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Napoli nobilissima — 3.1894

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

105

Così nel 1783, Giacinta Galli, Giovanni Morelli e Giu-
seppe Carri, cantanti del Fondo supplicano per rappresen-
tare in musica l’Oratorio sacro, S. Elena al Calvario; ma
la Deputazione risponde: « perchè in tale rappresentazione
« vi è bisogno di decorazioni, di scenario e vestiario che
« non convengono in tempo di quaresima, il Re non vuole
« accordare il permesso ».
I comici replicarono « che l’Oratorio era stato da essi
« rappresentato in Spagna in presenza di S. M. Cattolica,
« di cui meritò l’approvazione » ed imploravano di rap-
presentarlo « prima alla presenza del Re, e poi di ripe-
« terlo al pubblico»!1). Ma la grazia non venne loro ac-
cordata.
Tenne in seguito l’appalto del teatro, dal 1785 alla qua-
resima dell’86, il dottor d. Sabino Caronia, al quale su-
bentrò di nuovo il conte Lucchesi, raccomandato e pro-
tetto dal brigadiere d. Antonio Roxas sopraintendente del
Fondo della separazione. Il Conte offrì di « prendere
« esso di nuovo e per sei anni in affitto il teatro.... con
« l’annuo canone di due. 1200 » e pretese « di pagarne
« la metà subito andata in iscena l’ultima opera di Car-
« nevale; di essere indipendente dalla Giunta dei Teatri
« e dalla separazione del Fondo; di poter dare qualunque
« spettacolo in musica e in prosa, come pure cantate serie
« e buffe, e tutto ciò che conviene con balli e cori; che
« sia in sua libertà di dare nella quaresima degli Oratorii;
« che gli si dia l’uso del piccolo appartamento davanti al
« teatro ». Le pretese, come si vede, furono abbastanza
esigenti, ma la benevolenza del suddetto brigadiere era
grande per lui, ed il Re « informato delle buone circo-
stanze » del Conte, e « soddisfatto della di lui attività,
puntualità e zelo » si degnò « accordargli il teatro con le
condizioni poste » (2 3 4).
I sei anni d’appalto passarono, se non lieti, neppure bur-
rascosi, e gli subentrò nel 1790 altro impresario, che ot-
tenne pure il permesso di far rappresentare opere sacre.
Egli, in fatti, nella sera di domenica 7 marzo 1790 fece
cantare II sacrificio di Jefte « nel disimpegno della quale

novembre 1792 furono proibite le opere dette sacre come « un am-
« masso di azioni inverosimili, di falsi miracoli e di ridicole contese
« tra’ spiriti angelici ed infernali » e tra queste « particolarmente
« quelle della Nascita e Passione di G. C., di S. Elena al Calva-
« rio ecc. ». Per gli Oratorii in musica —■ dei quali il teatro S. Carlo
godeva il dritto di privativa — l’editto pubblicato dal lettore dei Regii
Bandi Carlo Castellano, con li Trombetti Reali, nei luoghi soliti, il
3 g'ugno J793 li permetteva « tanto in pubblico che in privato » dopo
che la Deputazione dei teatri, esaminati i libretti, ne faceva relazione
alla Segreteria di Stato di Casa Reale, « beninteso che i detti Ora-
te torii non debbano contenere veruna sconcezza, e massimamente che
« non ci entri parte ridicola, o come volgarmente dicesi buffa. ...»
ed altre norme, ammonizioni e pene ai contravventori.
(1) Teatri, c. a. 1783.
(2) Carte della separazione dei Lucri, nell’Arch. di Stato.

« la celebre signora Davya ed il signor Giuseppe Pintauro
« confermarono l’ottima opinione che si ha della loro abi-
« lità nel canto » G).
E così tra opere classiche di genere serio e buffo, con
balletti e pantomine belle o noiose, con la presentazione
di portentosi fenomeni in arte, il tempo volgeva, ed altre
idee cominciarono a frullare nella mente un po’ svelta dei
pacifici cittadini partenopei. Il 99 era alle porte, e venne
mutando uomini e cose, non risparmiando neppure il tea-
tro del Fondo, che si chiamò Teatro Patriottico, e. fu con
questo nuovo nome aperto la sera del 26 gennaio con la
rappresentazione dell’ Aristodemo del Monti, e con l’inter-
vento acclamatissimo del Generale Championnet. Ma gli
applausi non ebbero lunga eco, e l’impresario, che aveva
avuto l’ardire di far recitare una tragedia antipatriottica,
ebbe la pena della chiusura del teatro. Il quale per l’in-
tervento di persone intese, fu riaperto la sera del 3 marzo
vegnente col Catone in Etica. Nel mese di aprile, poi che
gli spettacoli di moda mancavano, vi si fece il giuoco
della Tombola. Il divertimento, tollerabile in piazza, scon-
veniente in teatro, fu biasimato dal Monitore con un ar-
ticolo della signora Fonseca Pimentel. Nel mese appresso,
sempre per mancanza di tragedie e drammi buoni all’oc-
casione, si sovrabbondò nel canto di inni patriottici, e
quello del cittadino Rossi con musica del celebre cittadino
Cimarosa, cantato dagli alunni del Conservatorio di mu-
sica, ottenne un trionfo (2). Si rappresentò il Timoleone di
Alfieri (3), e finalmente il teatro si chiuse per riaprirsi col
vecchio nome e con altre nuove reci te e cantate.
continua.
Vincenzo d’Auria.

I PORTI E GLI ARSENALI
DI NAPOLI

IV.
Il nuovo arsenale — La Darsena — Tempi moderni.
Il vecchio Arsenale « tanto piccolo ch’a’ pena vi si con-
« servavano sei Galee » (4), era divenuto, ormai, disadatto
ai bisogni del tempo; sicché D. Innico de Mendozza Mar-
chese di Mondejar Viceré di Napoli, pensò di costruirne
un altro, di ampiezza maggiore, sulla spiaggia di S. Lu-

(1) Notizie del mondo c., n. 20.
(2) Monitore c., n. 31, 6 pratile, 25 maggio v. s.
(3) Benedetto Croce, Teatri c., p. 662 sgg., dove è riprodotto pure
il manifesto dello spettacolo.
(4) Capaccio, Napoli descritta etc., Arch. Stor. Nap., voi. 7, pag. 82.
 
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