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Bibliotheca Hertziana [Hrsg.]; Bruhns, Leo [Gefeierte Pers.]; Wolff Metternich, Franz [Gefeierte Pers.]; Schudt, Ludwig [Gefeierte Pers.]
Miscellanea Bibliothecae Hertzianae: zu Ehren von Leo Bruhns, Franz Graf Wolff Metternich, Ludwig Schudt — Römische Forschungen der Bibliotheca Hertziana, Band 16: München: Schroll, 1961

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https://doi.org/10.11588/diglit.48462#0454

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LA FACCIATA DI S. GIOVANNI IN LATERANO
E L’ARCHITETTURA DEL SETTECENTO
di Vincenzo Golzio
La storia dell’architettura romana del Settecento presenta caratteristiche tali da renderla degnissima
di attenzione per lo studioso dei fenomeni artistici e della mutazione del gusto. Tutti siamo abituati
a considerare i secoli sotto un angolo visuale divenuto ormai tradizionale, e siamo soliti a considerare
come ormai acquisiti una volta per sempre e definitivi certi caratteri ehe li distinguono e ehe ne formano
i tratti essenziali, come quelli ehe servono a distinguere un volto umano da altre migliaia di volti, simili
tutti negli elementi essenziali, ma tutti affatto differenti nei particolari. Ma i termini, pur tanto invalsi
nell’uso, di barocco e di rococb, per rimanere nel secolo o nei secoli ehe ei interessano particolarmente in
questa occasione, non sono ehe mere astrazioni: chi e l’autore di quei caratteri ehe vanno compresi sotto
i termini indicati ? Non forse gli artisti stessi ehe poi diciamo del barocco o del rococo ? Si compie quindi
una sorta di circolo vizioso: l’artista e barocco perche vive nel secolo del barocco, e il secolo e barocco
perche in esso vive e opera quell’artista ehe lo impronta del suo genio e del suo gusto. II Bernini operb nel
barocco e il Bernini e il genio del Seicento. Val meglio quindi teuer fede soltanto alle singole opere e ai
singoli artisti. Non si nega, ne lo si potrebbe, ehe taluni caratteri siano comuni a tutte le opere di certi
periodi, ma questi caratteri derivano da un genio ehe dotato di qualitä superiore li impone a tutti gli
altri, o da un caposcuola, come anche si dice con un termine ehe rende proprio questo concetto della
subordinazione dei minori al maggiore. Ma il critico deve cercare appunto come questi caratteri si siano
venuti formando, o meglio quäl fu il genio ehe li ritrovo e li impose col suo esempio. Potrebbe qui porsi
la domanda ehe si fa per tutti i fenomeni della storia: sono essi il prodotto della collettivitä o dell’indi-
viduo? Se si puö discutere su una concezione eroica della storia politica, credo impossibile negare tale
concezione per la storia dell’arte, essendo il fenomeno artistico opera sempre dell’individuo, anche se
esso in taluni casi diventa patrimonio comune di tutti, a tal punto da far dimenticare la sua origine
individuale, come in certe canzoni o melodie o poesie popolari, delle quali tratta il folklore.
La storia dell’ar chitettura del Settecento romano mostra proprio come nello stesso periodo, anzi negli
stessi anni, avessero luogo espressioni differentissime ehe non possono spiegarsi se non col prevalere dello
spirito individuale dell’artista e del suo gusto particolare sulle condizioni della tradizionee dell’ambiente.
Chi scrive ha giä tentato altre volte un’indagine su quest’aspetto dell’architettura romana del Settecento,
tanto interessante non solo per la storia dell’arte di quella cittä, ma anche per tutta la storia dell’architet-
tura e ancora piu per la storia generale del fenomeno artistico1.
Prima ancora di passare alla considerazione dei singoli artisti, osserviamo l’apparire in Roma di costru-
zioni, le quali, pur con caratteri propri ehe impediscono di considerarle semplici propaggini dell’arte
secentesca o di chiamarle, come altri vuole, neocinquecentesche, attestano ehe nel secolo ehe amiamo
tanto rappresentarci come quello della grazia e delle proporzioni minute e gentili-un secolo in minore -
persiste una tradizione veramente monumentale e del tutto consona alla classica tradizione della cittä.
Ed esse coesistono in modo sorprendente con quelle ehe amiamo piuttosto considerare come schiette
espressioni di quei caratteri settecenteschi or ora accennati, come se il secolo avesse due anime: una
grandiosa ed eroica, un’altra gentile e femminea.
Alla tendenza ehe possiamo chiamare monumentale appartengono il porto di Ripetta, di Alessandro
Specchi, del 1703, la Scalinata della Trinitä dei Monti, ehe reca la data del 1725, ma effettivamente fu
terminata nel 1726, opera di Francesco De Santis, la facciata di San Giovanni in Laterano del 1735, la
Fontana di Trevi, di Nicola Salvi, cominciata nel 1732 e terminata dopo molti anni da Giuseppe Pannini
nel 1762, ehe tuttavia, come e ovvio, riveste un suo carattere particolare per la sua stessa natura; alla
tendenza ehe non osiamo chiamare apertamente rococo, per quanto questo termine ci faccia comodo,
appartengono le architetture del Raguzzini e del Valvassori: al primo spettano l’ospedale e la chiesa di
Gallicano (1725-1726); la chiesa della Quercia (1727); le casette scenografiche davanti a Sant’Ignazio
(1727-1728); al secondo la facciata del palazzo Doria verso il Corso, del 1734. Sempre alla seconda
corrente vanno assegnate la facciata di Santa Maria Maddalena (1735), la chiesa di San Giuliano in Banchi
1 V. Golzio, Spiriti e forme dell’architettura romana del Settecento, «L’Urbe», III, 1938, n. 7, pp. 7—25.
 
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