RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
cipali rami dei Carafa della Stadera, ha rivolte le sue cure con grande
spesa al suo patronato, la Confessione di S. Gennaro nel Duomo di
Napoli, che è opera purissima del Rinascimento ed è tenuto forse il
patronato più notevole delle nostre case. Nè è da dubitare che il con-
cetto nobilissimo del Duca Riccardo trovi un’eco nel cuore della vir-
tuosissima consorte Errichetta Capece Latro, dama di grande coltura
ed autrice di versi celebratissimi.
Non ritorno sulla Confessione o Soccorpo che dir si voglia, perchè,
oltre ad antichi autori, ne hanno ultimamente ragionato Salvatore di
Giacomo e lo stesso presente Duca d’Andria. Ricorderò soltanto che
il bisavo, un altro Duca Riccardo, a sfogo di devozione al nostro prin-
cipal Protettore S. Gennaro, il cui corpo il grande Cardinale Oliviero
Carafa compose nell’altare purissimo di marmo bianco della Cappella;
vi sovrappose un altare barocco di marmi colorati finissimi, aggiun-
gendovi una enorme statua del Santo ed una balaustrata di un baroc-
chismo che Iddio vel dica. Il qual delitto non fu del povero Duca Ric-
cardo seniore, sì bene del suo inconcepibile tempo, nel quale già da
più di un secolo si logorava milioni a distruggere o a snaturare i
più belli monumenti, non pur da noi, ma nell’Italia tutta!
Ora il nostro tempo, è pur forza confessarlo, non ha un gusto d’arte
determinato. Ma nella caligine di tanti malanni, io scorgo un raggio
della Provvidenza nel desiderio, che si va facendo strada, di non ismar-
rir le patrie memorie, e di riporre in onore alcuni monumenti del
buon secolo dell’arte, sceverandoli per quanto è possibile del barocchi-
smo, che li aveva avvolti.
Onde l’odierno Duca d’Andria, non potendo patire l’opera del bi-
savolo in quel suo gioiello, che è il soccorpo di S. Gennaro, fece torre
con grande diligenza alcuni pezzi dell’altare barocco. E quando si ebbe
la sicurezza di trovarvisi ancor dentro l’antico semplicissimo e bellis-
simo altare della fondazione, che da un tondo come sostenuto da due
angeletti lascia veder la cassa, dove è custodito il corpo del Santo; il
Duca d’Andria pregò l’Eminentissimo Cardinal Sanfelice nostro vene-
rato Arcivescovo di acceder sopra luogo, e nominò una Commissione
composta del Principe di Satriano Filangieri, di Domenico Morelli, di
Mons. Aspreno Galante e della mia umile persona. Filangieri era am-
malato, epperò il Cardinale fu ricevuto dal Duca, dal Morelli dal Ga-
lante e da me. Principalmente il Cardinale e poi il Morelli ed io lo-
dammo molto il concetto del Duca di ritornare a novella luce l’an-
tico altare, senza rimuover nè punto nè poco l’insigne reliquia, e di
torre affatto la sproporzionata statua del Santo, surrogandola con un
piccolo busto in bronzo, e la balaustrata dell’edicola dell’altare: balau-
strata non di certo potuta volere da Oliviero Carafa e dal grande ar-
chitetto del monumento Tommaso Malvito da Como. E qui è da no-
tare che altro non dicemmo al Duca perchè di altro non ci richiese.
E quella fu l’ultima volta, nella quale, come avevo fatta da fan-
ciullo, mi beai nella statua marmorea, grande come il vero, di Oli-
viero Carafa, la quale sia del Malvito o di altro artista, è opera non
pur bella ma stupenda.
