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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 10.1907

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Fasc. 5
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24152#0419

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MISCELLANEA

377

come accartocciate : hanno generalmente delle fodere
fortemente e vivacemente colorate e l’artista ama di
piegarli in modo da metterle in mostra : le iridi degli
occhi sono di color bruno chiaro, circondate da una
linea netta di un bruno più scuro, come lo usavano
i pittori della vecchia scuola bisantina e italo-bisantina:
le barbe dei vecchi, come anche i capelli, mostrano
delle ciocche attortigliate, terminanti in piccoli liccioli
a chiocciola, stretti e tondi : gli orecchi degli uomini
sono generalmente piatti e tondi e quasi sempre vi-
sibilissimi e fuori dai capelli : gli orecchi delle donne
invece sono sempre nascosti : le mani hanno il pollice
molto lungo, stretto, rigido, non articolato, che dalle
mani, generalmente disegnate aperte, si stacca isolato
come uno stecco. Seguendo una abitudine proveniente
dalla antica iconografia greco-bisantina, 1’ autore usa
contemporaneamente aureole circolari e poligonali :
le prime per i Beati e i Santi o per le persone con-
siderate tali, le seconde per i personaggi principali
delle scene rappresentate.

Data l’estrema scarsezza delle opere note di questo
importante caposcuola dell’arte umbra, era desidera-
bile che si trovassero altri lavori suoi, e fu grande la
mia soddisfazione quando a Forlì potei rinvenire ed
acquistare una bella e grande tavola sua, che per le
strane vicissitudini del destino era stata trasformata
in una porta con bandelle e buco per la chiave e con
serratura che apparivano essere del xvi o xvn secolo.

Riproduco qui la fotografia del dipinto, rappresen-
tante una scena storicamente nota dell’ultima malattia
di Santa Caterina da Siena, scena che si svolse verso
la fine di aprile del 1380, ossia appena trent’anni
prima che l’artista lavorasse a questa tavola.

Le dimensioni della pittura sono: altezza crn. 136,
larghezza cm. 116.

Credo superfluo di fare la descrizione particola-
reggiata del dipinto, eseguito in colori chiari a smalti
perlacei, ma sarà utile che dica in quale stato di con-
servazione lo trovai.

Quando rinvenni il quadro, le teste e tutta la parte
centrale erano quasi intatte, salvo qualche graffiatura
ed una spaccatura passante attraverso la fronte del
vecchio coll’aureola che porta un libro in mano. Il
margine destro, lato sul quale erano le bandelle delle
quali ancora apparisce l’impronta sulla fotografia, si
trovava in buono stato, mentre il lato sinistro era
completamente sciupato dalle mani di chi passava per
la porta, dalla serratura e dagli urti che la porta do-
veva subire quando veniva chiusa o sbattuta. Questa
sciupatura si estendeva fino all’orecchio dell’uomo colla
barba e col berretto nero e fino alla mano di questa
stessa figura che sostiene Santa Caterina, seduta su
di una barella che le serve di giaciglio. Il fondo del
quadro, vicino a terra, era assai rovinato evidente-
mente dai piedi di chi spingeva la porta. I colori e
le linee del lettuccio e della coperta sono bensì quelli

originali, ma benché si vedano ancora deboli resti di
eleganti fiorami giallo-dorati che dovevano ornare la
coperta non fu possibile di ritrovare queste decora-
zioni.

Il giorno di Pasqua del 1380 Santa Caterina, già
da varie settimane gravemente inferma, sentendosi
vicina a morte, chiamò intorno al suo letto tutti i
suoi discepoli e fece loro un lungo sermone. Questa
è la scena rappresentata dalla nostra tavola, e mi piace
qui di osservare che i due soli quadri in tavola di
Lorenzo Salimbeni di Sanseverino che, per quanto
io sappia, ci sono stati conservati, si riferiscono am-
bedue alla storia di Santa Caterina da Siena. Quello
che egli dipinse a 26 anni ci rappresenta il mistico
matrimonio che unisce la Santa, ancora giovinetta,
allo sposo celeste, l’altro ce la mostra quando, giunta
al termine della sua vita operosa, sta per raggiungerlo
nei cieli.

Pisa, giugno 1907.

Roberto Schiff.

Opere d’arte a Sulmona. Due pittori ignorati.

— Quasi nel centro della città, immediatamente dopo
lo sbocco di quella parte del corso che tange la fonte
del Vecchio, si erge, di fronte a un acquedotto du-
gentesco, l’avanzo di un vetusto tempio di imponente
architettura. Era, dicono gli storici sulmonesi, 1 il
tempio dedicato a Santa Maria Maddalena, fatto co-
struire da re Carlo II d’Angiò, dopo che fu liberato
dalla prigionia di Barcellona; e ciò in adempimento
di un voto fatto alla Santa, la quale, come narra il
gesuita Ribadeneira, 2 lo avrebbe liberato dal carcere
e condotto a Narbona.

Non è mio intendimento di discutere le afferma-
zioni degli storici locali e il fantasioso ricamo intes-
suto dal Padre gesuita; solamente, per quanto occorre
a questa nota, devo rilevare che nel luogo ove fu
eretta la chiesa monumentale era, molto prima della
sciagura toccata all’Angioino, la chiesa con convento
dedicata al Poverello d’Assisi. 3 L’opera, quindi, del
pio re dovè limitarsi, come lasciali concepire le linee
pianimetriche ed i caratteri stilistici dei ruderi, ad
un ampliamento longitudinale della chiesa preesistente,
ampliamento che dovette dar posto ad un oratorio o
cappella dedicata alla Maddalena.

La nostra chiesa, già malconcia dal terremoto del
1456, 4 per cui si dovette ricorrere a riparazioni e mo-
dificazioni, e caduta quasi completamente per l’altro
terremoto del 1706, venne in parte riedificata e abbel-

1 De Matteis E., Memorie storiche dei Peligm, ms. presso
Pietro Piccirilli. Di Pietro, Memorie storiche della città di Sul-
mona, Napoli, 1805.

2 Vita di Santa Maria Maddalena.

3 N. Faraglia, Codice diplomatico sulmonese. Doc. lix, lxix,
lxxxiii. Carabba, Lanciano, 1888.

4p. Piccirilli, Monumenti sulmonesi, Carabba, Lanciano, 1888.

L’Arte. X, 48.
 
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