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Napoli nobilissima — 1.1892

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I3o

NAPOLI NOBILISSIMA

Ma queste fortificazioni, guardate dal piccol numero di
soldati, non poterono sostenersi, quando nel 21 agosto ri-
cominciarono i tumulti. Mentre i popolari del Lavinaio e
del Mercato « che furono sempre i primi a commettere
« ogni male », assaltavano indarno il palazzo reale :
Onofrio Cafiero, il fratello, e i fratelli Barone, capitani degli abi-
tanti del quartiere di S. Lucia e di Ghiaia assalirono l’alto di Pizzo-
falcone, salendo per i vicoli che vi vanno dalla prossima riviera del
mare, per la salita che viene dalla Porta di Ghiaia, e per lo ponte
nuovo delle mortelle. E tentando il Maestro di Campo Prospero Tut-
tavilla di far difesa, il quale si era colà fortificato con trincee e mez-
zelune coi soldati del suo terzo, gli venne ordine dal Viceré, che ab-
bandonando quel posto si ritirasse in palagio, ove quella gente era
più necessaria. Onde Prospero, patteggiando con uno dei fratelli Ba-
rone, che non gli desse noia alcuna, si avviò verso il palagio, posta
la sua gente in buona ordinanza, ed in mezzo di essa buon numero
di cavalieri Napoletani e Spagnuoli, che abitavano a Pizzofalcone, ed
erano colà concorsi per salvarsi da quella furia, tra i quali Giuseppe
Caracciolo Principe di Atena, il Marchese di Pisciotta Pappacoda,
D. Eligio Sersale, fra Carlo Pagano, il Marchese di Postiglione, D. Carlo
di Montoia, ed altri che velocemente camminando per lo largo di Pa-
lazzo, fra le palle delle moschettate, che tiravano gli Spagnuoli ed i
popolari, che aveano occupate la chiesa della Croce, quella di S. Luigi,
di S. Spirito, ed il Palaggio di D. Bernardino di Cordova, pervennero
salvi entro le trincee amiche, senza perdersi niuno (1).
Così i popolari, insignoritisi di Pizzofalcone, tolsero tutte
le armi e le munizioni da guerra, che vi erano, saccheg-
giarono le case, e trucidarono quanti spagnuoli o nobili
potettero avere nelle mani. E furono fortunati quelli che
travestiti riuscirono a ricoverarsi nelle rocche o a nascon-
dersi nei pozzi e nelle cantine, o trovarono uno scampo
nelle case di amici non invisi al popolo.
« E fu cosa degna di riso » — osserva il Capecelatro —
« che molti cavalieri Napoletani, che per loro maggiore sicu-
« rezza erano giti ad albergare a Pizzofalcone, cominciando
« di là la guerra, furono i primi a sentirne i danni (1 2). »
Nel ricominciarsi il giorno seguente (22 agosto) l’at-
tacco contro il Palazzo Reale, i popolari posero un can-
none avanti S. Maria degli Angeli. Ma sgomentati dai colpi
che si tiravano da Castel nuovo, lo trasportarono alla strada
di Chiaia accanto alla taverna del Convento di S. Luigi.
Dove poi dovettero abbandonarlo a venti soldati spagnuoli,
che, usciti dalla Reggia, sbaragliarono gli inesperti artiglieri
e trasportarono il cannone alla sala reale « ed il colloca-
« rono in uno di quei veroni, e con esso colpendoli mor-
« talmente, vietavano ai popolari di venire per la strada
« di Pizzofalcone ai loro danni ». (3).
Nella notte del 26, i regi, abusando della tregua, rioc-
cuparono Pizzofalcone e i luoghi circostanti, fortificandoli

con molti cannoni fatti salire dall’arsenale. E il comando
di questa posizione fu di nuovo affidato a Prospero Totta-
villa (5 ottobre), quando, all’annunzio dell’arrivo di Don
Giovanni d’Austria colla flotta, il popolo tornò ad insor-
gere e ad armarsi, e al Viceré parve necessario di far mu-
nire le alture. Al Tuttavilla, mandato poi in aiuto dell’eser-
cito dei Baroni, furono sostituiti nel 29 ottobre il Duca
di Girifalco e il Principe di Belmonte, che avevano assol-
dati molti uomini nelle loro terre di Calabria (*).
D’allora Pizzofalcone rimase nell’obbedienza del Re, e
nelle sue chiese furono celebrate le pubbliche preghiere
che D. Giovanni d’Austria, rimasto a reggere il governo
dopo la partenza del Duca di Arcos, aveva ordinato nei
quartieri fedeli. La Badessa dell’Egiziaca, alla quale Don
Giovanni aveva mandato un’imbasciata particolare, ne in-
caricò più specialmente una novizia, che per le sue virtù
si era subito accattivato l’animo di tutte le sue compagne.
Suor Chiara Maria di S. Maria Maddalena, al secolo Isa-
bella Morales, « perchè gli parve non averne riscontro alla
« grafia che cercava » — lasciamo parlare il notaio del
monastero —, « colla sua solita semplicità prese come dire
« a petto la gloriosa Santa loro protettrice, dicendole dover
« essere impegno suo d’ottenere tal grafia, per essere il
« suo monastero regio e sotto la protetione di Sua Catto-
« lica Maestà e li compliva esser grata a Sua Maestà et
« alla città di Napoli dalli cui cittadini il Monastero ne
« riceveva continue elemosine, ritrovandosi il Monastero
« fondato senza dote ». Questi argomenti convinsero la
Santa, che apparve alla novizia « tutta giuliva dicendole,
« che era venuta a dispensar le grafie ottenute dall’Altis-
« simo e fra le altre quella della pace di questa città e
« suo regno, che sarebbe seguita fra l’ottava della sua fe-
« stività ». Avvisato della visione, Don Giovanni mandò
il suo confessore : e in presenza di questi Suor Chiara ri-
confermò le cose dette alla Badessa ed aggiunse « che pre-
« gasse Sua Altezza ad aver protettione del Monastero ed
« impetrasse da S. M. Cattolica qualche annua merce per
« aggiunto della fabbrica del loro Monastero, e ricevuta
« la gratia venisse alla loro chiesa processionalmente a
« rendere le dovute grafie a Dio benedetto (2) ».
La festa cadde ai 2 di aprile : ai 6 seguì la pacificazione
della città, e Don Giovanni non dimenticò la richiesta delle
monache dell’Egiziaca. Si recò in processione a visitare il
Monastero, e gli ottenne dal Re il sussidio di quattrocento
ducati all’anno, coi quali furono costruiti i dormitorii, la
chiesa, e l’atrio. Le Guide ne attribuiscono il disegno a
Francesco Picchiatti, e la direzione dei lavori al Gugliel-

(1) Ivi, I, 169, 170.
(2) Ivi, p. 170.
(3) Ivi, p. 172, 173.

(1) Ivi, II, 189.
(2) Dalla prefazione alla Platea dell’Egiziaca, conservata tra le carte
dei Monasteri soppressi, voi. 2450.
 
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