!38
NAPOLI NOBILISSIMA
Fu già di nobiltà mia sterpe antica,
Nè brutta fui, nè pur cotanto bella;
Di vizj stata son sempre rubella,
D'alteri odiosa e d'umiltade amica.
Fuggito ho l'ozio, amata ho la fatica,
Sì come ogniun di me vede e favella;
E lodar son forzata or questa or quella
Con amor puro e con la mente aprica.
Nè lode prezzo mai, nè adulatori,
Nè veste adorne e nè donneschi effetti,
Come oggi al generai chiaro dimostro;
Ma sol d'onesti ed onorati fiori
Mi vo' fregiando il capo e gli alti oggetti,
Mercè del cielo e del bel seco! nostro.
Laura Terracina in età matura
(Dai Discorsi sopra le stanze, ediz. del 1567).
Hora esca fuor chi per me canta et scriva,
Ch'io non bramo cantar poco, n'assai,
Poiché mi veggio in tanti affanni e guai
Che del mio proprio cor mi veggio priva.
Chi mi darà più odenza come suole,
Poiché s'ha tolto al tempo che viveva
Ottinello, Terminio et Tarcagnota?
Di Tancillo non curo, nè mi duole
De la sua morte, perchè si credeva
Tener de la Fortuna in man la rota! (1).
Sembra da questi ultimi versi che le sue relazioni col
Tansillo, che l'aveva così leggiadramente lodata nei suoi
primi passi e ch'ella chiamava già « magnanimo, gentil,
dolce Tansillo », si fossero intorbidate negli ultimi anni
precedenti alla morte di lui (r dicembre 1,68) (2).
Noi sappiamo che la Terracina era ancora in vita l'ul-
timo di novembre del 1577, quando dava l'ultima mano
al suo nono zibaldone di versi e ne firmava l'epistola de-
dicatoria al Cardinal Ferrante de' Medici. L'essere il vo-
lume rimasto inedito, e il non trovarsi da quella data in
poi notizia alcuna dell'autrice, ci fanno supporre ch'ella
morisse in quel torno, qualche anno o qualche mese dopo,
quasi sessantenne (3)).
Benedetto Croce.
L'ACCADEMIA DEL DISEGNO
DAL 1815 AL 1860
(Contin. e fine).
Parimenti segue su per giù il vecchio indirizzo, tutta
la produzione artistica dal '40 al '45 a un di presso, meno
poche eccezioni.
Torna in onore la pittura a fresco, e Filippo Marsigli,
Camillo Guerra, Gennaro Maldarelli e Giuseppe Camma-
rano dipingono alla Reggia di Napoli la Sala d'Amore, la
Una nube di tristezza sembra pesasse sugli ultimi anni
della sua vita. Scriveva al Cardinal di Chiesa:
Son vissa, Monsignor mio, e vivo ancora
Con la penna, con l'aco e con la rocca,
Sperando di scacciar mie pene fuora.(1).
Le rime religiose e quelle funebri, che riempiono l'ul-
timo suo volume, ci confermano in questa impressione.
Morivano successivamente i suoi più cari amici; ed essa,
malinconica, intonava il cupio dissolvi:
Voglio morire anco io: a che son viva?
A che seguo più Apollo? a che soi rai?
Poich'ornar non mi posso il capo mai
Nè di bel lauro nè di verde oliva.
(1) Cod. cit., c. 15-16.
(1) Cod. cit., c. 73.
(2) Cod. cit., c. 87, è un sonetto al Tansillo, che comincia in certo
tono agro-dolce:
La pura bontà mia sempre mi noce,
Signor Tancillo mio, ma tutto adviene
Questo da la gran fè, che il cor mantiene,
C'humil mi forza farlo e non feroce.
A c. 92 è un son.: « Alla signora Luigia Tancillo, nella morte del
suo figliuolo».
(3) Nel Teatro delle donne letterate del Della Chiesa (Mondovì,
1620, p. 20) si reca la data del 1565: onde il Ricca, che suppone
Laura nata il 1525 e ritenendo quella per la data di morte, conclude
che morì a quarant' anni. Il Mazzarella di Cerreto (Biogr. cit.),
dice: « da quanto può dalle sue opere argomentarsi, ella non giunse
a vivere sino al 1570 ». L'Amante (0. c., p. 202) la fa morire nel
1580; ma non sappiamo se tragga la notizia da una fonte autentica,
che non cita, o se s'accosti al segno come per caso. — Il ramo, cui ap-
parteneva Laura, della famiglia Terracina, si estinse nel secolo XVIII,
con le figliuole femmine di Paolo Terracina, 5.° del nome. La casa
di Chiaia passò allora ad altri proprietarii; ed ora appartiene a sei 0
sette condomini.
