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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 10.1901

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Nr. 6
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Guarini, Giovanni Battista: Chiesette medievali in basilicata
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Notizie ed osservazioni
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Da libri e periodici
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https://doi.org/10.11588/diglit.71019#0112

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NAPOLI NOBILISSIMA

schi secolari e di fabulosae columbae, e a Rapolla, la piccola
cittadina del suo riposo e della sua morte 0).
Or essa sta librata sulla roccia, come un nido d'aquila:
e la pioggia e il vento battono gli affreschi ruinanti, cac-
ciandone gli uccelli che a frotte vi fabbricano i nidi. E
in alto della vòlta s'apre un largo foro buio tutto irto di
stalattiti scure: per quel foro — narra la leggenda popo-
lare e ripete il mandriano che s'azzarda ad accompagnarvi
alla grotta — scendeva dal cielo il cibo e la bevanda a
S. Biagio, che si macerava le carni sul nudo pavimento
della grotta, nell'austera solitudine della valle archerontina.
Giambattista Guarini.

NOTIZIE ED OSSERVAZIONI

La tomba di Virgilio.
Il signor G. de Muralt ci scrive:
«A proposito della visita di Giuseppe II alla tomba di Virgilio,
di cui è cenno nel numero del corrente maggio, sia lecito al sotto-
scritto che passò parte della sua vita nel fondo ove si trova detta
tomba, di far noto a chi vi s'interessa che presso un belvedere che
dava su Mergellina eravi un banco di piperno, con in mezzo incastrata
una lastra di marmo recante la seguente inscrizione dettata, così vuole
la tradizione, da Casimire Delavigne quando fu a Napoli verso il 1826:
PRÈS DU CHANTRE DIVIN, DONT LA LYRE IMMORTELLE
RÉPÈTAIT DES PASTEURS LES DOUX ET TENDRE VOEUX,
SUR CE BANC, CONSACRÉ PAR l'AMITIÉ FIDELE,
AMIS, REPOSEZ VOUS ET RESERREZ VOS NOEUDS!
« Tanto per la storia, che se crederanno pubblicare questa noti-
cina, glie ne sarà gratissimo il loro
« devotissimo
« G. DE Muralt ».
Errata.
Nel ricorreggere le bozze della lettera del signor Pietro Brayda,
pubblicata nel fascicolo passato, il sottoscritto non badò che alla com-
posizione mancavano alcune parole. Tale mancanza generò un po' di
confusione in quel che vi si afferma intorno al passaggio del patro-
nato sulla cappella in S. Lorenzo dagli Aldomorisco ai Brayda ai quali
appartiene tuttora. L'ultima degli Aldomorisco, Olimpia, donò quel pa-
tronato a Oddo di Brayda, figlio di Scipione, e nipote ex fratre di Ugo
di Brayda che nel 1579 aveva sposato Camilla Aldomorisco sorella
della donatrice.
Don Fastidio.

DA LIBRI E PERIODICI
Nella Rassegna d'Arte del maggio Corrado Ricci così risponde ad
alcune osservazioni pubblicate dal Venturi nella nostra rivista:
« Nella Napoli nobilissima dell'aprile Adolfo Venturi risponde di-
fendendo e giustificando molte delle osservazioni fatte alla sua Storia
dell'Arte italiana contro alla critica d'Alfredo Melani. Implicitamente
viene a rispondere anche a qualcuna delle riflessioni da noi pubblicate
nel primo numero di questa Rassegna, ed a queste sole ci giova repli-
care, senza entrare per nulla nell'altrui diatriba.

« A. V. cita le parole del Grisar: « La basilica di S. Apollinare
in Classe, presso Ravenna, possedeva i ritratti dei vescovi ravennati ».
D'alcuni a figura intera (Orso, Ursicino, Ecclesio e Severo) li possiede
ancora; ma nessun antico fa fede d'altri, e molto meno clipeati. I pit-
tori G. B. Roberti e Domenico Barbiani nel secolo XVIII non ebbero
assolutamente nessuna norma o avanzo o tradizione pel lavoro che
fecero, cosicché crediamo che il V. farà bene a levare quell'erroneo
ed inutile accenno del Grisar, in una ristampa della sua Storia del-
l'Arte. — Il Venturi, per la data dell'episcopato d'Ecclesio, cita la
Guida di Ravenna del Ricci del 1897; ma nella terza edizione, fatta
due anni or sono, dopo i radicali lavori di ristauro ai monumenti di
quella città, la stessa Guida reca che S. Vitale fu fatto erigere da Giu-
liano Argentario, per « ordine dell'arcivescovo Ecclesio (521-534), e
consacrato nel 547 dall'arcivescovo Massimiano », notizia ripetuta nel
fascicolo illustrato su « Ravenna » edito a Bergamo. — Insistiamo
infine a ritenere un equivoco dei signori Crowe e Cavalcaselle e del
Venturi, assegnare il musaico della cappella dell'arcivescovo Pier Cri-
sologo ad un tempo posteriore a quello di S. Vitale. Quel musaico,
del secolo V, si riattacca perfettamente, per carattere e per tecnica, a
quelli del battistero della Cattedrale (con l'uso nei volti di pietruzze
minori) e non certo a quelli infelicissimi e posteriori di due secoli,
che abbiamo nella parte inferiore dell'abside di Classe Fuori. D'al-
tronde, è difficile ritenere che Pier Crisologo non adornasse la sua
piccola cappella di musaico quando il suo monogramma si trova pro-
prio per ben due volte nel musaico stesso. Ed anche ammettendo che
fosse morto (anno 449) mentre il lavoro era appena iniziato, non si
può credere che, nel ben mezzo del ricco e maraviglioso palazzo epi-
scopale e nel periodo più glorioso e abbondante della vita ravennate,
si lasciasse rozza e sospesa una piccola opera per più d'un secolo, es-
sendo finiti i lavori di S. Vitale proprio cent'anni dopo!
« E quasiché tanti e così validi argomenti non bastassero, aggiun-
geremo come non fosse ancora compiuto S. Vitale (la cupola e i nic-
chioni restarono infatti disadorni) che già, sopravvenuto il misero e
perverso governo degli Esarchi, non si fece in Ravenna più nessuna
opera d'entità e tutto decadde, tanto che dai lavori di S. Vitale sino
ai tempi di Reparato (671-677) non si trova più opera decorativa di
sorta, e quella dei tempi di Reparato è semplicemente, per tecnica e
per forma, scandalosa, a mille miglia da quella della cappella di S. Pier
Crisologo.
« Il Venturi (che per quanto riguarda la costruzione di Sant'Agata
stimiamo abbia ragione) si accerti di ciò, e se ne valga a migliorare
l'opera sua, essendo questo il solo scopo a cui tendono i nostri ap-
punti, ben lontani dall'acerbità polemica, che a noi pure dispiace. Egli
infatti, non replicando agli altri nostri avvertimenti, è venuto a rico-
noscerli giusti; e così speriamo farà pure per questi ultimi, memore
del detto di Giacomo Leopardi che il riconoscere un errore è già una
bella prova di dottrina ».
*
Il grande affresco in Loreto Aprutino, capolavoro di arte antica, forma
argomento di un opuscolo del sac. Filippo Ferrari (Loreto Aprutino,
Di Vistea, 1900, p. 16). Dopo aver descritta questa pittura, il Ferrari
ne determina l'epoca al 1280, riferendosi ad un documento che egli
non riporta, come sarebbe stato opportuno.
Don Ferrante.

(1) V. G. B. Guarini, Curiosità d'arte medievale nel Melfese, pag. 2.
 
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