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Napoli nobilissima — 1.1892

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ii4

NAPOLI NOBILISSIMA

I.
Ritrovare di questo tempo la cappella di s. Aspreno non
è veramente una cosa molto semplice e facile. Potete dalla
via notissima di Monteoliveto scendere pe’ gradini di s. Giu-
seppe a Rua Catalana. Di qui infilate uno de’ vicoletti a
sinistra, quello dei Calderai, e vi troverete dentro la zona
dei nuovi lavori. Qua macerie di case abbattute, là costru-
zioni nuove, dovunque polvere che sale e che scende a
nugoli. Volgete ancora a sinistra, e sarete a capo d’una
strada che oggi si chiama dei Mercanti e anche del Sedile di
Porto, ma che una volta si chiamava Media. Andate innanzi
per questa via, e avrete a destra una linea di vecchie fac-
ciate, che ancora conservano la numerazione civica, ma
che la più parte sono state spogliate delle case loro. Più
in là, presso la chiesa di s. Onofrio, comincia lo steccato
che cinge le opere nuove. Non vi spingete fin là. Ricer-
cate invece fra i numeri di quelle vecchie facciate il nu-
mero 108. Esso sta accanto a un arco, a un supportico,
come si dice. Di qua avete l’accesso a un chiassuolo, in-
gombro degli arnesi e degli effetti dei tintori che lo abi-
tano, umido, lurido, fetido, ma un paio di secoli fa am-
mirato per « vaghissime fontane di acque perenni » e per
ornamento di archi a sesto acuto. Andate in fondo a que-
sto chiassuolo, e a mano diritta vedrete una porta di mez-
zana grandezza e di men che modesta apparenza, posta so-
pra tre scalini, e sormontata da una lapide di marmo con
una leggenda latina incisavi nel 1730. Basterà che vi fer-
miate a guardare quell’iscrizione, e subito vi vedrete din-
nanzi un brav’omo, una specie di sagrestano, che ha in
mano un mozzicone di candela e in cuore le più oneste
intenzione di sgombrare le tenebre come dagli occhi così
della mente vostra. Egli vi aprirà quella porta e v’intro-
durrà nel sacro recinto del delubro.
L’edifizio all’interno presenta la forma come d’una croce
monca d’un’asta. Qualche cosa a cui forse somiglia lo
scarabocchio che mi son permesso di schiccherare :

1. Via Sedile
di Porto.
2. Ingresso
della cappella.
3. Graticola
del finestrino
della cripta.
4. Balaustra.
5. Entrata
della sagrestia.
6. Scaletta
della cripta.


In fondo a ciascuna delle tre aste sorge un altare, ma-
linconicamente polveroso. Quello a sinistra, verso mezzo-
giorno, è decorato d’un quadro della Vergine a bassori-
lievo, ritenuto, secondo il Chiarini, opera antichissima, an-
teriore al X secolo. Ma il mio Cicerone me lo disse fat-
tura di Giotto; e io resto in mezzo fra i due, perplesso
come la nota bestia di Dante. L’altare a destra di chi en-
tra, di fronte al primo, mostra un crocifisso di legno, so-
vrapposto a un’antica croce dipinta. E il terzo, ch’è di
marmo, di fronte all’entrata, ha una tela della Vergine,
giudicata dello stile di Bernardino Siciliano. Accanto al pri-
mo, dal lato dell'Epistola, s’apre un usciolo che mette
alla sagrestia. E in fondo alla parete sinistra della piccola
tribuna se ne vede un altro, a capo d’un’oscura scaletta
per cui si scende al sotterraneo. L’apertura con graticola,
che si vede sul pavimento, appena entrato nella cappella,
vorrebbe dar luce appunto a questo sotterraneo.
Ma le cose che più danno all’occhio dentro la piccola
chiesa sono :
1. ) la pila dell’acquasanta. La vedete appena entrato, a
mano diritta, infissa per metà nel muro;
2. ) La balaustra della tribuna.
La prima consiste in un’urna cineraria di marmo bianco
in forma di calice, poggiata sopra un tronco di colonna
a spira. Senza dubbio, è opera romana del periodo clas-
sico pagano. In uno dei lati dell’urna è inciso il nome la-
tino di
Cn. Pompeius Epirus.
La seconda è formata di due lastre anche di marmo
bianco. Infisse per un dei lati alle pareti opposte della tri-
buna, vengono ad incontrarsi per fare con gli altri due
lati il piccolo ingresso. E qui terminano con due colon-
nine parallelepipede coronate da piramide quadra. Le due
lastre sono scompartite a plutei e rombi, ornate di rabe-
schi, di figure d’animali, di mostri, di vasi, di foglie, di
fiori a rilievi. Senza dubbio, è opera bizantina. L’orlo su-
periore delle due lastre è coperto da due spranghette dello
stesso marmo, su ciascuna delle quali è inciso un verso
greco. I due versi furono pubblicati la prima volta nel se-
colo passato, dal Sabatini. Ma solo ai giorni nostri li ha
restituiti alla vera lezione il comm. Capasso. Essi dicono
questo :
f Ricordati, Signore, del servo tuo Campalo e di Costantina
Consorte sua che edificarono questo tempio.
Si badi però che le due colonnine, che danno adito
all’altare, non fiancheggiano le due lastre e le relative
spranghette agli orli estremi, per modo da lasciarle vedere
intere. Vi si sovrappongono, invece, nascondendone un
lembo. Quindi quella a sinistra dello spettatore copre le
 
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