Il Principe della Chiesa, l’uomo politico e militare, una delle più
grandi glorie del nostro patriziato, si vedeva nella porpora, che faceva
un partito di pieghe vaghissimo, prostrato sull’inginocchiatoio a pre-
gare sul corpo del nostro principal Patrono. Nè era stato piantato in
mezzo alla Cappella, secondochè poi erroneamente si è scritto, sì bene
si ammirava alla sponda della navata inferiore, congiunto dal lato
dell’Evangelo all’edicola del Santo. Il qual luogo era il più acconcio
a quel miracolo di arte, essendoché veniva ad irradiarlo quasi tutta
la scarsa luce che penetra nella Confessione.
A capo di qualche anno, non avendo più nulla saputo de’ restauri
del Duca d’Andria, mi prese un giorno vaghezza d’andar nel soccorpo.
E postomi nella navata di mezzo, subito l’occhio si posò con ineffa-
bile compiacenza sul riapparso altare antico immaginato dal Malvito.
Ma, volgendo lo sguardo a mano manca, fui preso da spavento al
trovare sparito Oliviero Carafa. E con voce concitata e più alta che
la reverenza del luogo non avrebbe comportata, mi feci a richiederne
il custode. Il quale mi condusse dove il Duca Riccardo ha fatto tra
slatare la statua e l’inginocchiatoio del suo illustre maggiore, fra la
seggiola marmorea e l’altare, perchè sventuratamente aveva letto nel
Celano che appunto colà era stata posta dal Malvito per costituire con
la seggiola tutto un monumento. Io non nego questa verità storica.
Ma mi piange il cuore che per la mancanza di luce e l’ingombro
dell’altare la statua meravigliosa quasi più non si vegga, e resterà na-
scosta del tutto, quando, per le cerimonie della Chiesa, sull’altare ver-
ranno il Crocefisso e i candelieri!
Se nel passato secolo la colpa del trasporto della statua nella na-
vata inferiore fu del Duca Riccardo seniore, io la chiamerò sempre
una colpa felice, perchè la statua in luce si vedeva tutta e da tutti, e
non era punto nascosto, com’è al presente, il bellissimo marmoreo
inginocchiatoio, in cui si scorge sopra un drappo scolpito naturalissi-
mo, nella fronte un vago scudo Bramantino con le bande Carrafesche
e le insegne Cardinalizie, e ne’ lati ripetute due imprese anche Carra-
fesche: la stadera e il libro degli Evangeli.
Ciò dal lato estetico. Dal lato religioso, qual maggiore eccitamento
alla devozione a S. Gennaro che quel grande Principe della Chiesa
dalle forme sì ascetiche, che in mezzo a’ fedeli pareva li invitasse con
l’esempio alla preghiera?
Lettore, perdonami questa lunga diceria. A coloro che possono aver
saputo io essere stato una volta sola al principio de’ restauri onorato
dal mio carissimo congiunto ed amico di dare il mio parere, pongo
grande importanza a dichiarare che io non merito nè le lodi di chi
approva, nè le censure di chi disapprova l’ultima traslazione.
Carlo Capece Galeot/\
Duca della Regina.
Il Duca d’Andria, al quale queste osservazioni sono state comuni-
cate, risponde:
Prima di tutto, sento il debito di ringraziare il Duca della Regina
per le cortesi parole che ha voluto rivolgermi e pel modo cortese con
cui ha espresso la sua opinione avversa alla mia. E di questo non mi
meraviglio, poiché tutti sanno ch’egli possiede la scienza della cortesia.
Per conto mio, non ho nulla da aggiungere agli argomenti già ci-
tati, a favore dello spostamento della statua d’Oliviero Carafa, nel mio
articolo pubblicato nel primo fascicolo di questa rivista. Dell’opera mia
sarà giudice il pubblico. Io mi sento forte dell’approvazione di molti
illustri artisti e di persone competenti: mi duole solo che da questi
dissenta il Duca della Regina, colto e fine apprezzatore di cose d’arte.
Riccardo Carafa
Duca d’Andria.
*
* *
Commissione provinciale dei Monumenti.
La Commissione ha deliberato di comunicare integralmente i ver-
bali delle sue tornate alla nostra Rivista. E noi cominciamo col pub-
blicare il verbale della
Tornata del 23 aprile 1892.
