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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 10.1907

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Fasc. 3
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Schmarsow, August: Frammenti di una predella di Masaccio nel Museo cristiano vaticano
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https://doi.org/10.11588/diglit.24152#0248

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FRAMMENTI DI UNA PREDELLA DI MASACCIO

NEL MUSEO CRISTIANO VATICANO

el fascicolo V della scorsa annata
(1906) de L’Arte Osvald Sirèn ha
pubblicato alcune « Notizie cri-
tiche sui quadri sconosciuti nel
Museo Cristiano Vaticano », occu-
pandosi fra l’altro (pag. 332 e seg.)
di quattro frammenti di predella con storie di San
Nicolò da Bari, che egli attribuisce a Gentile da Fa-
briano. Egli afferma che il solo che sin qui li abbia
ricordati è un certo Schmarzow (leggi Scbmarsow), il
quale, nel quarto dei suoi studi intorno a Masaccio,
li ha riferiti a questo fiorentino ; « ma pensiamo (dice
il signor Sirèn) che la sua identificazione sia tanto
impossibile, che non abbisogni di una controprova».

Non c’è che dire: si tratta di un modo senza dubbio
molto comodo di combattere un’opinione contraria
alla sua! È ingenuità o disprezzo? Il dubbio è di
assai facile soluzione, poiché appare evidente che il
signor Sirèn o non ha letto bene ciò che si dice nei
miei studi su Masaccio o non l’ha attentamente com-
preso. La prima ipotesi si presenta come più proba-
bile dal momento che il suddetto signore non cita il
numero delle pagine e non mostra di sapere che le
quattro tavolette sono tutte pubblicate in fototipia
nelle tavole annesse al testo, per modo che il con-
fronto di esse con le opere autentiche del maestro
fiorentino può esser fatto molto comodamente. Egli
inoltre ignora pure che io ho riconosciuta la relazione
esistente fra Masaccio e Gentile da Fabriano anche
nelle predelle dell’altare di Pisa (galleria di Berlino)
e che sopratutto, a dar ragione della mia afferma-
zione, ho fatto la storia dello sviluppo artistico del
giovane pittore fiorentino.

Se il Sirèn avesse posto mente a ciò, il che è indi-
spensabile anche per rendersi conto della diversità
che passa fra le caratteristiche di colore ed i pregi
pittorici di Masaccio e l’arte dei suoi concittadini fio-
rentini, non gli sarebbe sfuggito come la sua attri-
buzione si accostasse alla mia.

In proposito convien ricordare come anche le due
tavolette dell’altare Colonna, provenienti da Santa
Maria Maggiore in Roma, ora nel Museo di Napoli
passarono per lungo tempo quali opere di Gentile da
Fabriano (vedasi il Rio ed il Catalogo della galleria).

E che cosa ci dice Osvaldo Sirèn a provare la sua
opinione? « Il pittore non può essere stato un vero
fiorentino, benché la sua arte si accosti molto alla
scuola fiorentina. I suoi tipi ci dicono che deve essere
cresciuto nell’Umbria.— Poiché una lunga discussione
delle particolarità dello stile di questo quadro richie-
derebbe troppe parole, diciamo subito che, secondo
noi... ».

Già, secondo noi: questo è tutto. E questa si chiama
critica storico-artistica ; e con tanta leggerezza si crede
di poter respinger il giudizio di uno scrittore che, in
favore della propria attribuzione delle pitture alla
scuola fiorentina e precisamente a Masaccio, ha fatto
ben altre prove e verifiche, prima di sentirsi abba-
stanza sicuro per sottoporre la propria opinione al
giudizio dei colleghi di studio. Precisamente questa
discussione delle particolarità si doveva fare, poiché
l’affermazione che i tipi siano quelli dell’Umbria, viene
privata del suo valore con una semplice asserzione in
senso contrario. Ed il resto, in quanto è fiorentino?

E poi, Gentile da Fabriano non ha vissuto ed
operato nell’Alta Italia prima della sua andata in Fi-
renze? I suoi tipi sono rimasti umbri in quel frat-
tempo ?

Il mio capitolo intorno ai quattro frammenti di
predella con « Istorie di San Nicolò » in Vaticano
(Masaccio, Studien, IV, pag. 82 e seg.) suona così :
Sotto più di un rispetto la relazione fra il ciclo di
affreschi di San Clemente in Roma e i lavori gene-
ralmente conosciuti di Masaccio, è costituito da una
serie di quattro piccoli quadretti che io già, nella
primavera 1884, scopersi nelle vetrine del Museo del
rinascimento della Biblioteca Vaticana e che d’allora
in poi ripetutamente io stesso ho ristudiato ed ho fatto

L'Arle. X, 27.
 
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