di Salerno. Quest’ul-
timo maestoso palazzo è chiamato comunemente il Diamante, perchè
i quadroni di pietra con cui è costruito sono tagliati a punta come
diamanti. Tal palazzo è stato comprato pochi anni sono dai Gesuiti
per 45 mila ducati, e ne hanno fatto una chiesa ed un Collegium per
la Società. Sulla porta di questo palazzo era l’arma del Principe di
Salerno, e sull’elmo un paio di come con questi due versi italiani:
Porto le corna che ognuno le vede;
Ma tal le porta che non se lo crede! ».
È evidente che qui il Megiser riferiva un aneddoto popolare. Il dicton
da lui citato è assai vecchio, e si trova applicato in parecchie occa-
sioni (vedi per esempio VHeptaméron della Regina di Navarra, Giorn. I,
nov. III). Dell’uso delle corna sugli elmi ha discorso in questa rivista
il nostro De la Ville (IV, 114).
Una correzione. Nel numero passato, di uno dei motti tedeschi,
che si leggevano sui cannoni protestanti fu data un’interpretazione
inesatta. Walt mass in alien Dingen: deve tradursi: Regni misura in
tutte le cose.
Don Fastidio.
 
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