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Napoli nobilissima — 1.1892

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NAPOLI NOBILISSIMA


Le due statue dell’Apollo-David e della Minerva-Giuditta
hanno veramente un’aria e un atteggiamento michelangio-
leschi. — Io non dirò, tuttavia, che l’insieme dell’ar-
chitettura, degli ornati e delle statue, non riesca alquanto
pesante, e di poca sveltezza ed eleganza.
Ma il gioiello del monumento è la parte centrale, la
storia in mezzo rilievo, ch’è forse collocata in un modo
poco naturale e bizzarro, ma pure non senza grazia. È una
scultura trattata con finezza, e con molto sentimento del-
l’antico nell’aggruppamento, nei panneggi, nelle pose, nelle
espressioni.
Di minor valore sono gli Amorini che contornano il bu-
sto, e quelli che stanno ai lati dell’iscrizione. — Lavoro
veramente eccellente è invece il busto del Poeta, di fat-
tura semplice e vigorosa, che ricorda i bei ritratti della
scultura toscana del Rinascimento.
E dev’essere anche somigliante al suo originale. Il Cri-
spo riferisce che, morto il Sannazaro ed esposto il corpo
nella sua casa a Portanova, « un molto amico di Poeti
« e letterati » fece « imprimere il modello della faccia
<( e di tutto il teschio; lo quale oggi si vede al naturale,
« sopra il suo sepolcro di finissimo marmo » (0.
Un altro ritratto di Jacobo Sannazaro si conservava nella
libreria del Cardinal Seripando in S. Giovanni a Carbo-
nara (1 2 3 4 5). È noto poi quello attribuito a Raffaello, che ap-
parteneva alla collezione Lancellotti e ch’è riprodotto in-
nanzi alla Vita del Colangelo (3). Ma io lo credo piuttosto
di scuola veneziana e di quel Paolo de Agostini, scolaro
di Gian Bellino, che lavorava a Napoli, e che, come dice
il Summonte nel 1524, fece di sua mano «' l’immagine
« del Sannazaro ritratta al naturale insino al cinto (4) ».
*
* *
Ma chi fu l’autore del monumento? Sul piano superiore
della base si legge l’iscrizione : fr. jo. ang. flor. or. s.
fa. : Fra Giovan Angelo, fiorentino, dell’Ordine dei Ser-
viti, faceva. Cioè : Giovan Angelo Montorsoli da Poggi-
bonsi, o (ch’è quasi lo stesso) Poggibonsi da Montorsoli,
nato intorno al 1506, morto il 1563, che, insieme con
Raffaello da Montelupo, fu dei principali scolari di Miche-
langelo. Sono note le opere di lui nella sagrestia di S. Lo-
renzo, ad Arezzo, a Genova, a Messina (5).

(1) Cristo, Vita, in Opere volgari del Sannazaro, Venezia, 1741,
voi. II, p. 237.
(2) Ivi, p. 238.
(3) Colangelo, Vita di Giacomo Sannazaro, Poeta e cavaliere napo-
litano, 2a ediz., Nap., 1819, pp. 128-9.
(4) Pietro Summonte, nella nota lettera a M. A. Michiel del 1524.
Dove dà anche la notizia che Girolamo Santacroce ritrasse il Sanna-
zaro in medaglia.
(5) Vasari, ed. Milanesi, T. VI, p. 629 sgg. Perkins, Les sculpteurs
italiens, trad. frane., Paris 1869, voi. I, pp. 391-9.

E il Vasari — nella vita del Montorsoli, che aggiunse
nel 1568 alla nuova edizione della sua opera — racconta
per minuto come quel frate scultore assumesse l’incarico
del lavoro e lo menasse a termine. Il Montorsoli si recò
a Napoli « con speranza d’aver a fare la sepoltura di Ja-
« copo Sannazaro ». Ottenne l’intento, essendo stato pre-
ferito il suo modello ai molti presentati da altri scultori e
fu pattuito il compenso in mille scudi. Prese per com-
pagno all’opera Francesco Ferrucci detto del Tadda, di Fie-
sole, eccellente intagliatore, uno dei primi che lavorasse il
porfido, e lo mandò a cavare i marmi a Carrara, e gli al-
logò tutti i lavori occorrenti di quadri e d’intaglio. Essen-
dosene partito da Napoli, continuò i lavori a Firenze, a
Carrara, a Genova, dove gli capitò di recarsi; e finalmente,
pronto tutto, venne di persona a Napoli, a mettere su il
monumento nel luogo stabilito (T).
Questa versione del Vasari è confermata non solo dal-
l’iscrizione del monumento, ma anche da uno scrittore
napoletano, dal De Stefano, che nella sua opera stampata
—- si noti bene! — il 1560, cioè otto anni prima che u-
scisse l’edizione del Vasari contenente la vita del Montor-
soli, scriveva : « Nella detta chiesa sta posto un superbo
« sepolcro di marmo, qual fu scolpito in Genova da un
« frate del sopradetto Ordine, molto famoso scultore, nel
« quale sta sepolto il casto corpo di esso Sanazaro » (2).
Il Capaccio nel 1607 accettava, senz’altro, il racconto
del Vasari (3).
Se non che, questa concordia d’affermazioni è turbata
nel 1624 dal D’Eugenio, che vien fuori con un’altra ver-
sione : « Il tutto fu fatto da Girolamo Santacroce, nostro
« napolitano, scultore eccellentissimo ». Il frate compiè
semplicemente le due statue di Apollo e Minerva, lasciate
imperfette dal Santacroce per la sua morte immatura; e,
solo a questo compimento delle due statue, si deve rife-
rire l’iscrizione (4).
Coll’Eugenio fa coro, una settantina d’anni dopo, il Ce-
lano, il quale soggiunge che l’iscrizione indicante per au-
tore il Montorsoli fu fatta mettere dai frati Serviti (5).
Ma su quali argomenti s’appoggiano il D’Eugenio e il
Celano? Il D’Eugenio s’appoggia alla « relatione di Fran-
« cesco Curia (pittore) da noi più volte mentovato, et
« altri degnissimi di fede ». E il Celano dice d’aver sa-
puto la cosa da suo padre, che l’aveva saputa da suo nonno,
grande amico del Santacroce, al quale lo stesso Santacroce

(1) Vasari, VI, 1. c. Su Francesco del Tadda, cfr. I, 112, VII, 260.
Non tengo conto di ciò che dice R. Borghini, Il Riposo (ed. di Mi-
lano, 1807, III, 52-3), che segue, evidentemente, il Vasari.
(2) De Stefano, Descrittione, ff. 144-6.
(3) La vera antichità di Fazzuolo, Nap., 1607, pp. 13-7.
(4) D’Engenio, Napoli sacra, pp. 663-5.
(5) Celano, ed. Chiarini, V, 629-30.
 
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