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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 15.1912

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Fasc. 3
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Marangoni, Matteo: Il Mastelletta
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https://doi.org/10.11588/diglit.24139#0222

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i78

MATTEO MARANGONI

centi drammatici ; e che' se talora ne difetta, la colpa non è tanto sua quanto del gusto
dei tempi.

Tanto in questa che nell’altra tela di faccia, rappresentante la Battaglia dì Muret (fig. 2)
inferiore anche per colorito, appare manifesto il sentimento personale del Mastelletta nell’inter-
pretare le cose, come i panneggiamenti ai quali dà un aspetto di fluidità e leggerezza con
l’approfondirne e moltiplicarne tormentosamente le pieghe; come le estremità che si compiace
allungare e sveltire eccessivamente ; i profili di donna che volge all’ indietro così che tutta la
testa formi un delicatissimo ovale; caratteri visibili sia nella donna accasciata che sostiene il
giovine Orsini e nelle belle mani abbandonate di lui; che nella leggiadra dama presso il ca-
vallo più curiosa che commossa; o nella donna in piedi; dal gesto teatrale nell’altra tela; e
persino nelle estremità del Santo e dei soldati.

Al nostro pittore queste caratteristiche sono state suggerite dal Parmigianino « dalla sola
vaghezza del quale e dalla leggiadria confessavasi preso»; tuttavia non per questo il Mastei
letta perde della sua individualità; e, ben lontano dal possedere la misura e la purezza del
pittore di Parma, risulta però più spontaneo e efficace di lui, se non altro nello slancio che
trapela dalla sua stessa tecnica febbrile e schietta.

Queste due grandi tele furono dunque dipinte dal Donducci nel 1616 quando cioè egli
aveva quarantun’anni. Il Malvasia però ci fa sapere che, essendosi il pittore nei suoi ultimi
anni convertito « da quella sua fosca maniera ad un’aperta e chiara, da Guido prima e poi
dagli altri praticata » volle ritoccare quei due dipinti che in più luoghi erano stati assorbiti
dall’ imprimitura « riducendoli a quest’ ultimo sciocco modo, con gran danno dell’arte e detri-
mento del suo nome». Può darsi veramente e che il ritocco risultasse allora stridente e che
il tempo abbia fuso e armonizzato i passaggi, ad ogni modo queste due tele, ancorché troppo
scurite dagli anni, restano sempre l’opera più geniale e caratteristica del Mastelletta e l’accusa
del Malvasia appare falsa o per lo meno esagerata.

Quasi contemporanea ai dipinti di San Domenico e pur assai diversa è la Consegna
delle chiavi a San Pietro nella chiesa di San Lorenzo a Budrio. 1 Questo quadro assoluta-
mente incensurabile dal lato della correttezza del disegno basterebbe a riabilitare il pittore
dall’accusa d’inesperienza che gli dà il Malvasia. Ma quello che ne fa un’opera di prim’ordine
è l’armoniosa e saggia composizione delle figure che hanno bellissime teste e naturali atteg-
giamenti, specialmente la figura di Cristo piena di dignità e euritmia ; è il delicato tocco, il sobrio
ombreggiare, il colorito armonioso e distinto ; è la grande soavità delle forme e dei contorni.
La tavolozza in cui predominano tre tonalità, verde, giallo, rosa che abbiamo già viste nelle
tele di San Domenico, è quella che più o meno rivedremo in tutti gli altri dipinti del Mastel-
letta : egli fonde questi tre colóri con una delicatezza che deriva dai migliori cangiantisti e dal
Calvaert in ispecie che da buon fiammingo ha quest’arte nel sangue. Nel fondo si apre un
paese con cielo crepuscolare arioso e trasparente, motivo pur questo comune a tutte le altre
opere sue e non trascurabile coefficiente di drammaticità. Quest’aria crepuscolare gli dà il
modo d’immergere le sue scene in una luce discreta e di circondarle di un’atmosfera umida
e trasparente leggermente tinta di tristezza, come è l’aria dei temporali. Tale caratteristica, che
si ritrova ancor più accentuata in quel maestro di drammaticità che è il Tiarini suo coetaneo,
parmi derivare in ambedue dai pittori ferraresi — dall’Ortolano allo Scarsellino — che usano
pei loro paesaggi tinte e luci fredde e malinconiche. L’influenza dell’Ortolano può ritrovarsi
infatti nel Cristo deposto del Tiarini alla Pinacoteca di Bologna che fa pensare all’altro stesso
soggetto del Benvenuti alla Borghese; quella più certa dello Scarsellino sul Mastelletta è evi-
dente nella Pietà del pittore ferrarese alla Corsini di Roma. E invero, spessissimo, e non
casualmente, le opere dei due ultimi pittori furono fra loro confuse.

Un altro quadro che ha con questo dei caratteri a comune è quello dei Celestini di Bologna
raffigurante la Beata Irene che leva la Jreccia dal corpo di san Sebastiano, dipinto che persino

Secondo l’Oretti eseguita nel 1616-17 e pagata «30 zecchini 2 some di frumento e una castellata».
 
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