CORRIERI
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personaggio, i cui lineamenti ricordano Federico da
Montefeltro. Attorno alla composizione principale, entro
piccoli quadri, l’ignoto pittore dipinse Sant’Agostino,
San Girolamo, San Gregorio e Sant’Ambrogio. In
basso, accanto a un distico latino, si legge: H1ERO-
NIMO SANCTVCIO PR/ESVLE FACT. MENS. NO-
VEMR. M. CCCCLXXXXI1I.
La tradizione locale ascrive l’opera a Giovanni
Santi, ma sin dal 1898 C. de Fabriczy credè ravvisare
nel dipinto « piuttosto la mano del giovine Timoteo
della Vite ». L’anno passato l’avv. Giorgio Bernar-
dini esaminò il lavoro e gli parve di vedervi tutta la
maniera di Timoteo. Ma nel 1493, osserva giustamente
il Vernarecci (cfr. IL Gazzettino di Fano del io di-
cembre 1905), il Viti era in Bologna alla scuola_.de!
tite di lardo e altra carne di maiale), dall'untume di
che la pregevole opera d’arte venne, più che velata,
ricoperta dalla incredibile... cura degli abitatori di
quel palazzo, non panni possibile esaminare diligen-
temente, anche per l’insufficenza della luce, e senza
impedimenti di sorta l’antica pittura, nè per ciò accet-
tare o escludere con sicura conoscenza il nome del
giovine maestro di Raffaello.
Degli affreschi recentemente scoperti a Fano,
nella chiesa di San Domenico, avrei dovuto riferire
prima d’ora ai lettori dell’Arte, ma ho preferito ritar-
dare anziché parlarne per sentita a dire, come hanno
fatto altri che, valendosi delle pubblicazioni fatte in
proposito sui giornali locali non si sono trattenuti dal
Urbino, Chiesa di San Bernardino
Francia, e perciò quella data non gli sembra rendere
possibile l’attribuzione dell’opera al Viti; tuttavia
« senza riposare troppo sulle ipotesi e preferendo a
queste la ricerca dei documenti », il Vernarecci si do-
manda se il Viti non possa essere tornato in patria
per qualche mese, ad esempio tra l’agosto e il no-
vembre 1493, per compiacere il Santucci suo concit-
tadino coll’eseguire l’affresco.
Desideroso di conoscere un lavoro attribuito al
maestro che da tempo è per me argomento di par-
ticolare studio, mi recai or non è molto a Fossom-
brone e la mia prima visita fu per l’affresco del ve-
scovado, ma a dir la verità, nulla trovai in esso che
ricordasse la mano del Santi e nulla che accennasse in
modo sicuro all’arte dell’amabile discepolo del Francia.
Vero è che fin tanto che la pittura — ch’è senza dubbio
importante — non verrà liberata dal sudiciume (nella
piccola ex cappella, nella sala e nelle scale che la
precedono trovai una grande quantità di bozzoli in
putrefazione e su per le pareti vidi appese grosse par-
proporre persino nomi di artisti, quali autori proba-
bili degli affreschi, senza neppure vedere i dipinti.
È bene premettere che l’antica chiesa di San Do-
menico venne trasformata e deturpata nei primi anni
del secolo xvm, allo scopo naturalmente « di ridurla
— come dicono le memorie fanesi di quel tempo —
a tanta magnificenza e vaghezza >•>, e quale purtroppo
la vediamo oggi. Gli affreschi che si sono andati sco-
prendo in diversi punti della chiesa sono di epoche
e di mani diverse. Quello scopertosi nel coro, entro
a una nicchia, è il più importante. È in forma di lu-
netta e venne eseguito sopra la tomba di Pietro e
Ugolino de’ Pili, un medico e un giureconsulto del
Trecento. Rappresenta nel mezzo la Vergine col bam-
bino e altre due mezze figure di santi per parte. A
destra vedesi inginocchiata, in piccole proporzioni, la
figura del committente. I caratteri dell’artista con
quelle figure dagli occhi a mandorla e il naso sottile
e diritto, la bocca strettissima, il colorito chiaro, ecc.,
ci fanno pensare a un maestro di scuola umbra. Nel-
L'Arte, X, 20.