NAPOLI NOBILISSIMA
Fu già di nobiltà mia sterpe antica,
Nè brutta fui, nè pur cotanto bella;
Di vizj stata son sempre rubella,
D'alteri odiosa e d'umiltade amica.
Fuggito ho l'ozio, amata ho la fatica,
Sì come ogniun di me vede e favella;
E lodar son forzata or questa or quella
Con amor puro e con la mente aprica.
Nè lode prezzo mai, nè adulatori,
Nè veste adorne e nè donneschi effetti,
Come oggi al generai chiaro dimostro;
Ma sol d'onesti ed onorati fiori
Mi vo' fregiando il capo e gli alti oggetti,
Mercè del cielo e del bel seco! nostro.
Laura Terracina in età matura
(Dai Discorsi sopra le stanze, ediz. del 1567).
Hora esca fuor chi per me canta et scriva,
Ch'io non bramo cantar poco, n'assai,
Poiché mi veggio in tanti affanni e guai
Che del mio proprio cor mi veggio priva.
Chi mi darà più odenza come suole,
Poiché s'ha tolto al tempo che viveva
Ottinello, Terminio et Tarcagnota?
Di Tancillo non curo, nè mi duole
De la sua morte, perchè si credeva
Tener de la Fortuna in man la rota! (1).
Sembra da questi ultimi versi che le sue relazioni col
Tansillo, che l'aveva così leggiadramente lodata nei suoi
primi passi e ch'ella chiamava già « magnanimo, gentil,
dolce Tansillo », si fossero intorbidate negli ultimi anni
precedenti alla morte di lui (r dicembre 1,68) (2).
Noi sappiamo che la Terracina era ancora in vita l'ul-
timo di novembre del 1577, quando dava l'ultima mano
al suo nono zibaldone di versi e ne firmava l'epistola de-
dicatoria al Cardinal Ferrante de' Medici. L'essere il vo-
lume rimasto inedito, e il non trovarsi da quella data in
poi notizia alcuna dell'autrice, ci fanno supporre ch'ella
morisse in quel torno, qualche anno o qualche mese dopo,
quasi sessantenne (3)).
Benedetto Croce.
L'ACCADEMIA DEL DISEGNO
DAL 1815 AL 1860
(Contin. e fine).
Parimenti segue su per giù il vecchio indirizzo, tutta
la produzione artistica dal '40 al '45 a un di presso, meno
poche eccezioni.
Torna in onore la pittura a fresco, e Filippo Marsigli,
Camillo Guerra, Gennaro Maldarelli e Giuseppe Camma-
rano dipingono alla Reggia di Napoli la Sala d'Amore, la
Una nube di tristezza sembra pesasse sugli ultimi anni
della sua vita. Scriveva al Cardinal di Chiesa:
Son vissa, Monsignor mio, e vivo ancora
Con la penna, con l'aco e con la rocca,
Sperando di scacciar mie pene fuora.(1).
Le rime religiose e quelle funebri, che riempiono l'ul-
timo suo volume, ci confermano in questa impressione.
Morivano successivamente i suoi più cari amici; ed essa,
malinconica, intonava il cupio dissolvi:
Voglio morire anco io: a che son viva?
A che seguo più Apollo? a che soi rai?
Poich'ornar non mi posso il capo mai
Nè di bel lauro nè di verde oliva.
(1) Cod. cit., c. 15-16.
(1) Cod. cit., c. 73.
(2) Cod. cit., c. 87, è un sonetto al Tansillo, che comincia in certo
tono agro-dolce:
La pura bontà mia sempre mi noce,
Signor Tancillo mio, ma tutto adviene
Questo da la gran fè, che il cor mantiene,
C'humil mi forza farlo e non feroce.
A c. 92 è un son.: « Alla signora Luigia Tancillo, nella morte del
suo figliuolo».
(3) Nel Teatro delle donne letterate del Della Chiesa (Mondovì,
1620, p. 20) si reca la data del 1565: onde il Ricca, che suppone
Laura nata il 1525 e ritenendo quella per la data di morte, conclude
che morì a quarant' anni. Il Mazzarella di Cerreto (Biogr. cit.),
dice: « da quanto può dalle sue opere argomentarsi, ella non giunse
a vivere sino al 1570 ». L'Amante (0. c., p. 202) la fa morire nel
1580; ma non sappiamo se tragga la notizia da una fonte autentica,
che non cita, o se s'accosti al segno come per caso. — Il ramo, cui ap-
parteneva Laura, della famiglia Terracina, si estinse nel secolo XVIII,
con le figliuole femmine di Paolo Terracina, 5.° del nome. La casa
di Chiaia passò allora ad altri proprietarii; ed ora appartiene a sei 0
sette condomini.