LA PRIMA DECA DI LIVIO ILLUSTRATA NEL TRECENTO A VENEZIA
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cano ; così della schiera dei Fidenati, che appariva come una grande moltitudine ai Romani
impauriti perchè ciascun milite portava fiaccole e tizzoni ardenti, abbiamo un solo guerriero
che avanza a passo pesante tenendo in mano la fiaccola.
È utile avere messo vicini i due guerrieri in simile atteggiamento, perchè essi mo-
strano chiaramente di essere fatti da mani diverse. Il primo è del disegnatore delle figure
slanciate tratteggiate nei contorni a colpi rapidi e netti e ombreggiate a piccole linee che
si tagliano a losanghe. E lo stesso che disegnò i due re seduti, e Tullio e Tarquinia che
tramano delitti, e il dittatore Camillo, e Manlio che complotta, ugualmente lumeggiando a
tinta gialla per segnare i finimenti dei cavalli, le cinture, le fodere delle vesti e spesso
anche per divisare calze e giubbetti di cavalieri. I disegni invece di quello che fece il sol-
dato che esce da Fidene, si distinguono facilmente per il colore di bistro chiaro dell’in-
chiostro, come ad esempio la figura di Pubblio Valerio, quelle delle donne leggere, quelle
altre che accompagnano la fanciulla d’Ardea, e parecchi di questi sono ombreggiati con
cura a linee parallele. Una diversa idea delle proporzioni e della struttura del corpo distin-
guono nettamente le figure di questo secondo artista, che dà ai corpi grossezza e consi-
stenza e abbonda nelle pieghe delle vesti, studiando di dare alle figure un aspetto vero e
caratteristico.
Una delle scene più belle disegnate da lui è la discussione davanti al popolo romano
della lite tra Arezzo e Ardea. Scaptio parla ai cittadini seduti sulle panche in attitudine
diverse con facce vere ed espressive ; benché ta-
luna rasenti la caricatura. Dei due consoli seduti
sullo stesso seggio l’uno piega la testa rattristato,
l’altro impone a Scaptio di tacere. Di forte carat-
tere è il vecchio tribuno, curvo per gli anni che
levatosi in piedi autorizza, contro il divieto del
console, Scaptio a parlare. Degli altri due tribuni,
tratteggiati con molto spirito, 1’ uno col pileo
guarda avanti pensieroso e risoluto; mentre l’altro
si volge ai consoli. Alcune figure, come quella
di Scaptio, sono state ombreggiate e ravvivate
anche da tinte leggere, altre ombreggiate discre-
tamente ed altre ancora segnate solo nei contorni.
Tutto il lavoro di ombreggiature, di ritocchi,
che ad esempio si può dire completo nella fi-
gura di Alessandro re di Epiro, dove i fondi sono rafforzati di violetto, in generale non
aggiunge bellezza al disegno, anzi l’insistenza nell’accentuare le espressioni, nel rinvi-
gorire le ombre rende molte scene e figure tutt’altro che piacevoli. A partire dalle figure
vivacemente disegnate si giunge, attraverso un crescendo continuo, a certe espressioni di
forza, di eccitazione, di rabbia che sorpassano ogni giusto confine. Qua e là pare di essere
avanti ai disegni di un ragazzaccio che faccia tutto brutto e' mostruoso. Ma per contrario
talune scene di battaglia sono veramente belle, hanno vita e forza da sorprendere. Mira-
bile è la grande battaglia dei Romani contro i Volsci (a. c. 87), quell’aggro vigliamento tre-
mendo di cavalieri e lo sforzo dell’alzarsi in sella e del ferire e del tenersi l’un l’altro
lontani a forza di braccia per far posto alle armi. Bella è pure la giostra dei due cavalieri ; dove
tanta è la prontezza del movimento che non si nota la brutta e mostruosa testa del cavallo.
E un disegnare rapido d’impressione, che ha piacere di rendere l’immagine con pochi
tratti di penna. Si veda, per esempio, la morte di Genucio (c. 109), ferito a tradimento dal
pedone mentre combatte un cavaliere, o l’impressionante assalto notturno al campo dei
Galli che giacciono dormenti ed ubbriachi e sono uccisi nel sonno.
