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Napoli nobilissima — 1.1892

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124

NAPOLI NOBILISSIMA

Il Vasari e il Borghini (il toscano Raffaello Borghini,
autore del Riposo) — dice, una volta fra le altre, il D'Eu-
genio nel 1624 — « non attesero ad altro sol che a
« lodare e prodigamente celebrare i pittori e scultori lor
« paesani, diminuendo e occultando la fama dei pittori e
« scultori napoletani e del Regno, i quali furono molti ed
«illustri sopra ogni altro». E con accento commosso, il
buon Canonico Celano : « Io non so veramente che disgusto
« avesse mai ricevuto il Vasari da’ Napoletani, che quando
« ha potuto nascondere qualche loro virtù, volentieri l’ha
« fatto; e pure quando egli fu nella nostra città, fu dai
« nostri virtuosi molto onorato. Non solo ha tolto que-
« st’opera al Santacroce (il sepolcro del Sannazaro)', ma
« ancora ha avuto cuore d’attribuire l’opere antichissime
« della nostra città a’ suoi compatrioti dicendo che la testa
« di bronzo del cavallo che sta nel cortile de’ signori Conti
« di Maddaloni sia del Donatello » (0.
Ma, per vedere in quanta discordia i lamenti del Ce-
lano stieno colla realtà, basti notare che, appunto nei due
esempi da lui citati, le affermazioni del Vasari sono state
confermate dalla critica moderna : la testa famosa del ca-
vallo è di Donatello, come ha provato chiaramente il
Principe Filangieri; la tomba del Sannazaro è del Mon-
tarseli, come credo d’aver provato io in questa nostra
Rivista (1 2 3). E così, quasi sempre.
Per lo meno strana è poi la pretesa di alcuni critici
moderni che accusano il Vasari di non aver tenuto conto
della fioritura dell’arte normanna e sveva nelle nostre pro-
vince, antecedente alla prima fioritura dell’arte in Toscana.
Di quelle opere noi, moderni, non ci siamo accorti se
non da una cinquantina d’anni in qua : figurarsi se poteva
badarci il Vasari alla metà del secolo XVI, e in pieno
classicismo! per non dire che nessuno avrebbe avuto mai
allora il pensiero, e la possibilità, di andare a cercare i
monumenti artistici medievali sparsi nelle Puglie e negli
Abruzzi e nelle Calabrie! (3).
L’opposizione al Vasari non prese, tuttavia, negli scrit-
tori nostri, la forma di una contro-storia dell’arte napole-
tana; e fino alla metà del secolo XVIII, le notizie sugli
artisti nostri e le polemiche contro di lui si trovano spar-
samente e, quasi direi, per incidente, nelle opere dei de-
scrittori della nostra città, quali il Capaccio, il D'Eugenio,
il Celano, il Parrino.
Il discredito del De Dominici ha gittate una luce equi-
voca anche sugli altri scrittori locali che han trattato d’arte.

(1) Celano, ed. Chiarini, V, 630.
(2) Cfr. Filangieri, La testa di cavallo di bronzo in Arch. Stor.
Nap., VII, 406 sgg., e B. Croce, La tomba di I. S., in Napoli Nobilis-
sima, I, 5.
(3) Alludo specialmente al Salazaro, e alla sua opera utilissima,
ma a torto diretta contro il Vasari.

Ma a torto : il Capaccio, il D'Eugenio, il Celano, ecc.
hanno accolto con facilità qualche tradizione poco sicura,
che riusciva a gloria dell’arte napoletana, o hanno sba-
gliato per altre ragioni, come sbagliamo tutti; ma sono
scrittori di buona fede, e delle loro notizie bisogna fare
molto conto, beninteso cum grano salis.
Certo, per tornare all’esempio già citato, il Celano at-
tribuisce all’antichissimo cavallo di bronzo, insegna della
città, ch’era sulla piazza del Duomo, la testa di cavallo di
bronzo del Palazzo Maddaloni, che per l’affermazione del
Vasari e per le ricerche moderne risulta invece lavoro del
Donatello. Ma egli segue così una congettura appoggiata
alla Cronaca di Partenope e messa fuori pel primo dal
Tarcagnota e ripetuta dal Summonte, dal Capaccio e da
altri. Egli parla di un Colantonio del Fiore, artista napo-
letano, autore di un quadro ch’è a S. Antonio Abate, ch’è
firmato invece Nicolai Thomasi de Flore, cioè de Florentia,
di Firenze. Ma si tratta di uno sbaglio di lettura : un Ma-
stro Colantonio, pittore napoletano, è esistito davvero, co-
me afferma anche, nel 1524, il Summonte che merita ogni
fede : con questo nome in mente, il Celano lesse male la
scritta. O che non abbiamo veduto ai tempi nostri — mi
si consenta di citare questo esempio, ormai classico — un
professore dell’università di Roma leggere su una tomba
Promissio Petri Bucionis, in luogo di Promissio retribucionis,
e creare un Pietro Buccione, che non era mai esistito? Un
altro sbaglio di lettura è il Mastro Simone Cremonese, autore
della tavola di S. Ludovico in S. Lorenzo, ch’è invece
Simone da Siena, Simone Menimi. Si dica lo stesso di
varie attribuzioni false e tradizionali di opere d’arte : ma
non vediamo, anche ai giorni nostri, con grande facilità,
classificare e riconoscere al tale o tal altro artista quadri
e statue sopra vaghe impressioni e senza nessun criterio
fermo? Ma questi ed altri errori non distruggono il valore
delle loro opere, scritte in piena buona fede. E ad esse
bisogna risalire, talvolta, anche per contraddire il De Do-
minici. Non è forse il D’Engenio che, parlando delle pit-
ture del chiostro di S. Severino, le attribuisce apertamente
ad Antonio Solario detto lo Zingaro, singolare pittore ve-
neziano?
Questo, riguardo alla buona fede. — Ma il D’Engenio,
il Capaccio, il Celano, il Parrino si servirono di fonti che
ora noi non abbiamo più a nostra disposizione : memorie
manoscritte; tradizioni; documenti conservati nelle chiese,
nei conventi. Non sono scrittori critici, ma una sorta di cro-
nisti, che ci possono esser molto utili, e che in mancanza
di documenti migliori rappresentano una certa autorità.
Tuttavia, la loro intelligenza delle cose d’arte è scarsa,
e le tradizioni che raccolgono sono, spesso, malsicure. Uno
d’essi, il Parrino, ha, in un certo punto, coscienza di questa
malsicurezza, e dopo aver ripetuto alcune attribuzioni cor-
 
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