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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 10.1907

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Fasc. 3
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24152#0263

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224

MISCELLANEA

una descrizione alquanto particolareggiata della statua
del San Cristofano. Tale era probabilmente contenuta
in quella descrizione della cappella Bichi, che l’abate
Galgano Bichi distese verso la metà del secolo decimo
ottavo e che manoscritta esisteva presso il senatore Sci-
pione Bichi Borghesi di Siena (v. Vasari, III, 688,
nota i). Quel brano del manoscritto, che si riferisce
alle pitture del Signorelli, fu pubblicato nella biografia
di quest’ultimo, scritta dal prof. Roberto Vischer
(Lipsia, 1879, a Pao- 242> nota 2); ma sfortunatamente
il passo in cui si parla della statua non fu ripro-
dotto. Supponendo che lo scritto dell’abate Bichi sia
passato coi manoscritti legati da Scipione Bichi Bor-
ghesi alla biblioteca comunale e all’archivio di Siena,
chi scrive si rivolse pei relativi schiarimenti alla gen-
tilezza del signor prof. Fortunato Donati, direttore
della comunale. Ma, purtroppo, ebbe da lui la no-
tizia, che lo scritto cercato non si trova fra i mano-
scritti Bichi Borghesi passati alla biblioteca e all’ar-
chivio, che, invece, è probabile essere dopo la morte
del legatario rimasto nella libreria Borghesi. Essendo
questa stata venduta, ogni traccia del manoscritto in
questione ora è perduta, e con esso anche scemata
la possibilità di fissare in modo ineccepibile l’identità
del San Cristofano della cappella Bichi con quello del
Museo del Louvre.

Ci sono, però, argomenti di probabilità abbastanza
fondati da convalidare questa identità. Per primo, dalla
circostanza che tutti gli astigrafi senesi, citati più sopra,
ascrivono la statua della chiesa di Sant’Agostino a
Jacopo della Quercia (benché erroneamente come verrà
dimostrato più sotto), si deve inferire eh’essa era una
opera esimia. Ora, se esaminiamo la statua del Louvre,
dobbiamo concedere ch’ella possiede pregi artistici suf-
ficienti per ammettere l’attribuzione, da parte delle vec-
chie Guide, al capo degli scultori senesi, vista la man-
canza di criteri seri negli scrittori di quei tempi, che
loro avrebbero permesso di distinguere con occhio più
acuto lo stile, la maniera dei diversi artisti, e visto che
per conseguenza essi in ogni opera d’arte alquanto pro-
minente vedevano la mano di quel sommo, divenuto
quasi l’unico rappresentante della patria scultura. In
secondo luogo, poi, il San Cristofano della cappella Bichi
è l’unica statua di questo soggetto, che dalle Guide viene
indicata; è dunque verosimile ch’era la sola per tutte
le chiese della città, almeno la sola che per le sue qua-
lità insigni meritasse menzione. Tutto questo, perciò,
rende se non incontestabile di certo molto verosimile
e plausibile l’identificazione del San Cristofano della
cappella Bichi con quello del Museo del Louvre, pro-
veniente da Siena e rivelante tutti i segni caratteristici
della scultura senese.

Resta per ultimo di determinare l’autore dell’opera
in questione. Che l’attribuzione di essa al Quercia,
allegata dalle vecchie Guide, sia inammissibile, non
occorre essere dimostrato a chiunque abbia qualche

dimestichezza colla maniera e le opere di quel maestro.
Ma esiste anche una ragione materiale che vieta l’attri-
buzione a lui. Sappiamo dalla notizia del Tizio che
le tavole del Signorelli fiancheggianti la statua del
San Cristofano furono eseguite nel 1498, e non abbiamo
nessuna ragione per supporre che quest’ultima (la cui
altezza, del resto, combina appunto con quella delle
tavole, alte metri 1,44) sia esistita già anteriormente.
Ora, nel 1498 il Quercia era morto da sessant’anni.
Del resto, nessuno dei biografi del maestro parla di
una simile opera di lui, e — argomento decisivo
questo — la nostra statua manifesta tanto chiaramente
lo stile della generazione posteriore degli scultori
senesi, fioriti nella seconda metà del secolo decimo
quinto, che nessuno dei critici d’arte d’oggidi che se ne
sono occupati, ha pensato di sostenere quella vecchia
attribuzione.

Il Courajod (al luogo sopracitato), forse attenendosi
all’opinione di Eugenio Piot, ascrisse la nostra statua al
Vecchietta, affermando che « le mani, la testa, la cintura
e il modo di trattare le pieghe riproducono colla più
stretta esattezza un modello familiare a questo artista,
che conosciamo dalla statua di San Pietro nella Loggia
de’ Nobili». Ma noi non possiamo scorgere nessuna
delle analogie allegate, nè nelle statue della Loggia,
nè nelle sculture in legno, che il Vecchietta eseguì
per Narni, Fojano e Siena (statue di Sant’Antonio
nella chiesuola del santo e nell’ oratorio della Mise-
ricordia), — opere quest’ultime, che nella pesante roz-
zezza differiscono del tutto dalla grazia nervosa della
statua del Louvre. Altri in quest’ ultima volevano
vedere la maniera del Cozzarelli ; ma anche questa
attribuzione ci persuade poco, giacché nelle sue statue
autentiche diversa è la trattazione dei panni, altro il
modo d’incedere, meno sentita, meno fine è l’espres-
sione nelle fattezze, non così svelte sono le forme,
non così graziosa e movimentata l’attitudine.

Noi, invece, per la nostra statua vorremmo metter
fuori il nome di Francesco di Giorgio, suggeritoci
dall’amico conte Carlo Gamba e da noi subito ac-
cettato. Fra le poche sue opere certe i due angeli
in bronzo sull’altare maggiore nel duomo di Siena, e
in ispecie quello dal lato destro, tradiscono analogie
di stile sorprendenti col San Cristofano del Louvre.
Si raffronti — con riguardo dovuto alla differenza del
materiale e del sesso — in ambedue le opere il modo
di trattare il panneggiamento colle pieghe allungate
e taglienti, il movimento leggiero e slanciato delle
gambe, la posizione piuttosto ricercata dei piedi, le
proporzioni svelte del corpo, la espressione quasi
trasognata ma piena di sentimento nelle fattezze di
squisita regolarità, e in generale la nervosità che pare
infusa a tutte le membra del corpo. Simili punti di
raffronto — benché meno stringenti — si possono con-
statare fra la nostra statua e parecchi degli angeli nel
grande bassorilievo in terra cotta dell’ Incoronazione
 
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