apoli nobilissima
RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
Vol. X.
Fasc. V.
FILIPPO PALIZZI
E LA SCUOLA NAPOLETANA DI PITTURA
DOPO IL 1840.
RICORDI.
Se l'antica amicizia e la lunga consuetudine artistica
col rimpianto Filippo Palizzi mi consentono di potervi
intrattenere, quest'oggi (r), intorno al suo nome glorioso,
non sarà inopportuno, io credo, narrarvi un po' di storia
della nostra scuola di pittura in questa seconda metà del
secolo, e di narrarvela così, discorrendo, semplicemente,
col solo sussidio della mia memoria. Gli artisti coetanei la
conoscono questa storia; e per ciò, io penso, dovrà esser
caro ad essi risvegliare nell'animo i ricordi delle fervide
speranze giovanili e gli entusiasmi della vita artistica di
un tempo.
Voi avete sentito elogiare Filippo Palizzi come rifor-
matore della pittura in Napoli — donde poi mosse la ri-
forma degli studi negli altri paesi d'Italia — e come colui
che combattè la scuola accademica; ma voi non potete
sapere che cosa si sia combattuto, nè quale veramente sia
stato il bene arrecato alla scuola nostra dalla detta riforma.
Per meglio apprezzarla, è necessario conoscere quale fosse
la vita intima della nostra piccola famiglia artistica di al-
lora e quale lo stato dell'arte in Napoli, allorché Filippo
Palizzi venne a studiare fra noi. Vi narrerò tutto questo
e vi aggiungerò qualcos'altra, che valga a farvi intendere
la vita dei giovani di quel tempo nel R. Istituto di Belle
Arti, e quella dei loro maestri. Non mi fermerò sulle date
precise: i periodi evolutivi dell'arte non si contano coi
tanti del mese di tale anno.
(1) Questo discorso commemorativo di Filippo Palizzi e dei suoi
tempi fu letto all'Accademia Reale di Napoli nella tornata del 21 giu-
gno 1900. Io però l'avevo pensato e scritto per i giovani dell'Istituto
di Belle Arti; e quindi ad essi rivolgo sempre la parola nel testo del
discorso, che ho creduto opportuno stampare nella sua forma primitiva.
(Nota di Domenico Morelli).
Quando i fratelli Giuseppe e Filippo Palizzi vennero in
Napoli, erasi compiuta una grande opera d'arte: il tempio
di S. Francesco di Paola; e si ammiravano da tutti quelle
statue di marmo sul portico e sul frontone, che voi, forse,
non avete mai guardate attentamente. Credo però che
avrete scorto e riconosciuto più volte il grande merito
delle due statue equestri in bronzo, poste sul davanti del
tempio, a piè della scala: una del grande Canova, l'altra
di Antonio Cali, napoletano. Quale è quella del Canova?
quale quella del Cali? voi potete facilmente scambiare l'una
con l'altra, tanto le uguaglia in tutto il merito e lo stile.
E da tutti invero si riconosceva il grande merito del Cali,
dalla famiglia artistica e dai concittadini: voi avete dise-
gnato il suo pugillatore come una statua antica.
Anche nell'interno della chiesa si ammiravano con ri-
verenza i quadri del Camuccini di Roma e del Benve-
nuti di Firenze: « Il miracolo del giovane risorto » e « La
Comunione di S. Ferdinando ». E noi giovani lungamente
li abbiamo considerati e studiati, quasi per ritenere a me-
moria quelle qualità pittoriche, che allora dovevano ser-
virci di scuola; ma l'arte dei due maestri era diversa: del
quadro del Benvenuti si aveva, a tutta prima, una bella e
simpatica impressione, in quello del Camuccini si do-
veva ammirare il maestro sapiente, il legislatore dell'arte.
Eravi pure un quadro del Landi di Parma, l'artista che
Pietro Giordani — nei suoi scritti d'arte — anteponeva
a tutti: « la Madonna vestita in bianco con due angioli
ai lati »; una pittura di un realismo imbellettato, che noi
rispettavamo, pur senza intenderla affatto.
Dei nostri eravi: « La morte di S. Giuseppe » del Guerra,
« Il S. Nicola Tolentino » del Carta, e « La morte di S. An-
drea Avellino » del De Vivo. Erano tutti maestri celebrati,
i quali vivevano in un'atmosfera superiore, e con ciò in-
tendo dire, che noi giovani non avevamo nessun contatto
intimo con essi; incontrandoli per via, facevamo loro di
cappello, inchinandoci, e solo qualcuno osava di baciar loro
la mano.
Tra i nostri artisti di quel tempo, primo era Filippo
Marsigli. Egli aveva già fatta una vera opera d'arte: il