RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
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« rie bande mostrando i getti, formano nell’intera sua lunghezza ven-
« tuno vuoti a foggia di anelli », con una serie di curiose imprese (i).
Dalla collana pende il candido ermellino. Malo mori quam foedart.
L’attribuzione del busto al Mazzoni è accettata come probabile dal
Burckhardt (2); e il Venturi è della stessa opinione, appoggiandosi
specialmente « all’autorevole parere dello Schulz », il quale avrebbe
detto ch’esso « attesta come in Guido Mazzoni fosse ben grande la
« comprensione dell’individualità ». E il Venturi soggiunge per suo
conto: « Anche a noi sembra che quell’opera appartenga al nostro
« artista, poiché addimostra tutto quel realismo profondo, nato dall’os-
« servazione delle più fine minuzie della forma, e certe sue proprie
« caratteristiche, quella ad esempio di tracciare all’angolo esteriore
« dell’occhio rughe lievi, fine, delicate, in una maniera che si potrebbe
« paragonare a quella che usa l’incisore in rame ».
Ma cominciamo col togliere di mezzo {'autorevole parere dello Schulz.
Io non so per quale strana confusione un così dotto e diligente critico
d’arte quale il Venturi abbia potuto far dire allo Schulz proprio il
contrario di quel ch’egli ha detto.
Ecco le parole dello Schulz, da me fedelmente tradotte : « Se que-
« st’opera è del Modanino, cui ordinariamente si attribuisce, essa gli
« fa veramente moltissimo onore, perchè senza dubbio appartiene ai
« più perfetti busti di quel tempo. Tuttavia, la concezione e la tratta-
le zione del ritratto è assolutamente diversa da quelle di quest’artista
« (durchaus voti der diesar Kiinstlers verschieden), il quale suol concepire
« piccole esteriorità di genere, e non è mai grande, schietto, signifi-
« cativo ».
Se non che, entrando in merito, ha ragione lo Schulz nel trovarlo
dissimile dal fare del Mazzoni, o il Venturi nel trovarlo invece simile?
Il Mazzoni, com’è noto, lavorò in seguito anche in bronzo. E forse
lo Schulz lo abbassa un po’ troppo, facendone un artista dal realismo
puramente esteriore e grossolano. Tuttavia, quel busto fa anche a me
l’impressione d’esser opera di artista di maggior levatura che non
sia il mascheraio e plasticatore modenese.
Un’altra attribuzione si è fatta di quest’opera d’arte; e l’espresse
prima il Fusco e poi lo Schulz, senza sapere, a quanto sembra, del
primo. « Nella mancanza di antiche testimonianze — dice il Fusco —
« io inclinerei a credere che fosse stata gettata dal nostro Guglielmo
« Monaco, che parimenti in bronzo lavorò la pur troppo nota porta
« dell’arco di Re Alfonso I al Castello nuovo. E, veramente, chi ben
« raggarda il tempo in cui dovette sì l’una che l’altra fondersi, e la
« somiglianza dello stile, non potrà stimare molto inverisimile siffatta
« congettura » (3).
Ed egualmente lo Schulz, ma con maggiore riserva : « Forse noi
« non c’inganniamo se l’attribuiamo al medesimo artista che si occupò
« tante volte dei fatti e dell’immagine di re Ferrante nelle porte di
« Castelnuovo. Tuttavia, il merito del busto supera di gran lunga
« quello delle porte, e mostra una comprensione della personalità,
« per quel tempo viva e piena d’espressione ».
Ma è proprio necessario ostinarsi a voler trovare l’artista di un’opera,
della quale, per ora, l’artista non si conosce?
(Nota di Benedetto Croce').
I PORTI E GLI ARSENALI
DI NAPOLI
IL
I PORTI ED ARSENALI ANGIOINI.
La città di Napoli divenuta capitale del Regno, venne
sul declinare del secolo XIII ad ampliarsi dal lato di mez-
zodì. Intorno a quel tempo levaronsi nuove chiese, banchi
(1) Il Fusco ne indaga minutamente il significato. Cfr. anche l’incisione
che precede il suo opuscolo.
(2) Der Cicerone, 1. c.
(3) Fusco, o. c., p. 20.
da negozio ed altri non pochi edifici, che di giorno in
giorno costruironsi sopra suoli demaniali e privati (J).
Carlo II d’Angiò, che s’era rivolto ad abbellire la città,
non fermossi soltanto ad allargarne il circuito delle mu-
ra (1 2 3 4 5); a farne, nel 1301, lastricare le vie con mattoni di
Gaeta e di Maddaloni (3), ed al prosciugamento dei fusari,
che ne rendevano l’aria insalubre (4); ma, con savio prov-
vedimento, pose mano ancora alla ricostruzione del porto,
affine di renderlo più ampio e sicuro.
