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Napoli nobilissima — 3.1894

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

189

curva e piena il collo. Tutti gl’inventarii pare non abbiano inteso
diversamente la cosa : « l’Antea con guanto ed un sghiratto (martora)
nella destra » dice l’inventario del 1680, e la Descrizione del 1725
« l’Antea che tiene guanti alle mani ed un martore, che gli cala giù
per una spalla al braccio » e il nostro inventario del 1821 « sulla
spalla destra tiene un Animale sostenuto dalla mano destra ». La
tela conserva ancora al tergo il numero farnesiano 461 in rosso.
Un’origine assai più antica dell’Amerigo Vespucci, sebbene non meno
arbitraria, ha la denominazione di Cristoforo Colombo assegnata alla
mezza figura di uomo n. 8 della VII sala, di cui è solo recentissima
l’attribuzione alla Scuola di Raffaello. La prima menzione di questo Cri-
stoforo Colombo del Parmegianino si fa nell’inventario del 1807, dove
è segnato fra i quadri da Francavilla passati a Palermo. Strano è, però,
che nell’ultimo ordinamento abbia conservata quella denominazione e
mutata attribuzione, quando, proprio per quell’ordinamento furono chie-
ste notizie sulla Quadreria Farnese a Parma e se ne ebbero non
spregevoli notizie. Il Ricci afferma che uno scritto apposito da un
marchese Sanvitale consacrato a dimostrar che questo quadro ritragga
le fattezze di un contenuto della famiglia Sanvitale « sia rimasto nello
stato di semplice appunto o ricerca e che certo non si trova stam-
pato », ma io trovo in questo archivio una lettera di Luigi Sanvitale,
autore di quello scritto, con cui lo accompagna al Senatore Fiorelli
« prendo libertà di offrirle un opuscolo mio, il quale (a pag. 38 e 44
fino a pag. 47) fa menzione d’un quadro che fu bensì opera di Fran-
cesco Mazzola, detto il Parmigianino, ma che per errore credettesi ri-
tratto di Cristoforo Colombo » e più sotto dice che l’opuscolo do-
vrebb’essere ristampato. In altro appunto del novembre ’66 egli più
chiaramente scrive al Fiorelli che quel ritratto è del « Conte Galeazzo
Sanvitale » e dà notizia dell’inventario che lo dice tale. La falsa e
strana denominazione pare, da un accenno che trovo nel Museo Bor-
bonico (voi. Ili, tav. 3) avesse origine da quel pezzo di oro (una me-
daglia) che ha in mano e che parve dal rozzo lavoro (?) «uno or-
namento di quei popoli selvaggi », ed assai più dal bottone che è
sulla sua barretta rossa, in cui è effigiata una nave « che oltrepassa
le colonne D’Èrcole » (?). Ha a tergo il numero farnesiano 141, lo
stemma coi gigli, e la scritta OPVS D MAZOLLA — 1524.
La tela, in cui è rappresentata « Parma che in figura di Pallade
abbraccia Alessandro Farnese » (s. IV, n. 37) è stata sino al 1821
attribuita correttamente al Mazzola Girolamo. Nelle carte di questo
archivio trovo, anzi, una lettera del gennaio '67 del lodato Luigi San-
vitale, in cui, scrivendo al Fiorelli, egli nega l’attribuzione fatta, nel
catalogo dei 100 quadri, di quella tela al Parmegianino « perchè que-
sto celebre artista morì nel 1540, ed Alessandro Farnese nacque cin-
que anni dopo, cioè nel 1545. Codesto dipinto è piuttosto da credersi,
giusta quanto trovasi accennato in altro Catalogo manoscritto, un la-
voro di Mazzola Girolamo, che fu coevo d’Alessandro Farnese e pit-
tore di corte ». Ed è strano, in vero, che, dopo tutto ciò, l’autore di
quel nuovo ordinamento lasciasse stare quell’attribuzione. Lo stesso
avvenne per Santa Chiara, attribuito a Girolamo, sino, forse, al
catalogo Farnese del 1833, certo sino a quello del 1821. Un cartel-
lino, attaccato al telaio, lo attribuisce, invece, a Michelangelo Sanese,
sinché non parve agli ordinatori del '52 di attribuirlo all’unico e più
noto Parmigiano. E per questa volta basterà.
Vittorio Spinazzola.

NAPOLI
NELLE DESCRIZIONI DEI POETI
Le stanze del Fuscano.
IL
Il poemetto comincia con una delle solite descrizioni dell’alba:
sorgeva l’alba — dice il poeta — quand’io dal notturn’uscio era già
fora:
Vago sol di cercar di sponda in sponda
Deserte piagge, incolti Hermi e foreste,
Dovunque un cerchio di monti circonda
Alcun bel sito ameno overo agreste,
Una campagna florida e gioconda,
Tutta irrigata dal favor celeste,
Agli occhi miei s’offerse alhor, sì adorna
Che mi dicea ridendo:—hor qui soggiorna!
Ed ecco la descrizione della regione partenopea, col Vesuvio e col
Sebeto :
Stav’io mirando alquanto di lontano,
Quello tranquillo e ben riposto seno,
Dove in duo corpi un monte in mezzo ’l piano
Sorgeva tutto fertil ed ameno,
Il qual fu ’n tempo albergo di Vulcano,
Com’hor di Bacco e di suoi Thirsi è pieno;
Nel cui, quando Vulcan sue fiamme sparse,
Lasciò (come hor si veden) le pietre arse.
Spiega il bel monte le sue falde vive,
D’ogni suo lato così facilmente,
Che senza affanno alcun par che s’arrive,
Su l’una e l’altra fronte alt Egualmente;
Dal’una fronte le gemmate rive
Vanno a bagnarsi al mar dove fur spente
L’audaci lingue de le fiamme antiche,
Anchora impresse in quelle piagge apriche.

Non lontan indi nasce un fonte vivo,
Da cui Natura sotto occolte vene,
Manda un chiar fresco e non molto ampio rivo,
Sempre ondeggiando fra sue piagge amene;
Ivi scherzando inseme ’l choro divo,
Stassi di Muse, Charite e Syrene,
In compagnia del mar tranquillo e lieto
Al incontrarsi col suo bel Sebetho
L’attenzione del poeta poi è volta al famoso Poggioreale (i). Ma fi-
nito ch’ebbe di ammirare quello spettacolo, il poeta incontra sulle
rive del Sebeto un suo amico a nome Alpitio. — Oh tu sei giunto in
luogo dove godrai il riposo e la felicità — gli dice Alpitio:
Tu sei pur giunto, ove Palme Camene
Ti daran forse alcun degno ricetto
Che questo è lo più ricco albergo e noto,
C’han per chiunque è lor servo e devoto.
Ed Alpitio gli si fa compagno e guida:
Più volte haver porai tu forse udito,
La nobiltade e la celebre fama
De ’st’incljta Città posta nel lito
De le Sirene, e Napoli or si chiama

(1) La descrizione di Poggioreale è riferita e commentata dal Colombo, in
Arch. Stor. Napol., X (1885), pp. 312-4 n.
 
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