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Napoli nobilissima — 3.1894

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Ó2

NAPOLI NOBILISSIMA

nile vecchio, che era in capo della chiesa antica, la quale
poi, edificata la nuova, fu ridotta a soccorpo (J).
Ciò posto, non v’ha dubbio, che parte di queste opere
del dormitorio nuovo rispondano al lato di mezzodì del-
l’Atrio del Platano. Vedremo fra poco, come questa mi-
nuta ricerca non sia inutile, anzi importante. E nell’Atrio
del Platano rimane ancora qualche segno dell’opera antica,
mentre nel resto dell’Archivio tutto è stato rinnovato.
Avanzano in fatto sull’alto del muro dal canto di mez-
zodì due tratti degli archetti di coronamento, indizio certo
del tempo, nel quale fu condotta l’opera.
E il giardino dov’era? Se non sono tratto in inganno,
parrai che si stendeva fra occidente e settentrione della
chiesa vecchia e del monastero; c’è il documento vivo del
Platano: parte fu occupato poi dalla chiesa nuova, parte
era stato già chiuso pel chiostro, in mezzo del quale re-
stò l’albero maestoso che gli diede il nome. Ed il Platano
già sulla metà del secolo XV aveva grande il tronco se-
colare e i rami diffusi; onde delle piante antiche del giar-
dino sola fu salvata, per la grandezza e la bellezza, e forse
per le pie tradizioni leggendarie.
Il Platano di s. Severino è in effetto l’albero più mae-
stoso che vegeti in Napoli e nelle circostanze (3), nè manca
della sua pia leggenda: lo piantò s. Benedetto quando venne
in Napoli e diede alle foglie virtù di sanare le piaghe (4),
e in grazia del santo sull’inforcatura del grande tronco
nacquero due alberi di fico: l’uno mena fichi bianchi e
l’altro neri. Or veramente l’immane tronco è vuoto, ma
la pianta è vegeta e vigorosa e all’altezza di sei metri si
biforca, e dal vuoto vengono fuori gli alberi di fico, i
quali menano i dolci frutti. Nell’anno 1862 il Trincherà
Sopraintendente dell’Archivio di Stato fece tagliare un
grande ramo della pianta secolare: non so come e perchè
il buon Minieri Riccio Sopraintendente succeduto al Trin-
cherà si lasciò persuadere da mala gente a farne tagliare
un altro a’ 23 di febbraio 1875. I poeti classici quel dì
avrebbero udito l’ululato delle ninfe tutelari; io n’ebbi uno

(1) Probabilmente il campanile vecchio si levava dove ora è la sa-
crestia: il nuovo fu costruito verso l’anno 1537. Faraglia, Memorie
artìstiche della Chiesa dei Ss. Severino e Sossio, Arch. st. nap., anno III,
236.
(2) All’Atrio del Platano restò il nome di Giardino. Leggesi nel
Celano (Ed. Chiarini, III, 719). « Nel giardino di questo chiostro vi
si vede un platano dal tempo che questo luogo fu concesso a’ monaci,
che sarà da 700 anni, e si vede cresciuto in tanta altezza, che le cime
avendo sopravanzati i dormitori!, vedono il mare ». Il Celano scri-
veva verso il 1692 i noti libri delle Notizie del bello, dell’antico e del
curioso della città di Napoli.
(3) Ha la circonferenza di metri 8.45 misurato a fior di terra se-
guendo le insenature del tronco: a petto d’uomo misura metri 5.95:
si biforca all’altezza di metri 6.25.
(4) Anche ora spesso la gente popolana domanda le foglie del pla-
tano a questo effetto.

schianto di cuore e notai il giorno nelle mie memorie.
Il legno tagliato, l’ho visto io, apparve rosso, vivo, sodo,
senza indizio di carie e di vecchiezza: intorno a quel ra-
mo fra i silenzi! del chiostro le aure avevano ripercosso
l’eco del trionfo di Alfonso i.° d’Aragona, e delle grida
rivoltose dei seguaci di Masaniello, e fu una colpa la di-
struzione del naturale lavorìo di molti secoli.
Il nostro Platano ha pure un pregio scientifico, perchè
è l’unica pianta della specie orientale, che esista in questi
paesi; quelli, che ornano i giardini e le piazze, o fiancheg-
giano le strade, sono della specie americana.
Le tradizioni leggendarie gli assegnano poi da dodici a
quindici secoli di vita: i dotti delle cose naturali da nove
a dieci secoli: la specie della pianta rimena naturalmente
il pensiero ai tempi, nei quali Napoli aveva con l’oriente
strette relazioni politiche e commerciali.
Or monco, com’è, l’albero di s. Benedetto conserva la
maestà antica, che meglio appare nel verno, allorché spo-
gliato delle foglie mostra i rami immensi nudi e sparsi, ed
il vasto tronco si covre di molle muschio verdeggiante in-
terrotto dai lucidi scudetti dell’umbilico di Venere; quando
poi se ne riveste a primavera e l’aura agita le cime, si
diffonde pei silenzii del sacro chiostro il dolce mormorio
d’una selva ombrosa.
Del resto l’importanza di questo Atrio cresce pel me-
rito incontrastato dei dipinti, che lo decorano, e dei quali
tratterò una delle prossime volte.
N. F. Faraglia.

NOTIZIE ED OSSERVAZIONI
Francescantonio Casella.
È morto a Napoli, il primo di questo mese, chiudendo una vita
tormentata, in questi ultimi anni, da quasi continue sofferenze. Non è
di questo luogo il dire degnamente dell’altezza dell’ingegno, della no-
biltà dell’animo, della vastissima dottrina del Casella, magistrato, av-
vocato, letterato e bibliografo. Alla sua sicura e recondita dottrina
ogni studioso di cose napoletane poteva ricorrere con fiducia: egli
aveva letto tanto, tanto meditato sulla vita del nostro paese, aveva
raccolto, con amore di bibliofilo, tanti preziosi documenti intorno alla
sua storia.
Chi scrive queste linee non dimenticherà mai la buona e cara im-
magine paterna del vecchio consigliere, e le lunghe conversazioni
avute con lui, quando lo accompagnava talvolta nelle sue passeggiate
giornaliere per via Toledo, o quando se lo vedeva giungere in casa,
salendo a fatica le scale, per passare qualche ora a discorrere con lui
dei suoi studii prediletti, dei cari suoi libri.
*
* *
La leggenda Dell’Arco di S. Eligio.
Se ne occupò il nostro redattore Benedetto Croce nell’a. I, fase, io,
della nostra rivista; il quale concludendo la sua esposizione delle sva-
riate versioni di quell’aneddoto, così diceva : « Io non voglio già ne-
 
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