Overview
Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 10.1901

DOI issue:
Nr. 6
DOI article:
Morelli, Domenico: Filippo Palizzi e la Scuola Napoletana di pittura, [2], Ricordi: dopo il 1840
DOI Page / Citation link:
https://doi.org/10.11588/diglit.71019#0097

DWork-Logo
Overview
Facsimile
0.5
1 cm
facsimile
Scroll
OCR fulltext

apoli nobilissima

RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

Vol. X.

Fasc. VI.

FILIPPO PALIZZI
E LA SCUOLA NAPOLETANA DI PITTURA
DOPO IL 1840.
RICORDI.
(cont. e fine, vedi fasc. precedente).
Un anno dopo che la nostra rivoluzione fu soffocata nel
sangue, il concorso pel pensionato venne finalmente ban-
dito. Che ansia e che palpiti! Essere o non essere! per-
chè, con la pensione, si aveva modo di studiare a Roma,
si era certi di progredire, di dipingere grandi tele, di es-
sere riconosciuto come il migliore fra' giovani artisti; non
riuscire, invece, al concorso significava esser condannati
alla mediocrità o perdersi, come infatti avveniva sempre
ai concorrenti bocciati, che o si rifugiavano nella pinaco-
teca a copiare pei forestieri i quadri più ricercati o da-
vano lezione di disegno in qualche istituto.
Furono molti i concorrenti venuti da altre scuole: da
quella del Bonolis il più bravo e di bellissimo ingegno.
La mattina che si doveva fare ['extempore, eravamo tutti
convulsi. Ma, quando uscì dall'urna il tema: « l'Angelo che
appare a Goffredo dall'Oriente più lucente del sole », rima-
nemmo smarriti. Preparati a dare saggio di pittura verista,
che fare con questo tema per noi contro natura? Sbalzati
d'un tratto in altro campo, restammo l'Altamura ed io,
tutto il giorno, nella sala senza conchiudere nulla. Man-
cava solo un'ora al tempo assegnato; e, se non si dava
almeno uno schizzo, si restava fuori concorso. Ci deci-
demmo quindi a fare un disegno, così come veniva sotto
la mano, tanto per rimanere fra i concorrenti.
Durante tutto il tempo del concorso, si pronosticava del
trionfo che avrebbe avuto la scuola del Bonolis, con la
pittura del suo allievo, tanto bene educato all'arte. Più
che preoccupati, eravamo curiosi di vederla quella pittura:
l'Altamura non potette resistere alla curiosità; e, prima che
finisse il concorso, sfondò improvvisamente la tela che
chiudeva lo studio dell'allievo del Bonolis, vide il quadro ed
esclamò: « ma dite che venga a concorrere il maestro! ».

Però, finito il concorso ed esposti i lavori dei concor-
renti i migliori erano quelli dei giovani dell'Istituto. Il
quadro dell'allievo del Bonolis era per concetto quasi ri-
dicolo, di fattura grossolana e di una colorazione volgare.
Noi pertanto fummo tutti convinti, che nella scuola pub-
blica si poteva avere più largo insegnamento ed origina-
lità individuale, mentre nella scuola privata si finiva per
copiare o per imitare il professore.
Il giorno della decisione, fra tante pitture di scuole di-
verse, vi fu battaglia tra professori titolari ed onorari:
riuniti nella sala d'esposizione alle 8 del mattino, ne usci-
rono alle 4 pm. Altamura ebbe il primo posto, io il se-
condo, Maldarelli fu raccomandato. Entrammo sotto la tu-
tela del Direttore e del Ministro di Pubblica Istruzione.
Compresi dall'alta missione dell'arte, ed ispirati dalla si-
tuazione politica, noi eravamo disposti a dipingere, per i
nostri saggi, martiri ed oppressi.. Ma il Ministro doveva
approvare il tema da noi proposto per il saggio del primo
anno; ci fu forza quindi nascondere i nostri sentimenti.
Altamura propose un israelita esule in Babilonia; io un
neofita cristiano sulla tomba di un martire nelle catacombe.
Dopo sei mesi, Altamura, per cause politiche, ebbe un
salvacondotto e l'ordine di partire. Andò a Firenze, con-
tento di studiare in Toscana e far la vita dell'esule. Il
mio nome, non so come, non fu trovato nella lista della
polizia, ed io rimasi in Napoli, coperto dal titolo di regio
pensionato.
Ma l'aspirazione di tutta la nostra vita artistica fu de-
lusa. Il Direttore, per certi suoi imbrogli personali, non
poteva andare a Roma; e mise in campo tutt'altra ragione,
dicendo che noi altri giovani avevamo la testa ancora ri-
scaldata dalla rivoluzione, che a Roma la sua autorità non
sarebbe bastata a tenerci in freno, e che in Napoli con la
sua direzione si poteva progredire lo stesso. Nè per pre-
ghiere, nè per promesse di essergli in tutto ubbidienti,
riuscimmo a commuoverlo, e fummo condannati a rima-
nere qui, non rassegnati.
Io avevo una smania di vedere almeno quello che di-
pingevano gli artisti in altre parti d'Italia; e, appena ter-
 
Annotationen