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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 15.1912

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Fasc. 3
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Marangoni, Matteo: Il Mastelletta
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https://doi.org/10.11588/diglit.24139#0223

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IL MASTELLETTA

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allo stesso Malvasia parve «molto più del solito aggiustato e corretto». Ma a parte la cor-
rettezza che tanto preme allo storico bolognese, il quadro è forse il più attraente del Mastel-
letta per la squisita e signorile intonazione del colore, tutta pervasa di una calda velatura
ambrata. Al centro si svolgono le belle linee del gruppo dei due santi e i leggiadri toni pre-
feriti verde-azzurrino, giallo e rosa del cinto del martire e della veste di sant’Irene che con
trepida mano estrae delicatamente la freccia dalla gamba del Santo. Anche qui nel fondo
apresi un orizzonte ariosissimo e trasparente bagnato dell’ultime luci di un glorioso tramonto.

Alla Chiesa di San Salvatore, che nei primi anni del Seicento fu tutta ricostruita su
disegno del Magenta, il Mastelletta lasciò varie sue opere che devono ascriversi agli anni 1623-25
giacché, secondo il Trombelli, 1 la fabbrica fu terminata nel '23 e nel '25 « ben poco altro man-
cava che tutto si riducesse a perfezione ».

Quivi nella navata principale in gigantesca tela espresse la Resurrezione dì Cristo con un
furore drammatico degno del Tintoretto.

Nel basso sono i soldati rovesciati e atterriti dal prodigio, più in alto il sepolcro scoper-
chiato e d’attorno uno sciame d'angeli affaccendati dalle ali irrequiete, ronzanti contro l’aria,
in segno di tripudio ; nel sommo calma e serena la figura del Signore che sale al cielo. La
tecnica stessa si plasma sulle tre diverse scene : impetuosa, temeraria, rude nel tumulto dei
soldati; nervosa, lampeggiante nell’irrequietezza degli angeli; sicura e calma nella figura radiosa
e quasi incorporea di Cristo. Nel basso sono le tenebre, in alto la luce, nel mezzo l’iride-
scenza delle ali angeliche. Raramente si vide un pittore giocar così audacemente e ad un tempo
di splendori e di tenebre, di scene tumultuose e serene come il Mastelletta in questa tela.

Quando il pittore dipingeva tanto questa che le due di San Domenico era già stato a
Roma da vari anni essendoci andato, secondo il Malvasia, mentre vi lavorava Annibaie Car-
racci, cioè tra la fine del '500 circa e il 1609; e sebbene la sua dimora fosse, come pare,
breve, deve là certo aver avuto agio di conoscere l’arte del Caravaggio : si potrebbe quindi
pensare che questo suo amore per i contrasti di luce e di tenebre gli venisse daH’Amerighi.
Ma come si può credere che il mitissimo pittore bolognese, la perfetta antitesi del Caravaggio,
potesse sentire simpatia e ammirazione per le brutalità, le violenze di lui spinte sin nelle tele
sacre che dovevano certo disgustarlo anche nel sentimento religioso in lui fervidissimo? E in
verità, a parte lo stile brutalmente realistico nell’ uno, ideale e fantastico nell’altro, anche il
tecnicismo del chiaroscuro è nei due pittori affatto differente : nel Caravaggio le luci battono
sulle cose in chiare zone compatte con un procedimento del tutto veristico anzi quasi scien-
tifico; e il limite fra luce e tenebre è nettamente definito. Nel Mastelletta invece tutto è vago
ed evanescente ; dai contorni che si perdono col fondo, alle parti in luce sempre un po’ velate
o frastagliate da molteplici zone di ombra, quasi che egli tema, la luce troppo viva possa
ridestarlo alla cruda realtà dall’atmosfera di sogno in cui l’arte lo ha immerso. E non altra
atmosfera invero regna nelle sue tele più fantastiche dove quel mondo irreale pare ad un
tratto debba squagliarsi e svanire nelle tenebre del fondo. L’arte insomma del Mastelletta e
del Caravaggio sono fra di loro indipendenti e inconciliabili perchè, l’una è l’espressione di
un temperamento positivo e volgare, l’altra di un'anima mistica e nobile.

Anche il Lanzi sembra rilevare la originalità del nostro pittore giungendo sino a farne
una specie di capo-scuola quando dice : « Spesso ho dubitato che costui avesse grande influenza
nella sètta chiamata de’ tenebrosi, molto propagatasi di poi per lo Stato veneto e per quasi
ogni dominio della Lombardia».

Nella chiesa stessa di San Salvatore v’è un’altra sua tela rappresentante Giuditta colla
testa d’Oloferne che s’incontra colle faticiulle ebree, simpatico dipinto dove è da ammirarsi la
bella e maestosa figura di Giuditta, salda e ben piantata. In una stanzetta poi, dietro la sacre-
stia, v’è un gruppo della Vergine col Bambino dormiente dove « sembra che il san Giam-
battista che sopraggiunge sia per destarlo, ma lo trattiene san Giuseppe. E ciò — sempre

Trombelli, Memorie storiche della Chiesa di San Salvatore.
 
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