Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 15.1912

DOI Heft:
Fasc. 2
DOI Artikel:
Schmarsow, August: Domenico Veneziano, [2]
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.24139#0122

DWork-Logo
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
86

AUGUST SCHMARSOW

Lorenzo in Lucina: tre quadri uno sotto l’altro) e a destra la storia di Maria dalla nascita
alla presentazione al tempio e allo sposalizio.

La più vicina, per esecuzione, alle singole figure da noi esaminate nelle nicchie è la Disputa
di Santo Stefano. In essa infatti noi vediamo una fila di figure in primo piano, giacché la superficie
arcuata su cui è dipinta non lasciava altra possibilità di rappresentar bene l’avvenimento; senza
contare che il dover mostrare il santo personalmente in conflitto con i sacerdoti e i dottori, esigeva
già di per sé che le figure caratteristiche fossero contrapposte nella maggior vicinanza. E gli
attori di questo quadro con i gesti eloquenti e persino maneschi debbono far intravedere la
terribile fine della scena. Perciò il pittore sceglie qui uno sfondo di poca profondità; solo la
sinagoga immediatamente dietro le figure, vista dall’esterno, ci mostra il luogo dell’azione,
indicandoci nello stesso tempo la potenza degli avversari appogiati alla religione dello stato.
Dinanzi alla chiara parete anteriore dell’edificio poligonale spicca il protagonista nella sua veste
scura di diacono, mentre i muri laterali sfuggenti in prospettiva aprono una via d’ingresso alle
due schiere d’avversari che s’affollano così, stringendo il seguace di Cristo. Limitato il quadro
a poche persone, queste appaiono qui in tutta l’ampiezza e la forza di cui era capace il pittore,
rannodandosi così strettamente alle opere migliori di Andrea del Castagno e, maggiormente
ancora, con la storia di Noè, di Paolo Uccello, nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella:
storia che dovrebbe essere datata posteriormente alla pittura di cui ci occupiamo, la quale per
un certo tempo, e per tale ragione, io credetti di dover attribuire alla stessa mano che aveva
dipinto nel detto Chiostro a Firenze. Santo Stefano alza la destra con le prime tre dita diritte,
sìmbolo della trinità ch’egli difende, rinforzando la sua argomentazione con questo segno, accom-
pagnato da un gesto della mano sinistra per richiamar l’attenzione dello spettatore e dell’avver-
sario a cui si volge col viso. E per questo il vecchio con la lunga barba, in pelliccia e berretto di
ermellino, si lancia così violentemente contro il santo, come se, nello zelo della disputa, volesse
col suo indice teso distruggere l’odiato simbolo. E si deve solo all’uomo che gli sta dietro e
che lo tiene con tutt’e due le braccia, se egL non riesce a sfogare manescamente la propria collera
sul giovane diacono. Come paciere si frappone anche il cittadino in cappuccio, che col suo largo
manto riempie l’angolo a destra. Però dall’espressione concitata e minacciosa degli altri si riconosce
che nulla potrà impedire la tempesta. Dell’altra schiera, il più prossimo al santo è un vecchio, con
la barba lunga e una magnifica pelliccia, il quale congiunge le mani scandalizzato dal sacrilegio e
e solleva verso il cielo lo sguardo come a chiamare Jahveh in testimonio, rassomigliando così con la
testa calva in iscorcio, al Noè che ringrazia Dio nelle pitture di Paolo Uccello. Di fronte al primo
rabbino, gonfia le gote con disprezzo autoritario il ben pasciuto canonico o preposto, che qui è
servito da modello al pittore, serrando le labbra; così che il suo voto di condanna, anche se non
fosse pronunciato, non sarebbe dubbio. E gli altri, in marzocco o in turbante, guardano l’ira del
potente ed esprimono con le mani tese e allargate o con l’acuto sguardo obliquo l’aspettazione
della scomunica contro l’eretico. E qui con una tensione drammatica di contrasti circondano
e stringono l’oratore entusiasta, l’accanimento per aver ragione a qualunque costo, la testar-
daggine fanatica, le passioni dei disputanti e il gridìo degli ortodossi. La pittura è un capola-
voro che, posto così in alto dove l’occhio solo a fatica può considerarlo, non riesce a farsi
valere come merita.

E dovremo noi forse attribuire al Veneziano una tale scena? Al pacifico pittore che rap-
presenta così intimamente, è vero, ma senza passione il quadro per la chiesetta di Via dei
Bardi a Firenze? Ma, riguardo a questa pittura, non dobbiamo dimenticare che i piccoli quadri
delle leggende di San l'rancesco, San Giovanni Battista, San Niccolò e Santa Lucia, che una
volta ornavano la base dell’altare, sono tutti perduti, eccetto l’ultimo (posseduto ora dal Kaiser
Friedrich Museum in Berlino) il quale rappresenta in maniera semplicissima, e quasi infantile, il
martirio della tenera vergine : « con quella semplicità e vivezza che era sua propria », come il Vasari
dice dei quadretti d’altare del Masaccio a Santa Maria Maggiore. Il movimento del carnefice
che s’avvicina alle spalle della vergine inginocchiata e pregante, immergendole il coltello nella
nuca, non lascia nulla a desiderare ed è strano che l’atteggiamento di questa mossa corrisponda
 
Annotationen