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Napoli nobilissima — 3.1894

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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iantina di guardie, una compagnia di soldati che veramente
è ora un plotone rinforzato comandato da un tenente; gli
impiegati della direzione; e una trentina di abitanti del-
l’isoletta I1). I forzati lavorano specialmente come calzo-
lai: ma vi è anche un certo numero di fabbri, di fale-
gnami, ecc. Alcuni coltivano la terra, e fanno gli altri
lavori di manutenzione nell’ isola. Tutti ancora trascinano
la catena: il nuovo codice penale abolisce le catene, ma
l’edifizio di Nisida non si presta al sistema cellulare; e
nei lunghi ed affollati dormitorii non si può far di meno
della catena. Il cappellano dell’ergastolo tiene la scuola,
secondo è d’obbligo; ma, viceversa, fa lezione un forzato,
un canonico, condannato per omicidio.
La perla dell’ergastolo di Nisida è Luciani: Luciani, che
si è costretto a tener segregato dagli altri, perchè colle
sue prediche incendiarie faceva nascere mille torbidi e
malcontenti; Luciani che, ogni volta che si reca a vederlo
la commissione di visita, ha una serie di lagnanze da
esporre, di soprusi da raccontare.
Finita la visita dell’ ergastolo, andiamo dall’ altra banda
dell’ isola, donde si ammira Porto Pavone, detto così —
scrive il Celano — « perchè ha la forma d’una coda di
« quest’animale quando le penne stanno erte » (2 3). Dalla
collina si scende per una rapida china fino al bacino, una
volta cratere, poi porto, ora abbandonato (3). Tempo fa
un forzato evase da quella banda dell’ isola; ma, dopo
qualche giorno, se ne trovò il corpo sfracellato sui vicini
scogli.
*
* *

Scesi alla marina, richiamiamo la barca, togliamo' con
noi la maestra elementare che aspetta di passar sull’altra
riva, e torniamo a terra. In verità, quello spettacolo di
forzati e di guardie e d’impiegati non mi aveva letificato
lo spirito. Un senso di noia e di tristezza mi pesava sull’a¬
nimo. Dov’era più la bella isoletta, intravista tra i va-
pori del mattino, svolgentesi di dietro la punta di Posi-
lipo? E spontaneamente — pare impossibile — mi torna-
vano' sulle labbra i versi, irti di latinismi e di rime sdruc-
ciole, di Jacopo Sannazaro:

(1) A proposito della piccola popolazione di Nisida, si legge in
Nap. e sue vicinanze, Nap., 1845, P- 42I: «Contiene una nascentepo-
« polazione che vanta già un eroe. Antonio Bilotta salvò in un’orri-
« bile tempesta, prodigalizzando la sua vita, una barca e cinque per-
« sone. Egli ricusò ogni loro dono; ed ottenne la medaglia del merito
« civile ».
(2) Celano, l. c.
(3) « Del resto, questo angusto porto non offre asilo sicuro nean-
« che a’ più piccoli battelli a causa della sua esposizione; e le sue
« sponde che fanno anfiteatro sono incolte e coverte di sterpi ». Chia-
rini, l. c.

Io veggio i tuoi recessi e i diverticuli
Tutti cangiati, e freddi quelli scopuli,
Dove temprava Amor suo’ ardenti spiculi!
A lento passo, c’ incaminammo per la via dei Bagnoli.
Innanzi a noi, trottava la rappresentante dell’ istruzione ob-
bligatoria, vestita color tabacco, con un cappellino inde-
scrivibile.
Benedetto Croce.

IL CORPO DI NAPOLI
E LA «CAPA» DI NAPOLI

TM ella piazzetta formata dall’ incontro delle vie di
S. Biagio dei Librai e dell’ Università, e del vico già Bisi,
ora Nilo, sorge su di una base di piperno e travertino
un’ antica statua. Il nostro popolo la chiama il Corpo di
Napoli. Essa rappresenta un vecchio con lunga barba,
sdraiato, che si appoggia col braccio sinistro su di una
sfinge, mentre col destro sostiene un Corno dell’ abbon-
danza: quattro o cinque puttini gli scherzano attorno. Essa
è evidentemente dell’ epoca romana e rappresenta il fiume
Nilo: di queste antiche statue di fiumi personificati si ve-
dono parecchie nei nostri musei.
Secondo gli scrittori di topografia napoletana (T), fu e-
retta dai mercanti di Alessandria di Egitto, che dimora-
vano nel prossimo vico, allora detto, vico Alessandrino, e.
che vollero così avere tra essi il loro patrio Nume.
Col volgere dei secoli e dopo la venuta del Cristiane-
simo, essa scomparve e se n’ era perduta la memoria,
quando verso la metà del secolo XII, cavandosi le fon-
damenta del Seggio, che si edificava su questa piazzetta,
ricomparve alla luce la statua, ma ridotta a torso informe
e priva della testa: fu riconosciuta essere la statua del
Nilo e fu messa all’ angolo esteriore del nuovo Seggio,
che da essa fu detto Seggio di Nilo e poi, per corruzione,
di Nido (2).
Così rimase fino al 1476, quando, avendo i nobili di
questo Sedile, e per essi Rinaldo del Duce e Francesco
Spinelli, comprato dalle monache di S. M. Donna Romita
una parte del vecchio loro monistero posto dall’altra parte
della strada, vi edificarono il nuovo Seggio molto più
grande e magnifico dell’antico. Questo restò abbandonato
per circa due secoli, finché nel 1657 fu abbattuto del tutto
ed in mezzo alla piccola piazza, che ne risultò, fu messa
su nuova base, la statua del Nilo. Questa era sempre monca

(1) Celano, ediz. Chiarini, III, 637; Summonte, Historia, I, 206.
(2) Terminio, Orig. dei Seggi, p. 29.
 
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