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personaggio, i cui lineamenti ricordano Federico da
Montefeltro. Attorno alla composizione principale, entro
piccoli quadri, l’ignoto pittore dipinse Sant’Agostino,
San Girolamo, San Gregorio e Sant’Ambrogio. In
basso, accanto a un distico latino, si legge: H1ERO-
NIMO SANCTVCIO PR/ESVLE FACT. MENS. NO-
VEMR. M. CCCCLXXXXI1I.
La tradizione locale ascrive l’opera a Giovanni
Santi, ma sin dal 1898 C. de Fabriczy credè ravvisare
nel dipinto « piuttosto la mano del giovine Timoteo
della Vite ». L’anno passato l’avv. Giorgio Bernar-
dini esaminò il lavoro e gli parve di vedervi tutta la
maniera di Timoteo. Ma nel 1493, osserva giustamente
il Vernarecci (cfr. IL Gazzettino di Fano del io di-
cembre 1905), il Viti era in Bologna alla scuola_.de!
tite di lardo e altra carne di maiale), dall'untume di
che la pregevole opera d’arte venne, più che velata,
ricoperta dalla incredibile... cura degli abitatori di
quel palazzo, non panni possibile esaminare diligen-
temente, anche per l’insufficenza della luce, e senza
impedimenti di sorta l’antica pittura, nè per ciò accet-
tare o escludere con sicura conoscenza il nome del
giovine maestro di Raffaello.
Degli affreschi recentemente scoperti a Fano,
nella chiesa di San Domenico, avrei dovuto riferire
prima d’ora ai lettori dell’Arte, ma ho preferito ritar-
dare anziché parlarne per sentita a dire, come hanno
fatto altri che, valendosi delle pubblicazioni fatte in
proposito sui giornali locali non si sono trattenuti dal
Urbino, Chiesa di San Bernardino
Francia, e perciò quella data non gli sembra rendere
possibile l’attribuzione dell’opera al Viti; tuttavia
« senza riposare troppo sulle ipotesi e preferendo a
queste la ricerca dei documenti », il Vernarecci si do-
manda se il Viti non possa essere tornato in patria
per qualche mese, ad esempio tra l’agosto e il no-
vembre 1493, per compiacere il Santucci suo concit-
tadino coll’eseguire l’affresco.
Desideroso di conoscere un lavoro attribuito al
maestro che da tempo è per me argomento di par-
ticolare studio, mi recai or non è molto a Fossom-
brone e la mia prima visita fu per l’affresco del ve-
scovado, ma a dir la verità, nulla trovai in esso che
ricordasse la mano del Santi e nulla che accennasse in
modo sicuro all’arte dell’amabile discepolo del Francia.
Vero è che fin tanto che la pittura — ch’è senza dubbio
importante — non verrà liberata dal sudiciume (nella
piccola ex cappella, nella sala e nelle scale che la
precedono trovai una grande quantità di bozzoli in
putrefazione e su per le pareti vidi appese grosse par-
proporre persino nomi di artisti, quali autori proba-
bili degli affreschi, senza neppure vedere i dipinti.
È bene premettere che l’antica chiesa di San Do-
menico venne trasformata e deturpata nei primi anni
del secolo xvm, allo scopo naturalmente « di ridurla
— come dicono le memorie fanesi di quel tempo —
a tanta magnificenza e vaghezza >•>, e quale purtroppo
la vediamo oggi. Gli affreschi che si sono andati sco-
prendo in diversi punti della chiesa sono di epoche
e di mani diverse. Quello scopertosi nel coro, entro
a una nicchia, è il più importante. È in forma di lu-
netta e venne eseguito sopra la tomba di Pietro e
Ugolino de’ Pili, un medico e un giureconsulto del
Trecento. Rappresenta nel mezzo la Vergine col bam-
bino e altre due mezze figure di santi per parte. A
destra vedesi inginocchiata, in piccole proporzioni, la
figura del committente. I caratteri dell’artista con
quelle figure dagli occhi a mandorla e il naso sottile
e diritto, la bocca strettissima, il colorito chiaro, ecc.,
ci fanno pensare a un maestro di scuola umbra. Nel-
L'Arte, X, 20.