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Bibliotheca Hertziana [Hrsg.]; Bruhns, Leo [Gefeierte Pers.]; Wolff Metternich, Franz [Gefeierte Pers.]; Schudt, Ludwig [Gefeierte Pers.]
Miscellanea Bibliothecae Hertzianae: zu Ehren von Leo Bruhns, Franz Graf Wolff Metternich, Ludwig Schudt — Römische Forschungen der Bibliotheca Hertziana, Band 16: München: Schroll, 1961

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https://doi.org/10.11588/diglit.48462#0458

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Vincenzo Golzio

prima d’iniziare l’opera, ma alle volte ancora dopo aver’a principiata, tanto da far gettare a terra il giä fatto
e percid non poträ mai ritrovarsi su qualunque traccia da lui lasciata quäle possa essere stata la sua idea.
Sembra dunque da quanto dice qui il Galilei ehe quando egli scriveva questo «Discorso » non esistesse piü
alcun progetto certo del Borromini per la facciata orientale di San Giovanni in Laterano. Cid contrasta
con quanto leggiamo nella «Breve esposizione di quanto sin’hora e seguito intorno alla facciata della
chiesa di S. Gioanni Laterano», nel «Concorso per l’opera della Facciata di S. Gio. in Laterano» (vedi
Appendice), e nel Hempel6. Questo studioso, attingendo alla «Breve Esposizione» suddetta, dice ehe
«quando nel secolo XVIII sotto Innocenzo XIII si trattö di erigere l’atrio e la facciata, i progetti del
Borromini ehe allora ancora si conservavano dovettero servire da modello. Da un discendente del maestro,
Giuseppe Pietro Borromini7, si acquistd per 600 scudi ... la pianta e il prospetto della facciata come pure
i progetti per la sistemazione della piazza ... In una seduta della congregazione del 26 ottobre 1731
si diede ancora la preferenza fra tutti ai progetti del Borromini». Ora questo «Discorso» del Galilei deve
essere certamente anteriore al 1732, anno in cui egli stesso venne a concorrere per la facciata, e pertanto
quei progetti borrominiani dovrebbero essere scomparsi proprio in quegli anni, se essi non sono la stessa
cosa di quello ritenuto falso dal Galilei medesimo.
Ma quello ehe contrasta ancora di piu con le notizie riferite dal Hempel e dai manoscritti sopra citati e ehe,
mentre parrebbe da esse ehe si accettasse ancora senza opposizione alcuna l’architettura borrominiana,
il Galilei dice ehe e pericoloso imitare la maniera del Borromini, perche questo e difficile a farsi senza
cadere nel gotico. Il Borromini infatti in gioventü apprese l’architettura gotica, «la quäle si compiace di
una certa apparenza di cose, e di certi Gapricciosi ritrovamenti di grandissima fattura, i quaü non hanno
proporzione ne grazia, ne convengono ragionevolmente al tutto, ne alle parti». Venuto poi a Roma,
sorpreso della grandiosa, proporzionata e bella maniera di architettura, vi si applico con tutto lo spirito
e ne apprese i fondamenti e le regele e la buona maniera, «ma non volle, o non seppe abbandonare
affatto la prima appresa in gioventü». Egli il piu delle volte riusci ad «accoppiare con grazia, e plauso
maniera Romana, e Gotica, e comporne una nuova, e sua particolare, ehe per potere essere bene imitata,
richiede un singolare ingegno, un profondo sapere, un ben purgato gusto, ed infinite avvertenze, altri-
menti si cade inevitabilmente nel Gotico . . . come qualche volta accadde allo stesso Borromino». Non
intende perö dire con questo «ehe non debba aversi tutta la riflessione a molti ingegnosi ornati fatti
da esso, e ehe non debba essere imitato, e seguito, particolarmente in quelli della chiesa di S. Giovanni,
ehe sono della piu bella, della piu soda, e real maniera, ehe egli abbia mai usato».
Poste le tendenze classicistiche del Galilei ehe abbiamo giä accennate, il suo giudizio sul Borromini appare
quanto mai equanime ed aperto a una giusta comprensione dell’arte di lui, se pure viziato dalla preven-
zione rinascimentale verso il gotico. Si noti perö ehe quando tratta del Borromini e della sua architettura,
il Galilei parla sempre di «ornati» e non di «forma»; della «forma» discorre subito dopo, per affermare ehe
essa e la cosa di maggiore importanza, «la quäle quando e eccellente, vale p ü di qualsivoglia ornato»;
dunque per lui il Borromini sembra non vada considerato sotto questo aspetto della «forma», ma solo
sotto quello dell’«ornato». E ehe cosa e la «forma» per il Galilei? Essa «non puö farsi, ne trovarsi da un
volgare, ed inesperto Architetto e semplicemente pratico, ma solo da quelli, ehe con lo studio delle Mate-
matiche, e dell’altre scienze necessarie per l’Architettura, e con la lettura dei buoni libri, e con la medi-
tazione sopra le buone ed eccellenti Fabbriche degli antichi Romani, abbiano appreso per via di princip j
a conoscere, e distinguere in ehe consista la bellezza, ed eccellenza di una Forma, e quali siano le sue parti
corrispondenti, e proporzionate alla Fabbrica da farsi, giacche questi sol' possono esser capaci di bene
adattarsi a qualunque sito; e a ben servirsi del poco, e del troppo, del cattivo, e del poco bene adattato
al proprio bisogno, ricoprendo coll’arte, e coll’ingegno i difetti dei siti, anzi ricavando da questi utile,
e comodo, o almeno ornato per l’Edifizio». E porta ad esempio di quanto egli afferma Michelangelo negli
edifizi del Campidoglio, e cita. il palazzo dei Conservatori (molto opportunamente, del resto, perche
questo e il solo edificio capitolino cominciato e portato avanti dal Buonarroti) come prova dei vantaggi
ehe a un edificio derivano dal la sua convenienza al sito. Cita poi San Pietro quäle esempio di aggiunte
sconvenienti ehe alterano il progetto originale e lo deturpano.

6 E. Hempel, Francesco Borromini, ed. it. Roma (1926), p. 74.
? In realtä si tratta di due persone: Giuseppe e Pietro Antonio Borromini. Vedi i documenti in Appendice.
 
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