Il porto, che, con la costruzione di un molo, il re an-
gioino s’era accinto ad ampliare, fu quello detto pisano,
avanzo, come si sa, dell’antico Vulpulum. Ed il molo che
trovo in seguito distinto col nome di molo grande, a dif-
ferenza dell’altro più antico e più piccolo (5), tolse pure,
dalla dinastia, la denominazione di angioino (6 7). I lavori,
però, dovettero cominciare prima del 5 luglio 1302, per-
chè un documento di quell’epoca attesta che vi era allora
addetto come protomaestro un Riccardo Primario (7). Tut-
tavia a sostenere le immense spese dell’opera, per la quale
risultavano insufficienti le impoverite finanze del Regno,
avevano provveduto i cittadini di Napoli con una nuova
imposta di un tari d’oro sopra l’estrazione di ogni botte
di vino greco e latino, e che Carlo, nel 4 agosto di quel-
l’anno, prometteva dover durare non oltre un quinquen-
nio (8 9). Se non che, in appresso, l’angioino per reclamo dei
cittadini, a quell’imposta, riuscita molesta ed ineguale, so-
stituiva, con diploma del 22 maggio 1306, un altro dazio,
detto poscia la gabella del buon denaro; la quale, stabiliva
che, oltre alla costruzione del porto, dovesse concorrere,
ancora, alle spese per le altre opere pubbliche della città (9).
(1) Capasso, Sulla circoscrizione civile ed ecclesiastica e sulla popola-
zione della città di Napoli, p. 9-10.
(2) Camera, Annali, voi. II, p. 76.
(3) Camera, Ivi, p. 83-84.
(4) Ivi, p. 74.
(5) Questa distinzione appare la prima volta nel 1344. Cit. reg.
Ang. 1343-1344, A, n. 336, fol. 151. Confr. Capasso, La fontana dei
quattro del molo, Arch. star. Nap., voi. V, p. 163, n. 1.
(6) Capasso, cit. opuscolo, Napoli e Palepoli, p. 63. Detto, La fon-
tana dei quattro del molo, 1. c., p. 163. Contarini, Antichità di Napoli,
p. 7. Capaccio, Napoli descritta nei principii del secolo XVII, Arch. stor.
Nap., voi. VII, p. 84. Non è poi da ritenere quanto affermano alcuni
patrii scrittori che l’opera fatta da Carlo II fosse il molo piccolo, e
neppure quello di avere immaginato un altro porto, posto in mezzo
tra il grande ed il piccolo. Del molo di mezzo farò cenno in appresso.
Confr. Capasso, cit., opusc., Nap. e Palepoli, p. 63 e 113, n. 53-54.
Detto, La fontana dei quattro del molo, 1. c., p. 168, n. 4.
(7) Costui turbato da taluni cittadini di Procida nel pacifico pos-
sesso del dritto di pesca presso il Capo Miseno, era ricorso a Carlo,
il quale il 5 luglio e 28 agosto 1302 scrisse al Capitano di Napoli ed
ai Baiuli di Procida che avessero garentito da ogni molestia il richie-
dente, prothomagister operis portus Neapolis. Reg. Ang. 1301-1302, A,
n. 119, fol. 286 e 340.
(8) Camera, Annali, voi. II, p. 11.
(9) Il documento edito in parte dal Camera, op. e voi. c., p. 92,
è pubblicato per intero dal Minieri-Riccio nel Saggio di codice dipi,
ruppi., p. II, pag. 39.
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« rie bande mostrando i getti, formano nell’intera sua lunghezza ven-
« tuno vuoti a foggia di anelli », con una serie di curiose imprese (i).
Dalla collana pende il candido ermellino. Malo mori quam foedart.
L’attribuzione del busto al Mazzoni è accettata come probabile dal
Burckhardt (2); e il Venturi è della stessa opinione, appoggiandosi
specialmente « all’autorevole parere dello Schulz », il quale avrebbe
detto ch’esso « attesta come in Guido Mazzoni fosse ben grande la
« comprensione dell’individualità ». E il Venturi soggiunge per suo
conto: « Anche a noi sembra che quell’opera appartenga al nostro
« artista, poiché addimostra tutto quel realismo profondo, nato dall’os-
« servazione delle più fine minuzie della forma, e certe sue proprie
« caratteristiche, quella ad esempio di tracciare all’angolo esteriore
« dell’occhio rughe lievi, fine, delicate, in una maniera che si potrebbe
« paragonare a quella che usa l’incisore in rame ».
