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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 15.1912

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Fasc. 1
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Hermanin, Federico: Un probabile quadro di Gianlorenzo Bernini
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https://doi.org/10.11588/diglit.24139#0037

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UN PROBABILE QUADRO

DI GIAN LORENZO BERNINI

IVARI biografi del Bernini raccontano di lui ch’egli, grande scultore e grande architetto,
desiderava assai d’essere anche stimato eccellente pittore, e Filippo Baldinucci1 ci dice
che da giovane, superate con lo studio le difficoltà del disegno, si dette per due anni tutto
alla pittura dipingendo moltissimi quadri grandi e piccoli. Il Baldinucci sbaglia natural-
mente qui come in tanti altri particolari della sua storia, perchè se è credibile che il g'rande
scultore abbia dipinto molto, non è verosimile che per due anni abbia potuto compieta-
mente trascurare la scultura che tanta fama gli aveva dato, nè più credibile è ciò che lo
stesso biografo2 scrive dei desideri di papa Urbano Vili che al Bernini avrebhe detto
essere gusto suo ch’egli s’ingegnasse ad applicare molto del suo tempo in studi di archi-
tettura a fine di congiungere a queste sue virtù anche queste sue belle facoltà. La naturale
passione al pittorico ed all’architettonico si dimostra così viva in tutte le opere berniniane
da non esservi certamente mai stato bisogno che il papa stimolasse l’artista ad esercitarsi
in questa o in quell’arte.

Che Urbano nutrisse l’intimo desiderio di vedere in Gianlorenzo sorgere quasi un Miche-
langelo redivivo che sapesse glorificare in lui un nuovo Giulio II è credibile, e verosimile
è fors’anche ch’egli pensasse diffidargli la decorazione pittorica della loggia della benedi-
zione, ma a chi consideri per un istante con attenzione tutta l’opera berniniana apparisce
chiaro come l’artefice non avesse necessità di sprone e di consiglio per far ciò a- cui lo
spingeva naturalmente la sua natura esuberante e multiforme. Se un rimprovero può infatti
muoversi a varie delle sue sculture è appunto quello di essere troppo pittoriche.

Lo squisito gruppo d’Apollo e Dafne è più pittorico che scultorio ed involontariamente
ammirandolo si pensa che l’artista debba nella sua mente aver sognato quelle carni rosate,
quelle chiome bionde sul limitare d’una foresta verde, a specchio delle lucide acque d’un
fiume, riflettenti un gran cielo gioioso di sole e d’azzurro.

La bellezza intima del gruppo non si rivela che a colui che sappia vederlo con tutto il
colore che la fantasia dell’artista vi ha posto, poiché manca di quell’assoluto carattere plastico,
raccolto in sè, che è delle vere opere di scultura. Opera più di pittore che di scultore fa
egli anche quando compone il bassorilievo con la risurrezione, che poi Niccolò Sale scolpì,
ed il suo scalpello uguaglia in finezza il più delicato pennello quando egli scolpisce il
volto piacevole di Scipione Borghese o quello maravigliosamente espressivo del cardinale
Ginnasi.

La visione di Santa Teresa, l’ultima estasi della Beata Albertoni ed il profeta Habacuc

1 Filippo Baldinucci, Vita del cavaliere Gio. Lo- 2 Filippo Baldinucci, op. cit., pag. io.
remo Eternino, Firenze, V. Vangelisti, 1682, pag. 11.

L’Arte. XV, i.
 
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