Non dico che sempre si riesca a dire quel che si vuole; anzi talvolta il desiderio di
tutto rappresentare fa cadere nel ridicolo. Ma dobbiamo anche un poco tener conto delle
c. 119. Camillo assale nottetempo
i Galli nelle tende e ne mena strage
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cano ; così della schiera dei Fidenati, che appariva come una grande moltitudine ai Romani
impauriti perchè ciascun milite portava fiaccole e tizzoni ardenti, abbiamo un solo guerriero
che avanza a passo pesante tenendo in mano la fiaccola.
È utile avere messo vicini i due guerrieri in simile atteggiamento, perchè essi mo-
strano chiaramente di essere fatti da mani diverse. Il primo è del disegnatore delle figure
slanciate tratteggiate nei contorni a colpi rapidi e netti e ombreggiate a piccole linee che
si tagliano a losanghe. E lo stesso che disegnò i due re seduti, e Tullio e Tarquinia che
tramano delitti, e il dittatore Camillo, e Manlio che complotta, ugualmente lumeggiando a
tinta gialla per segnare i finimenti dei cavalli, le cinture, le fodere delle vesti e spesso
anche per divisare calze e giubbetti di cavalieri. I disegni invece di quello che fece il sol-
dato che esce da Fidene, si distinguono facilmente per il colore di bistro chiaro dell’in-
chiostro, come ad esempio la figura di Pubblio Valerio, quelle delle donne leggere, quelle
altre che accompagnano la fanciulla d’Ardea, e parecchi di questi sono ombreggiati con
cura a linee parallele. Una diversa idea delle proporzioni e della struttura del corpo distin-
guono nettamente le figure di questo secondo artista, che dà ai corpi grossezza e consi-
stenza e abbonda nelle pieghe delle vesti, studiando di dare alle figure un aspetto vero e
caratteristico.
Una delle scene più belle disegnate da lui è la discussione davanti al popolo romano
della lite tra Arezzo e Ardea. Scaptio parla ai cittadini seduti sulle panche in attitudine
diverse con facce vere ed espressive ; benché ta-
luna rasenti la caricatura. Dei due consoli seduti
sullo stesso seggio l’uno piega la testa rattristato,
l’altro impone a Scaptio di tacere. Di forte carat-
tere è il vecchio tribuno, curvo per gli anni che
levatosi in piedi autorizza, contro il divieto del
console, Scaptio a parlare. Degli altri due tribuni,
tratteggiati con molto spirito, 1’ uno col pileo
guarda avanti pensieroso e risoluto; mentre l’altro
si volge ai consoli. Alcune figure, come quella
di Scaptio, sono state ombreggiate e ravvivate
anche da tinte leggere, altre ombreggiate discre-
tamente ed altre ancora segnate solo nei contorni.
Tutto il lavoro di ombreggiature, di ritocchi,
che ad esempio si può dire completo nella fi-
gura di Alessandro re di Epiro, dove i fondi sono rafforzati di violetto, in generale non
aggiunge bellezza al disegno, anzi l’insistenza nell’accentuare le espressioni, nel rinvi-
gorire le ombre rende molte scene e figure tutt’altro che piacevoli. A partire dalle figure
vivacemente disegnate si giunge, attraverso un crescendo continuo, a certe espressioni di
forza, di eccitazione, di rabbia che sorpassano ogni giusto confine. Qua e là pare di essere
avanti ai disegni di un ragazzaccio che faccia tutto brutto e' mostruoso. Ma per contrario
talune scene di battaglia sono veramente belle, hanno vita e forza da sorprendere. Mira-
bile è la grande battaglia dei Romani contro i Volsci (a. c. 87), quell’aggro vigliamento tre-
mendo di cavalieri e lo sforzo dell’alzarsi in sella e del ferire e del tenersi l’un l’altro
lontani a forza di braccia per far posto alle armi. Bella è pure la giostra dei due cavalieri ; dove
tanta è la prontezza del movimento che non si nota la brutta e mostruosa testa del cavallo.
E un disegnare rapido d’impressione, che ha piacere di rendere l’immagine con pochi
tratti di penna. Si veda, per esempio, la morte di Genucio (c. 109), ferito a tradimento dal
pedone mentre combatte un cavaliere, o l’impressionante assalto notturno al campo dei
Galli che giacciono dormenti ed ubbriachi e sono uccisi nel sonno.
Non dico che sempre si riesca a dire quel che si vuole; anzi talvolta il desiderio di
tutto rappresentare fa cadere nel ridicolo. Ma dobbiamo anche un poco tener conto delle
c. 119. Camillo assale nottetempo
i Galli nelle tende e ne mena strage