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PIETRO TOESCA
cui figura il corpo ischeletrito, le occhiaie vuote e i denti che sporgono fra le rigide labbra
violacee, hanno tutto il carattere di essere stati ritratti dal cadavere.
Fu appunto tale aspetto della figura del beato Jacopo ciò che dovette dapprima indurre
ad attribuire la tavola a Leonardo Scaletti.
Infatti, nel « libro dell’entrata ed uscita » del convento dei Serviti, dalla cui chiesa pro-
viene la tavola, si legge: « e piu dedi a dì dicto (i giugno 1483) a m. lunardo de Scaletta
per la dipintura del beato jacomo philipo cioè quello che sopra all altare e per una spalerà
su la corte livere una » 1 ; e ciò parve, in tempo abbastanza recente, 2 per l’aspra impronta
naturalistica della figura del Beato, doversi applicare alla suddetta tavola, mentre in realtà
non si può riferire che ad una semplice immagine del beato Jacopo, come è dimostrato dal
tenue prezzo pagato allo Scaletti, e anche — ben a ragione fu osservato da G. M. Valge-
miglio 3 — dal trovarsi eseguita la pittura e collocata sopra l’altare già sette giorni dopo
la morte del monaco : tempo invero troppo breve per 1’ esecuzione di così vasta e diligente
pittura quale è quella che consideriamo. Giustamente osserva il Valgemiglio 4 che questa
potè invece essere eseguita per la cappella dei Manfredi, ai Servi, ove Galeotto volle fosse
sepolto il corpo del beato, dedicata a San Giovanni Evangelista che anch’esso appunto è
effigiato nel dipinto.
Tolto di mezzo quel documento, non vediamo per ora altre ragioni dell’ attribuzione a
Leonardo Scaletti; 5 che anzi, sapendo come questi già praticasse l’arte nel 1458, e nel 1495
fosse già deceduto, 6 troviamo poco probabile che nuove prove vengano in appoggio della
vecchia designazione, perchè se la tavola fosse davvero dello Scaletti, artista già maturo
di anni nel 1483, quando l’avrebbe eseguita, essa ci presenterebbe lo stile suo del tutto
ben definito, laddove, per altre opere che a quella credo si debbano riunire, è necessario
supporre che chi l’eseguì fosse ancor giovane e libero ad un ampio svolgimento di stile.
Conviene pertanto accontentarsi di designare l’autore della bella tavola di Faenza col solo
nome di maestro emiliano — e probabilmente faentino — della fine del Quattrocento.
* * *
Al medesimo Leonardo Scaletti è assegnata nella Pinacoteca faentina una tavoletta rap-
presentante Cristo morto che appare a mezzo corpo fuor del sarcofag'o.
Il dipinto sembra a primo aspetto un’assai debole cosa; ma, bene considerandolo, si
ritrovano molte finezze di modellatura nel torso del Cristo, vi si osservano, nel viso della
figura, le ciglia orlate di nero, e, in un velo bianco che copre i fianchi del Redentore, certe
pieghe a solchi profondi, quali veggonsi nella tavola proveniente dai Servi. 7 Si potrà adunque
ritenerlo del nostro maestro, qualora se ne spieghino le deficenze assegnandone l’esecuzione
ai primi tempi del pittore.
A un periodo assai più tardo dell’attività del maestro è invece da riportare un altro
dipinto che dal compianto Argnani, direttore della Pinacoteca, fu designato come opera
dello Scaletti.
E una tempera su tela, così malconcia da vecchi restauri che soltanto in piccola parte
1 Faenza, Biblioteca civica: Libro dell’entrata ed
uscita incominciando dall’ anno 1448 fino all'anno 1484,
fol. 119 verso.
2 Difatti nel 1761 furono chiamati due periti pittori
a giudicare dell’età del dipinto. Vedi G. M. Valge-
miglio, Dei pittori e degli artisti faentini dei secoli
XV e XVI, estratto dagli Atti e memorie di storia
patria per le provincie di Romagna, Faenza, 1864,
pag. io.
3 Vai.gemiglio, loc. cit.
4 Valgemiglio, loc. cit.
5 È falso quanto afferma il catalogo del « Burlington
Fine Art Club » (Exhibition oj Works oj thè School
of Ferrar a-Bologna, London, 1894, pag. 49) che la
tavola sia firmata.
6 Valgemiglio, loc. cit.
7 Non ha invece nessun fondamento l’attribuzione
allo stesso pittore di una piccola Crocifissione che ve-
desi nella stessa pinacoteca.
