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Napoli nobilissima — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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Essi corsero prima alla casa di Onofrio, e per vendetta
l’abbruciarono con quanto v’era dentro; poi, occupati i
monasteri di s. Sebastiano e di s. Giovanni Battista e le
case di Scipione Teodoro e del consigliere Marciano, co-
minciarono dall’alto a molestare e combattere gli spagnuoli.
Fatti più animosi dalla necessità e dall’ira, forato un muro
della cantina di Scipione Teodoro, riuscirono nei granai,
e cominciarono ad estrarre il frumento senza che fossero
avvertiti dagli spagnuoli, intenti alla difesa.
Il giorno appresso venne in loro soccorso una moltitu-
dine di villani armati, feroci e disposti a far male, da Giu-
gliano, Marano, Melito, Mugnano e Fratta, e ricominciò
la battaglia alle Fosse del grano. I difensori, vedendo, che
non potevano sostenersi a lungo contro tanta gente, e non
avendo soccorsi, deliberarono di abbandonare il luogo. Pro-
curarono, ma senza effetto, di bruciare il grano, che era
rimasto, misero fuoco al granaio, e si ricoverarono nel pa-
lazzo prossimo del consigliere Antonio Di Angelo C1), la-
sciando morti diciotto dei loro tra spagnuoli e tedeschi. I
popolani si studiarono di spegnere l’incendio, estrassero il
grano, e lo depositarono parte nel Castelcapuano, e parte
nel palazzo del principe di Avellino; tagliarono poi le te-
ste ai nemici morti, e facendo gazzarra, le portarono alla
piazza del Mercato, e le esposero all’Epitaffio (2).
*
* *
La città continuò a depositare il grano in questi pub-
blici granai, finché gli ammaestramenti di una secolare
esperienza non produssero la convinzione, che il metodo
usato per procurare ai cittadini pane abbondante ed a buon
mercato produceva solo continue carestie e debiti ingenti
della città. Quando col dispaccio del 5 luglio 1804 fu
proclamata la piena ed assoluta libertà dell’annona, e fu-
rono abolite tutte le antiche ordinanze, rotti i divieti, che
impedivano ai cittadini di provvedersi il necessario, come
e dove meglio loro pareva e piaceva, mancò lo scopo per
cui erano fatti i granai. Furono di mano in mano adibiti
ad usi differenti, a prigioni di chi contraveniva alle cose
della portolania, a deposito degli arredi del teatro di san
Carlo, a caserma delle guardie d’onore, a posto della guar-
dia nazionale nel 1848, a deposito dei carri funebri: vi si
allogarono pure certi fabbri ferrai.
Intanto gli edifici dì per dì andavano in rovina. Fra i
sogni del 1848 fu pensato di costruire in quel luogo il
palazzo del parlamento; ma non v’e n’ebbe bisogno. Poco
dopo quando il governo era tutto intento alle repressioni
politiche, e dovette mostrare, che oltre a questo faceva

(1) Il palazzo Bagnata.
(2) Capecelatro, Diario, II, p. I, 36, 38, 42.

anche qualche altra cosa, fu deliberato di aprire una via,
che dal largo del Mercatello mettesse capo di fronte l’en-
trata del Museo. Il disegno fu approvato dal Consiglio edi-
lizio e dal governo; fu messo mano all’opera. Sotto il
torrione del monastero di s. Giovanni Battista furono ab-
battute alcune mura cadenti, certe vecchie tettoie, fu aperta
una traccia di via, e senza che si facesse altro, fu inau-
gurata con solennità il 30 maggio 1853, giorno onoma-
stico di Ferdinando II, e la sera vi fu fatta luminaria. Il
cav. Gabriele Quattromani, Segretario del Consiglio edi-
lizio, ed era cieco, dettò allora infelici iscrizioni. Nella
prima diceva, che quella via era aperta, acciocché gli stra-
nieri, che venivano a Napoli, « avessero un più diritto
« cammino verso il mare » : nella seconda, che per la
volontà del re e cura del Consiglio edilizio s’era aperta
una nuova via « da nobilissimi edifici decoranda... dove
« negletto e lurido un suolo infruttuoso stava ». La terza
è questa : « A Ferdinando II — P. F. A. — pacificatore
« del suo regno — novello e splendido restauratore di Na-
« poli — in questo dì sacro a lui — il municipio na-
« poletano riconoscente ». Sappiamo del resto, che Fer-
dinando pacificò il regno a modo suo. Nella quarta epi-
grafe sono ricordi di Carlo III.
Ma, come avveniva al tempo dei Borboni, spesso una
cosa ben pensata, o era gustata nel metterla in opera, o
era addirittura trascurata. La via non fu fatta O; e ricor-
dano molti ancora i muraglioni delle antiche fosse del
grano, screpolati, nudi, senza finestre. Da un canto verso
il Museo fu levato un circo equestre. Ma quel bello e
nobile luogo in mezzo alla città per molti anni restò ne-
gletto: fra le mura cadenti, i cumuli di rottami, le lordure,
correvano i petulanti figli dei popolani schiamazzando, vi
ponevano le panche i venditori erranti di commestibili,
i saltimbanchi facevano prove di loro agilità, commedianti,
ciurmadori levavano baracche indecenti.
Or tutto è mutato; e mentre, come dice il poeta :
. Secol si rinnova.
noi torniamo col pensiero alle cose, che furono, alle porte
della città, alle mura, alle vecchie torri, per l’affetto delle
memorie antiche, per la consuetudine degli studii. Son
certo del resto, che si riderà di noi qualcuno, pel quale
il presente è più utile del passato.
Nunzio Federigo Faraglia.

(1) Queste notizie mi sono state favorite dal signor Michele Capaldo. Il
28 maggio Ferdinando II e la regina percorsero la traccia della nuova via,
detta allora Maria Teresa, ora Corso Vittorio Emanuele, menata a fine or
sono pochi anni. — Giornale delle due Sicilie, 31 maggio 1853.
 
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