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Napoli nobilissima — 3.1894

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NAPOLI NOBILISSIMA

« Porto »; ed ordinava al Fontana « che si dovessero ve--
« dere tutti li siti, et misurare li fondi di essi, dove sa-
« ria stato più a proposito » costruirlo (*). Il famoso in-
gegnere, allora, dato fuori un disegno del nuovo porto,
che fu stabilito s’aprisse fra Castelnuovo e l’isola S. Vin-
cenzo, si pose mano ai lavori, di cui s’era dato il carico ad
Alfonso Sances, marchese di Grottola. Cominciatosi dalla
torre di S. Vincenzo, che per le nuove fabbriche s’aggiunse
alla terra, venne protratta innanzi la scogliera per oltre 30
canne. Ma ben presto l’opera iniziata venne sospesa. Per-
chè da malevoli persuaso il Re Filippo II che questa a-
vrebbe « consumato tutto 1’ suo Regai Patrimonio », con
dispaccio del supremo Consiglio d’Italia si vietò che i la-
vori fossero proseguiti (2).
Da quel tempo, e per molti anni, non trovo altre me-
morie intorno al porto. Non pertanto, nel 1625, il duca
d’Alba, a difesa del porto, faceva costruire sulla punta del
molo un baluardo con quattro piccole torri. E di fronte
alla fabbrica venne collocata pure una lapide, che aveva
scolpita questa iscrizione:
PHILIPPO IV REGE MAXIMO.
D. ANTONIO ALVARES DE TOLEDO ALBAE DUCE PROREGE
LOCUS ADHUC INFORMIS, ATQUE INERMIS,
NUNC AD PORTUS DEFENSIONEM
PRAECIPUIS SPECULIS MUNITUS,
D. FRANCISCO MANRIQUEZ REGIARUM TRIREMIUM
GUBERNATORE CURANTE INSTAURATUS;
A. D. MDCXXV (3).
(1) FoNTANa, Della trasportatione dell’obelisco vaticano, lib. Il, p. 25.
(2) Capaccio, Il Forastiere, p. 498-499. Detto, Napoli descritta ecc.,
Ardi. Star. Nap., voi. VII, p. 84. Pappino, op. cit., t. I, p. 260.
(3) Pappino, op. e t. cit., p. 392.
continua.
Antonio Colombo fu Gaetano.

MEMORIE DEGLI SPAGNUOLI
NELLA CITTÀ DI NAPOLI

T'Q apoli prese l’estensione e l’assetto che poi ha, press’a poco, con-
servato, durante il periodo della dominazione spagnuola : dominazione,
che durò oltre due secoli e coincise col periodo del massimo aumento
della popolazione della città (4). Non ci fu quasi viceré che non por-

(4) È noto dalle ricerche del Capasso che nei secoli XIII e XIV Napoli con-
tava intorno a 30 mila abitanti; e ancora sulla fine del secolo XV non oltrepas-
sava i 40 o 50 mila. Ma nella prima metà del secolo XVI la popolazione si
quadruplicò e quintuplicò, fino a raggiungere, alla metà del secolo, 210 mila
abitanti: alla metà del secolo seguente poi, secondo i calcoli più moderati,
la popolazione era di 500 mila abitanti, e coi casali 550 mila. (B. Capasso,
Sulla circoscr. civile ed eccles. e sulla popol. della città di Napoli, Napoli,
1883). Intorno alle misure adottate da varii viceré per impedire lo straor-
dinario aumento della popolazione (Duca d’Alcalà, 1566, ecc.) col vietare le
nuove fabbriche ecc., cfr. anche Capasso, o. c., pp. 31-33.

