apoli nobilissima
RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
Vol. X.
Fasc. IV.
I.
I Carafa di Stigliano.
Il palazzo Cellamare a Ghiaia appare tutto chiuso ed
appartato dalla rumorosa strada sottostante. Posto in alto,
sul declivio della collina delle Mortelle, ha un po' l'aria di
un castello e volge verso il riguardante una maestosa fac-
ciata rossastra lavorata a mattoni, con un largo basamento
bruno di grossi quadroni di piperno, e un corpo avan-
zato di costruzione. Un cancello di ferro lo segrega dalla
strada: un albero di palma l'ombreggia: una graziosa porta
barocca, una specie di arco di trionfo, sorge più indietro,
come una decorazione di teatro, e sotto di essa passa il
viale d'ingresso, che si dirige in salita, senza che dal
basso si scorga dove riesca.
Anche ad osservarlo di fuori, dà all'occhio la mesco-
lanza del severo e del pomposo, del cinquecento e del
barocco, rispondente alle due fasi della prima edificazione
e del rifacimento. Allorché fu edificato, nei primi decenni
del secolo XVI, da Giovan Francesco Carafa, abate di
S. Angelo d'Atella U), era una casa di campagna. È appena
necessario ricordare ai nostri lettori che in quel tempo la
città di Napoli finiva, dal lato occidentale, con una linea
che può essere indicata dal Gesù Nuovo, dalla Pignasecca,
da S. Brigida, e dal Castelnuovo. La futura regione di
Toledo, coi suoi vicoli laterali, e il largo S. Ferdinando,
e il largo di Palazzo, non erano se non orti e giardini, dis-
seminati qua e là di qualche chiesa e convento, di qual-
che villa e di rustiche abitazioni. La strada di Chiaia con-
IL PALAZZO CELLAMARE A GHIAIA e) Isisteva in un sentiero campestre, avvallato tra le due col-
Iline delle Mortelle e di Pizzofalcone (A.
L'anno dell'edificazione non è noto: ma la casa dell'a-
! bate Carafa a Chiaia esisteva già nel gennaio 1533 (2).
Proprio in essa, in quel mese, il vicerè Don Pietro di
;Toledo tenne una riunione cogli Eletti della città e coi
! deputati della pecunia, per avvisare sul modo di procac-
ciarsi i danari occorrenti pel risanamento ed ampliamento
edilizio della città, che egli disegnava. Dalla riunione di
quei signori uscirono, naturalmente, deliberazioni di nuove
gabelle: e queste dettero luogo al tumulto popolare, di
cui fu agitatore Fucillo.
L'abate Carafa era nato da Luigi Carafa (discendente
da quel Malizia da cui si staccò anche il ramo dei duchi
di Maddaloni), e da Isabella della Marra, figliuola del conte
d'Aliano, ch'era inoltre signore di Stigliano in Basilicata.
1II suo fratello primogenito, Antonio, conte e poi duca di
Mondragone, ottenne da Carlo V nel 1522 il titolo di prin-
cipe di Stigliano. Dall'abate Carafa la casa di Chiaia passò
a suo nipote Luigi, secondo principe di Stigliano, nato
da Antonio e da Ippolita di Capua nel 1511, e marito di
Clarice Orsini (3).
A Torquato Tasso, mentre languiva nell'ospedale di
S. Anna, tornava alla memoria la bella villa del principe
di Stigliano a Napoli, da lui visitata o frequentata nella sua
gioventù, e nel dialogo il Gonzaga ovvero del piacere onesto,
scritto circa il 1580, mettendo in iscena Cesare Gonzaga
e il filosofo Agostino Nifo, detto il Sessa, faceva che
quest'ultimo parlasse così all'altro:
Agostino — Ditemi, sig.r Cesare: quale opportunità vi conduce
ora fuor della città?
Cesare — Niun'altra che di godervi, e di godervi lontano dalle
cerimonie delle Corti in alcun di questi vaghi giardini ap-
presso i quali quelli di Alcinoo e dell'Esperidi non sareb-
bero d'alcun pregio.
(*) Questi articoli sono il rifacimento di un vecchio mio scritto,
pubblicato nel 1891 col titolo: Il palazzo Cellamare e il Principe di
Francavilla. Vi ho fatto aggiunte in parecchie parti, e ho sfrondato
molte altre: ho messo inoltre le vignette che nella prima stampa si
desideravano.
(1) Aldimari, Hist. geneal. della fam. Carafa, II, 317, che cita Zaz-
zera. Vedi anche la Cronaca ms. del 1533 cit. dal Capasso, in Arch.
stor. nap., XV, 431.
(1) Vedi F. Colonna, La strada di Chiaia, in questa Rivista, vol.
VI (1897), pp. 145-9.
(2) Capasso, La Vicaria vecchia, in Arch. stor. nap., XV, 430-3.
(3) Vedi Aldimari, o. c., II, 315-7, 359-61, 383.