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Napoli nobilissima — 1.1892

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NAPOLI NOBILISSIMA

dell’antica o le si pose accanto; e, se per qualche tempo
coesistettero, l’altra, l’antica, fu lontana da Napoli tanto
che la sua origine non ci riguardi se non pei rapporti che
potè avere con questa o fu compresa in quella che è oggi
la Napoli nostra, e qual nome ebbe? Il piccone che tante
volte ha sconvolto il suolo di questa Napoli sempre rin-
novantesi, non ha finora mostrato alla luce un solo rudero,
fra quelli che esso ha dissepolti e ricoverti per sempre,
che con certezza possa dirsi appartenuto a una città, a cui
la Napoli del VII secolo avanti Cristo si fosse sovrappo-
sta o messa accanto. Non una moneta, fra le tante e di
tanti varii e graziosissimi tipi che possediamo, ce l’ha ri-
velata, e il solo dato di fatto che ci resta è contrario al-
l’esistenza di quest’altra città nel luogo dove fu Napoli.
Chi guardi o ripensi tutto quel tratto della nostra città
che è compreso fra gli Incurabili a settentrione e S. Mar-
cellino a mezzogiorno, i vicoli di Mezzocannone, del Sole
e del Settimo Cielo a ponente e quelli di S. Nicola ai
Caserti e S. Maria d’Agnone fino ai Santi Apostoli ad
oriente, non può non restar sorpreso da questo regolaris-
simo quadrato solcato da oriente ad occidente da quelle
tre arterie parallele, che, per intendersi, sono le vie di
Forcella, Tribunali, Sapienza e da settentrione a mezzo-
giorno da tutti quei vicoli paralleli e simmetrici che le in-
tersecano, inseguendosi in tutta la sua lunghezza. È un mi-
racolo di disposizione conservatasi attraverso venticinque
secoli, e per essa ancora assistiamo, per dir così, alla ce-
rimonia con cui i primi coloni greci tracciarono, secondo
il loro costume, le linee sacre che dovevan chiudere e di-
videre la loro piccola Napoli; giacché non dovettero tro-
var altri ingombri su quel suolo coloro che potettero trac-
ciare un così minuto e bel piano regolatore.
Restano soli, a parlarci di altre città con altri nomi, gli
scrittori, poeti allora, precisamente il contrario d’oggi, anche
quando scrivevano la più umile prosa. Ma contro di essi e
delle loro favole allettatrici non basta tapparsi gli orecchi :
bisogna starsene attaccati all’albero maestro della verità do-
cumentata come Ulisse al canto delle Sirene, che, nelle
origini della nostra Napoli — non è chi non lo sappia —
hanno una così larga parte. Ed è appunto con l’introdursi di
queste favolose incantatrici della nostra storia antichissima
che spuntan fuori i nomi delle due altre città, le quali avreb-
bero preceduto Napoli su questa ridentissima spiaggia, Fa-
vero e Partenope. « Poi che Ulisse » — così profetizza Cas-
sandra presso un poeta greco del III secolo avanti Cristo,
Licofrone — « avrà vinte le Sirene, le tre figliuole di Ache-
« loo, Partenope, Leucosia e Ligea, una di essa sbattuta
« dal mare, accoglieranno la torre di Falere e le rive del
« Giani, e sul sepolcro che le sarà innalzato dagli abitatori
« di quelle contrade, le vergini, ogni anno, verranno a libare
« e a far sacrifizii di buoi in onor di Partenope, la Dea-

« uccello. » Ma nessun altro ci parla di questa Falera, al-
l’infuori d’un tardivo scrittore greco. La stessa espressione,
anzi, dell’oscuro raccoglitor di miti, Licofrone, non è chiara.
Torre, e sia pure città, di Falera, non accenna ad una città
di nome Falera più che città di Priamo non voglia indicar
una città di quel nome piuttosto che Troia. E un Falera,
eroe calcidese, sarebbe davvero venuto secondo un mito
in queste spiagge, e da un poeta calcidese potè opportu-
namente esser ricordato e congiunto alle memorie di que-
sti luoghi, dove erano i campi Falerni: il nome stesso,
notissimo, di questi campi accreditò la leggenda presso
qualche più tardo scrittore.
Non molto diverso è il caso di Partenope, il nome a cui
ogni Napolitano, per tradizione, unisce tutte le memorie
della città greca, quasi il nome di Napoli non possa van-
tare una egual nobiltà di nascita, quasi sia troppo vivo per
poter esser troppo antico. Sospinta, o condotta a queste
sponde dall’uccello divino, qui la Sirena ebbe il sepolcro
e la religione. Queste incantevoli spiagge, il riso infinito e
armonioso di questo mare che sfiora il lido in una quasi
immutevole calma, il tepido clima voluttuoso e l’aere se-
reno non trovarono, nel linguaggio poetico di tutti i se-
coli, una miglior personificazione d’una di quelle sirene
incantatrici, che, sedute sui prati di spiaggie ove è la quiete
d’ogni tempesta — così le descrive Omero — fra i resti
biancheggianti d’uomini cui fu dolce languire al loro fianco,
mandano il loro canto fascinatore. I poeti, attingendo a
fonti diverse la favola gentile, non seppero più dissociare
la descrizione di questi luoghi dal ricordo della vergine di-
vina e la città della Sirena Partenope non tardò a divenir
Partenope. « Anche la nostro Partenope » — dice Stazio,
l’antico poeta napolitano — « non è povera d’abitatori »;
e soggiunge : « la nostra Partenope, cui, trasportata oltre
« i mari, lo stesso Apollo mostrò con la colomba Dionea
« il mite suolo », usando così la voce nel doppio senso
ora della città, ora della Sirena cui unisce immediatamente
la descrizione di queste sedi, « che tempera il verno mite
« e la fresca estate, che bagna il mare tranquillo con pla-
ce cide onde (anzi egli dice torpentibus undis}, dove è una
« secura pace e gli ozii d’inoperosa vita, dove è un’eterna
« inturbata quiete e lunghi profondi sonni. » Il passaggio,
l’unione dei tre concetti, non potrebbe esser più evidente.
Nè gli altri scrittori che accennano alla fondazione di Na-
poli ci dànno ragguagli tali intorno alla pretesa Parteno-
pe, che si possa sulla loro scorta affermarne l’esistenza e
tanto meno stabilirne il sito. Alcuni, pure raccontando il
mito di Partenope o accennando ad esso, o, come Lico-
frone, ricorrono per denominarla ad altre espressioni come
quella di Città di Falera, o, come Stefano, uniscono i due
nomi di Falera e di Napoli, senza far seguire al cenno
della Sirena quello della città del suo nome, o, come Lu-
 
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