tasse il suo contributo all’ampliamento e trasformazione di questa, e a
tutti andò innanzi in tal’opera colui che può dirsi il creatore politico
del viceregno spagnuolo: don Pietro di Toledo.
Ma, parlando delle memorie degli spagnuoli nella città di Napoli,
s’initende bene che io non voglio rifare l’elenco degli edilizi e delle
strade che si debbono ai varii viceré. Un sovrano, un governatore,
un ministro abbatte, costruisce, trasforma ; niente di più naturale. La
cura edilizia è una funzione regolare e ordinaria di governo: e non
ci sarebbe senso comune a studiare gli edilìzi di Napoli... dal punto
di vista della dominazione spagnuola! Io voglio vedere, sommaria-
mente, quali tracce restino nella città di Napoli, ossia nella parte ma-
teriale di essa, della numerosa società spagnuola che vi si stabilì e
della sua vita e delle sue abitudini. Anche le pietre sono documenti;
ed occorre sentire le loro testimonianze (1).
I.
Prime memorie. — Tempi aragonesi.
Per quanto io sappia, la più antica memoria degli spagnuoli a Na-
poli era, almeno secondo la tradizione, quella chiesetta di S. Leo-
nardo in insula maris, posta presso la spiaggia di Ghiaia, e abbattuta
sui principii di questo secolo per dar luogo alla loggetta a mare della
Villa. Essa sarebbe stata fondata nel 1028 per voto di un maestro
Leonardo d'Orio, gentiluomo castigliano, il quale, navigando con
grande quantità di merci, e colto da fiera tempesta, impetrò da San
Leonardo la sua salvezza, promettendo di elevargli una chiesetta nel
luogo dove sarebbe approdato, che fu appunto lo scoglio presso Ghiaia (2).
E questo gentiluomo spagnuolo, gettato a Napoli per fortuna di mare,
mi raffigura quasi le relazioni puramente casuali che c’erano allora
tra le nostre terre e la Spagna.
Fu al tempo degli Angioini, colle lunghe guerre tra i re di Na-
poli e i re d’Aragona e conti di Barcellona, e colla conquista arago-
nese della Sicilia, che divennero più frequenti le relazioni con le po-
polazioni spagnuole, e specialmente coi catalani: i quali, come mer-
canti e mercenarii, si trovano mescolati nella vita italiana dalla fine
del secolo XII in poi. Nella chiesa di S. Chiara. c’era un tempo, tra
i varii marmi sepolcrali, che coprivano il pavimento, uno con un’iscri-
zione che l’Engenio potè leggere solo in parte: Hic jacet nob. vir Ray-
mundus de Mayrada catalanus clarae memoriae Regis Roberti .... (3).
Queste poche parole ci fanno subito sorgere in mente il verso dante-

(1) Mi valgo principalmente, in questo lavoro, delle iscrizioni e, special-
mente, delle iscrizioni sepolcrali. A tal effetto ho spogliato le antiche raccolte
del De Stefano, dell’Engenio, del De Lellis, e di altri. Ma per Napoli manca
una buona raccolta d’iscrizioni, come quelle del Forcella per Roma e per
Milano e del Cicogna per Venezia. Qualche omissione sarà dunque inevitabi-
le; ed io sarò grato a chi vorrà comunicarmi notizia d’iscrizioni a me ignote,
edite o inedite che sieno, relative a personaggi spagnuoli. Avverto anche che
non sempre mi è stato possibile di verificare se le iscrizioni da me riportate
esistano ancora nei luoghi dove furono lette dagli scrittori da me citati; e
veramente questa distinzione non era necessaria per lo scopo del mio lavoro.
La massima parte tuttavia delle iscrizioni non esiste più, e molte non esiste-
vano più neanche ai tempi del De Stefano o del D’Engenio. Frequenti s’in-
contrano in quest’ultimo le avvertenze: « i seguenti marmi non si veggono
« perchè da frati di questo luogo sono stati tolti con infiniti altri guasti »
(p. 293), ovvero: « di presente li detti Epitafii sono stati tolti nel rinovar la
« chiesa e così gli altri quivi appresso ov’è una stella . . . . » (p. 460). Nella
chiesa di S. Giacomo appena esistono cinque o sei delle numerosissime iscri-
zioni, che un tempo vi si leggevano di personaggi spagnuoli; nella chiesa di
Piedigrotta, ove ce n’erano d’importantissime, avanza una sola, quella di un
canonico. Con quale facilità si compiessero tali distruzioni è provato da ciò
che racconta il Catalani, che vide fare in pezzi, sotto i suoi occhi, nella
chiesa di S. Chiara, una lapide, appunto una di quelle di cui noi ci occupe-
remo, relativa a Valentino Claver d’Aragona, « la quale consigliando io di
« mettere in un vano delle mura, mi fu risposto per tutta ragione in con-
ci trario, che si apparteneva ad una famiglia estinta .... » (Discorso sui
monum. patrii, pp. 19-20).
(2) Croce, La Villa di Ghiaia, in Napoli nobilissima, I, 6.
(3) D’Engenio, p. 250.
 
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