La Commissione si è riunita sotto la Presidenza dell’on. signor Pre-
fetto Senatore Basile, con l’intervento dei signori: Comm. Bartolomeo
Capasso, Senatore Domenico Morelli, Principe Gioacchino Colonna di
Stigliano, Prof. Comm. Filippo Palizzi e Cav. Raffaele D’Ambra.
E si è deliberato: 1. di dar parere favorevole, su di un progetto
dell’ingegnere Beneventano, per restauri alla facciata della Chiesa mo-
numentale dei Gerolomini in Napoli, e per la costruzione di un can-
cello intorno allo scalone, onde garentirlo da altre devastazioni van-
daliche, e perchè cessi di essere notturno ritrovo di gente di mal co-
stume. Si è però suggerita una lieve modifica al disegno di detto can-
cello, nel senso che sieno tolte le lance al di sopra della cornice, e
vi sieno poste, invece, delle piccole punte di ferro.
2. Sulla richiesta dell’Amministrazione demaniale, che intenderebbe
utilizzare quella parte del fabbricato di S. Maria della Fede, che non
sia compresa in quello già ceduto al Municipio, per trasferirvi la scuola
Industriale A. Volta, si è espresso il parere, che sieno tolte, con l’as-
sistenza di uno de’ componenti della Commissione, le opere di pregio
artistico esistenti ivi, e siano collocate, per ora, come in luogo di de-
posito, nel Museo municipale di Donnaregina.
3. Che non abbia nessuna importanza storica, nè artistica, nè mo-
numentale, il fabbricato dell’antica Capitaneria di porto di Castellam-
mare di Stabia, che quel Municipio è stato autorizzato ad acquistare.
4. Che possano essere considerati soltanto pel valore venale, rap-
presentato dal peso, una pisside e due lampade appartenenti alla Con-
grega del SS. Crocifisso, sotto S. Paolo Maggiore, detta la Sciabica.
cipali rami dei Carafa della Stadera, ha rivolte le sue cure con grande
spesa al suo patronato, la Confessione di S. Gennaro nel Duomo di
Napoli, che è opera purissima del Rinascimento ed è tenuto forse il
patronato più notevole delle nostre case. Nè è da dubitare che il con-
cetto nobilissimo del Duca Riccardo trovi un’eco nel cuore della vir-
tuosissima consorte Errichetta Capece Latro, dama di grande coltura
ed autrice di versi celebratissimi.
Non ritorno sulla Confessione o Soccorpo che dir si voglia, perchè,
oltre ad antichi autori, ne hanno ultimamente ragionato Salvatore di
Giacomo e lo stesso presente Duca d’Andria. Ricorderò soltanto che
il bisavo, un altro Duca Riccardo, a sfogo di devozione al nostro prin-
cipal Protettore S. Gennaro, il cui corpo il grande Cardinale Oliviero
Carafa compose nell’altare purissimo di marmo bianco della Cappella;
vi sovrappose un altare barocco di marmi colorati finissimi, aggiun-
gendovi una enorme statua del Santo ed una balaustrata di un baroc-
chismo che Iddio vel dica. Il qual delitto non fu del povero Duca Ric-
cardo seniore, sì bene del suo inconcepibile tempo, nel quale già da
più di un secolo si logorava milioni a distruggere o a snaturare i
più belli monumenti, non pur da noi, ma nell’Italia tutta!
Ora il nostro tempo, è pur forza confessarlo, non ha un gusto d’arte
determinato. Ma nella caligine di tanti malanni, io scorgo un raggio
della Provvidenza nel desiderio, che si va facendo strada, di non ismar-
rir le patrie memorie, e di riporre in onore alcuni monumenti del
buon secolo dell’arte, sceverandoli per quanto è possibile del barocchi-
smo, che li aveva avvolti.