PIETRO TOESCA
cui figura il corpo ischeletrito, le occhiaie vuote e i denti che sporgono fra le rigide labbra
violacee, hanno tutto il carattere di essere stati ritratti dal cadavere.
Fu appunto tale aspetto della figura del beato Jacopo ciò che dovette dapprima indurre
ad attribuire la tavola a Leonardo Scaletti.
Infatti, nel « libro dell’entrata ed uscita » del convento dei Serviti, dalla cui chiesa pro-
viene la tavola, si legge: « e piu dedi a dì dicto (i giugno 1483) a m. lunardo de Scaletta
per la dipintura del beato jacomo philipo cioè quello che sopra all altare e per una spalerà
su la corte livere una » 1 ; e ciò parve, in tempo abbastanza recente, 2 per l’aspra impronta
naturalistica della figura del Beato, doversi applicare alla suddetta tavola, mentre in realtà
non si può riferire che ad una semplice immagine del beato Jacopo, come è dimostrato dal
tenue prezzo pagato allo Scaletti, e anche — ben a ragione fu osservato da G. M. Valge-
miglio 3 — dal trovarsi eseguita la pittura e collocata sopra l’altare già sette giorni dopo
la morte del monaco : tempo invero troppo breve per 1’ esecuzione di così vasta e diligente
pittura quale è quella che consideriamo. Giustamente osserva il Valgemiglio 4 che questa
potè invece essere eseguita per la cappella dei Manfredi, ai Servi, ove Galeotto volle fosse
sepolto il corpo del beato, dedicata a San Giovanni Evangelista che anch’esso appunto è
effigiato nel dipinto.
Tolto di mezzo quel documento, non vediamo per ora altre ragioni dell’ attribuzione a
Leonardo Scaletti; 5 che anzi, sapendo come questi già praticasse l’arte nel 1458, e nel 1495
fosse già deceduto, 6 troviamo poco probabile che nuove prove vengano in appoggio della
vecchia designazione, perchè se la tavola fosse davvero dello Scaletti, artista già maturo
di anni nel 1483, quando l’avrebbe eseguita, essa ci presenterebbe lo stile suo del tutto
ben definito, laddove, per altre opere che a quella credo si debbano riunire, è necessario
supporre che chi l’eseguì fosse ancor giovane e libero ad un ampio svolgimento di stile.
Conviene pertanto accontentarsi di designare l’autore della bella tavola di Faenza col solo
nome di maestro emiliano — e probabilmente faentino — della fine del Quattrocento.
* * *
Al medesimo Leonardo Scaletti è assegnata nella Pinacoteca faentina una tavoletta rap-
presentante Cristo morto che appare a mezzo corpo fuor del sarcofag'o.
Il dipinto sembra a primo aspetto un’assai debole cosa; ma, bene considerandolo, si
ritrovano molte finezze di modellatura nel torso del Cristo, vi si osservano, nel viso della
figura, le ciglia orlate di nero, e, in un velo bianco che copre i fianchi del Redentore, certe
pieghe a solchi profondi, quali veggonsi nella tavola proveniente dai Servi. 7 Si potrà adunque
ritenerlo del nostro maestro, qualora se ne spieghino le deficenze assegnandone l’esecuzione
ai primi tempi del pittore.
A un periodo assai più tardo dell’attività del maestro è invece da riportare un altro
dipinto che dal compianto Argnani, direttore della Pinacoteca, fu designato come opera
dello Scaletti.
E una tempera su tela, così malconcia da vecchi restauri che soltanto in piccola parte
1 Faenza, Biblioteca civica: Libro dell’entrata ed
uscita incominciando dall’ anno 1448 fino all'anno 1484,
fol. 119 verso.
2 Difatti nel 1761 furono chiamati due periti pittori
a giudicare dell’età del dipinto. Vedi G. M. Valge-
miglio, Dei pittori e degli artisti faentini dei secoli
XV e XVI, estratto dagli Atti e memorie di storia
patria per le provincie di Romagna, Faenza, 1864,
pag. io.
3 Vai.gemiglio, loc. cit.
4 Valgemiglio, loc. cit.
5 È falso quanto afferma il catalogo del « Burlington
Fine Art Club » (Exhibition oj Works oj thè School
of Ferrar a-Bologna, London, 1894, pag. 49) che la
tavola sia firmata.
6 Valgemiglio, loc. cit.
7 Non ha invece nessun fondamento l’attribuzione
allo stesso pittore di una piccola Crocifissione che ve-
desi nella stessa pinacoteca.