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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 15.1912

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Fasc. 6
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Modigliani, Ettore: Nota su Evaristo Baschenis
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https://doi.org/10.11588/diglit.24139#0520

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474

NOTA SU E FAR/STO BASCHENIS

o storico, induce non poco il sospetto ch’esso sia non
un pittore ma uno scrittore, la cui opera l’artista in-
serisce nei suoi quadri, o per omaggio all’amico o per
indicare un libro che gli era familiare o ch’era, ai suoi
tempi, molto diffuso, come il Tasso, al cui poema
l’accompagna nel quadro del conte Suardi.

La precipitazione da parte nostra nell’inventare,
è la parola, una nuova personalità pittorica, corrispon-
dente al nome di Alfonso Loschi, nacque dal ricordo
in noi di due pittori Loschi, parmigiani, i quali sono
di molto anteriori al tempo in cui dovrebbe fissarsi la
persona di cotesto Alfonso.

Chi è dunque?

Il Tiraboschi, nella sua Storia della letteratura ita-
liana a tomo Vili, pag. 359, parla di un Alfonso Lo-
schi come d’un autore di compendi storici che non
erano in gran pregio. E noi, per non trovare altrove,
mai menzionato, in nessun modo, come pittore un
A. Loschi, vissuto nel secolo decimosettimo, di buon
grado restituiamo a lui la sua qualità di scrittore non
famoso neppure ai suoi tempi e togliendogli, quella di
pittore, che noi gli avevamo conferita, ugualmente
mediocre. Resta però fermo che, oltre il Bettera, il
Baschenis ebbe un altro seguace, autore dei tre qua-
dri di casa Suardi, del quadro di proprietà Camozzi a
Costa di Mezzate e forse dei due quadri di strumenti
di casa Bonomi a Bergamo, un seguace che ama di
segnare dietro le coste dei libri il nome di Alfonso
Loschi, di cotesto oscuro storico del secolo decimo-
settimo.

Un’altra affermazione contenuta nel nostro studio
sul Baschenis va corretta, che, cioè, il Bettera, per
non essere mai citato da Francesco Maria Tassi, lo
storico settecentesco degli artisti di Bergamo, non do-
vesse considerarsi come bergamasco. Ora, invece, l’av-
vocato Camillo Quarenghi mi scrive da Bergamo che
.« nei registri parocchiali di S. Alessandro in Colonna,
abbiamo anno, mese e giorno della di lui nascita».
Non ho modo per ora di controllare tale notizia e
lascio all’egregio avvocato la responsabilità della sua
affermazione.

Infine, e per scrupolo d’esattezza quanto maggiore
possibile, notiamo che il nome Argenide che il Ba-
schenis segna spesso dietro la costa dei suoi libri non
è quello d’un’opera di musica, come noi avevamo sup-
posto, anche se con riserva ; essendo il Buranello, che
compose un Argenide nel 1733, posteriore al nostro
artista. Esistè un piccolo libro che porta scritto sul
dorso : Argenis, e nel frontespizio : Io Barclaii — Ar-
genis — Editio novissima — Cum clave, hoc — est
nominum propri — orum elucidatone — hactenus
nondum — edita •— Lugd. Bat — Ex officina Elzevi-
riana — c I d ID c xxx.

L’anno 1630 cade esattamente nel periodo di tempo
in cui operava il Baschenis. Sarà esso il libro che l’ar-

tista non trascura nelle sue file di volumi cacciati in
mezzo ai suoi strumenti musicali ?

Michele Biancale.

A proposito dell’articolo sul Baschenis apparso
nell’ultimo numero dell’Arte, riceviamo dal dott. Et-
tore Modigliani, direttore della Pinacoteca di Brera,
una lettera che pubblichiamo tanto più volentieri in
quanto tratta con autorevole giudizio una delicata
questione :

Milano, 6 novembre 1912.

« Preg.mo sig. Direttore,

« Consenta che io rettifichi alcune parole stampate
dal dott. Biancale nel suo articolo sul Baschenis, pa-
role che potrebbero essere interpretate in senso ine-
satto.

« Scrive il dott. Biancale di aver visto nella Dire-
zione della Galleria di Brera, un quadro di Pesci com-
prato per il dott. Albertini, direttore del « Corriere
della Sera». Ora sta di fatto che io non ho mai com-
prato, nè per me, nè per alcun privato, e tanto meno
a Brera, alcuna opera d’arte, neanche una... cartolina
illustrata che avesse pregio d’arte.

« Vidi la primavera scorsa il quadro di Pesci in-
sieme con altri dipinti del Baschenis e della sua scuola,
in casa del conte Lupi a Bergamo ; e quivi scelsi e
acquistai per la mia Pinacoteca e per il Museo del
Teatro della Scala due tele d’istrumenti musicali, fir-
mate, e che mi parvero le più rappresentative dell’ar-
tista. Il dipinto dei Pesci fu comprato dagli antiquari
fratelli Steffanoni di Bergamo, presso i quali fu visto
anche dal nostro Direttore Generale, ed in seguito fu
dagli stessi Steffanoni rivenduto al dott. Alberto Al-
bertini, fratello del Direttore del « Corriere della Sera »,
che io incoraggiai all’acquisto, volentieri come faccio
sempre, e come farò sempre, quando posso sottrarre una
opera d’arte alla speculazione per darle ricetto in una
casa privata italiana, e tanto più volentieri in questo
caso sapendo che già un antiquario tedesco faceva a
quei Pesci l’occhio... di triglia.

« Soltanto per un equivoco della persona che portò
al dott. Albertini il quadro da Bergamo, questo, in-
sieme con altri, venne a finire, me assente e a mia
insaputa, a Brera, dove il dott. Biancale, avuta notizia
dai fratelli Steffanoni, che il quadro era qui, ottenne,
sempre in mia assenza e a mia insaputa, di vederlo.

« Messe le cose a posto, per la verità mi piace, già
che me se ne presenta l’occasione, di dichiarare una
buona volta alto e forte che, in generale — pensi chi
vuole il contrario — io ritengo non soltanto lecito, ma
stretto dovere di noi direttori di Gallerie — dovere
che integra il compito nostro di tutori del patrimonio
d’arte del nostro paese — di segnalare per l’acquisto
 
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