Onde l’odierno Duca d’Andria, non potendo patire l’opera del bi-
savolo in quel suo gioiello, che è il soccorpo di S. Gennaro, fece torre
con grande diligenza alcuni pezzi dell’altare barocco. E quando si ebbe
la sicurezza di trovarvisi ancor dentro l’antico semplicissimo e bellis-
simo altare della fondazione, che da un tondo come sostenuto da due
angeletti lascia veder la cassa, dove è custodito il corpo del Santo; il
Duca d’Andria pregò l’Eminentissimo Cardinal Sanfelice nostro vene-
rato Arcivescovo di acceder sopra luogo, e nominò una Commissione
composta del Principe di Satriano Filangieri, di Domenico Morelli, di
Mons. Aspreno Galante e della mia umile persona. Filangieri era am-
malato, epperò il Cardinale fu ricevuto dal Duca, dal Morelli dal Ga-
lante e da me. Principalmente il Cardinale e poi il Morelli ed io lo-
dammo molto il concetto del Duca di ritornare a novella luce l’an-
tico altare, senza rimuover nè punto nè poco l’insigne reliquia, e di
torre affatto la sproporzionata statua del Santo, surrogandola con un
piccolo busto in bronzo, e la balaustrata dell’edicola dell’altare: balau-
strata non di certo potuta volere da Oliviero Carafa e dal grande ar-
chitetto del monumento Tommaso Malvito da Como. E qui è da no-
tare che altro non dicemmo al Duca perchè di altro non ci richiese.
E quella fu l’ultima volta, nella quale, come avevo fatta da fan-
ciullo, mi beai nella statua marmorea, grande come il vero, di Oli-
viero Carafa, la quale sia del Malvito o di altro artista, è opera non
pur bella ma stupenda.
Il Principe della Chiesa, l’uomo politico e militare, una delle più
grandi glorie del nostro patriziato, si vedeva nella porpora, che faceva
un partito di pieghe vaghissimo, prostrato sull’inginocchiatoio a pre-
gare sul corpo del nostro principal Patrono. Nè era stato piantato in
mezzo alla Cappella, secondochè poi erroneamente si è scritto, sì bene
si ammirava alla sponda della navata inferiore, congiunto dal lato
dell’Evangelo all’edicola del Santo. Il qual luogo era il più acconcio
a quel miracolo di arte, essendoché veniva ad irradiarlo quasi tutta
la scarsa luce che penetra nella Confessione.
A capo di qualche anno, non avendo più nulla saputo de’ restauri
del Duca d’Andria, mi prese un giorno vaghezza d’andar nel soccorpo.
E postomi nella navata di mezzo, subito l’occhio si posò con ineffa-
bile compiacenza sul riapparso altare antico immaginato dal Malvito.
Ma, volgendo lo sguardo a mano manca, fui preso da spavento al
trovare sparito Oliviero Carafa. E con voce concitata e più alta che
la reverenza del luogo non avrebbe comportata, mi feci a richiederne
il custode. Il quale mi condusse dove il Duca Riccardo ha fatto tra
slatare la statua e l’inginocchiatoio del suo illustre maggiore, fra la
seggiola marmorea e l’altare, perchè sventuratamente aveva letto nel
Celano che appunto colà era stata posta dal Malvito per costituire con
la seggiola tutto un monumento. Io non nego questa verità storica.
Ma mi piange il cuore che per la mancanza di luce e l’ingombro
dell’altare la statua meravigliosa quasi più non si vegga, e resterà na-
scosta del tutto, quando, per le cerimonie della Chiesa, sull’altare ver-
ranno il Crocefisso e i candelieri!
Se nel passato secolo la colpa del trasporto della statua nella na-
vata inferiore fu del Duca Riccardo seniore, io la chiamerò sempre
una colpa felice, perchè la statua in luce si vedeva tutta e da tutti, e
non era punto nascosto, com’è al presente, il bellissimo marmoreo
inginocchiatoio, in cui si scorge sopra un drappo scolpito naturalissi-
mo, nella fronte un vago scudo Bramantino con le bande Carrafesche
e le insegne Cardinalizie, e ne’ lati ripetute due imprese anche Carra-
fesche: la stadera e il libro degli Evangeli.
Ciò dal lato estetico. Dal lato religioso, qual maggiore eccitamento
alla devozione a S. Gennaro che quel grande Principe della Chiesa
dalle forme sì ascetiche, che in mezzo a’ fedeli pareva li invitasse con
l’esempio alla preghiera?
Lettore, perdonami questa lunga diceria. A coloro che possono aver
saputo io essere stato una volta sola al principio de’ restauri onorato
dal mio carissimo congiunto ed amico di dare il mio parere, pongo
grande importanza a dichiarare che io non merito nè le lodi di chi
approva, nè le censure di chi disapprova l’ultima traslazione.
Carlo Capece Galeot/\
Duca della Regina.
Il Duca d’Andria, al quale queste osservazioni sono state comuni-
cate, risponde:
Prima di tutto, sento il debito di ringraziare il Duca della Regina
per le cortesi parole che ha voluto rivolgermi e pel modo cortese con
cui ha espresso la sua opinione avversa alla mia. E di questo non mi
meraviglio, poiché tutti sanno ch’egli possiede la scienza della cortesia.
Per conto mio, non ho nulla da aggiungere agli argomenti già ci-
tati, a favore dello spostamento della statua d’Oliviero Carafa, nel mio
articolo pubblicato nel primo fascicolo di questa rivista. Dell’opera mia
sarà giudice il pubblico. Io mi sento forte dell’approvazione di molti
illustri artisti e di persone competenti: mi duole solo che da questi
dissenta il Duca della Regina, colto e fine apprezzatore di cose d’arte.
Riccardo Carafa
Duca d’Andria.
*
* *
Commissione provinciale dei Monumenti.
La Commissione ha deliberato di comunicare integralmente i ver-
bali delle sue tornate alla nostra Rivista. E noi cominciamo col pub-
blicare il verbale della
Tornata del 23 aprile 1892.
La Commissione si è riunita sotto la Presidenza dell’on. signor Pre-
fetto Senatore Basile, con l’intervento dei signori: Comm. Bartolomeo
Capasso, Senatore Domenico Morelli, Principe Gioacchino Colonna di
Stigliano, Prof. Comm. Filippo Palizzi e Cav. Raffaele D’Ambra.
E si è deliberato: 1. di dar parere favorevole, su di un progetto
dell’ingegnere Beneventano, per restauri alla facciata della Chiesa mo-
numentale dei Gerolomini in Napoli, e per la costruzione di un can-
cello intorno allo scalone, onde garentirlo da altre devastazioni van-
daliche, e perchè cessi di essere notturno ritrovo di gente di mal co-
stume. Si è però suggerita una lieve modifica al disegno di detto can-
cello, nel senso che sieno tolte le lance al di sopra della cornice, e
vi sieno poste, invece, delle piccole punte di ferro.
2. Sulla richiesta dell’Amministrazione demaniale, che intenderebbe
utilizzare quella parte del fabbricato di S. Maria della Fede, che non
sia compresa in quello già ceduto al Municipio, per trasferirvi la scuola
Industriale A. Volta, si è espresso il parere, che sieno tolte, con l’as-
sistenza di uno de’ componenti della Commissione, le opere di pregio
artistico esistenti ivi, e siano collocate, per ora, come in luogo di de-
posito, nel Museo municipale di Donnaregina.
3. Che non abbia nessuna importanza storica, nè artistica, nè mo-
numentale, il fabbricato dell’antica Capitaneria di porto di Castellam-
mare di Stabia, che quel Municipio è stato autorizzato ad acquistare.
4. Che possano essere considerati soltanto pel valore venale, rap-
presentato dal peso, una pisside e due lampade appartenenti alla Con-
grega del SS. Crocifisso, sotto S. Paolo Maggiore, detta la Sciabica.