Ma cominciamo col togliere di mezzo {'autorevole parere dello Schulz.
Io non so per quale strana confusione un così dotto e diligente critico
d’arte quale il Venturi abbia potuto far dire allo Schulz proprio il
contrario di quel ch’egli ha detto.
Ecco le parole dello Schulz, da me fedelmente tradotte : « Se que-
« st’opera è del Modanino, cui ordinariamente si attribuisce, essa gli
« fa veramente moltissimo onore, perchè senza dubbio appartiene ai
« più perfetti busti di quel tempo. Tuttavia, la concezione e la tratta-
le zione del ritratto è assolutamente diversa da quelle di quest’artista
« (durchaus voti der diesar Kiinstlers verschieden), il quale suol concepire
« piccole esteriorità di genere, e non è mai grande, schietto, signifi-
« cativo ».
Se non che, entrando in merito, ha ragione lo Schulz nel trovarlo
dissimile dal fare del Mazzoni, o il Venturi nel trovarlo invece simile?
Il Mazzoni, com’è noto, lavorò in seguito anche in bronzo. E forse
lo Schulz lo abbassa un po’ troppo, facendone un artista dal realismo
puramente esteriore e grossolano. Tuttavia, quel busto fa anche a me
l’impressione d’esser opera di artista di maggior levatura che non
sia il mascheraio e plasticatore modenese.
Un’altra attribuzione si è fatta di quest’opera d’arte; e l’espresse
prima il Fusco e poi lo Schulz, senza sapere, a quanto sembra, del
primo. « Nella mancanza di antiche testimonianze — dice il Fusco —
« io inclinerei a credere che fosse stata gettata dal nostro Guglielmo
« Monaco, che parimenti in bronzo lavorò la pur troppo nota porta
« dell’arco di Re Alfonso I al Castello nuovo. E, veramente, chi ben
« raggarda il tempo in cui dovette sì l’una che l’altra fondersi, e la
« somiglianza dello stile, non potrà stimare molto inverisimile siffatta
« congettura » (3).
Ed egualmente lo Schulz, ma con maggiore riserva : « Forse noi
« non c’inganniamo se l’attribuiamo al medesimo artista che si occupò
« tante volte dei fatti e dell’immagine di re Ferrante nelle porte di
« Castelnuovo. Tuttavia, il merito del busto supera di gran lunga
« quello delle porte, e mostra una comprensione della personalità,
« per quel tempo viva e piena d’espressione ».
Ma è proprio necessario ostinarsi a voler trovare l’artista di un’opera,
della quale, per ora, l’artista non si conosce?
(Nota di Benedetto Croce').
I PORTI E GLI ARSENALI
DI NAPOLI
IL
I PORTI ED ARSENALI ANGIOINI.
La città di Napoli divenuta capitale del Regno, venne
sul declinare del secolo XIII ad ampliarsi dal lato di mez-
zodì. Intorno a quel tempo levaronsi nuove chiese, banchi
(1) Il Fusco ne indaga minutamente il significato. Cfr. anche l’incisione
che precede il suo opuscolo.
(2) Der Cicerone, 1. c.
(3) Fusco, o. c., p. 20.
da negozio ed altri non pochi edifici, che di giorno in
giorno costruironsi sopra suoli demaniali e privati (J).
Carlo II d’Angiò, che s’era rivolto ad abbellire la città,
non fermossi soltanto ad allargarne il circuito delle mu-
ra (1 2 3 4 5); a farne, nel 1301, lastricare le vie con mattoni di
Gaeta e di Maddaloni (3), ed al prosciugamento dei fusari,
che ne rendevano l’aria insalubre (4); ma, con savio prov-
vedimento, pose mano ancora alla ricostruzione del porto,
affine di renderlo più ampio e sicuro.
Il porto, che, con la costruzione di un molo, il re an-
gioino s’era accinto ad ampliare, fu quello detto pisano,
avanzo, come si sa, dell’antico Vulpulum. Ed il molo che
trovo in seguito distinto col nome di molo grande, a dif-
ferenza dell’altro più antico e più piccolo (5), tolse pure,
dalla dinastia, la denominazione di angioino (6 7). I lavori,
però, dovettero cominciare prima del 5 luglio 1302, per-
chè un documento di quell’epoca attesta che vi era allora
addetto come protomaestro un Riccardo Primario (7). Tut-
tavia a sostenere le immense spese dell’opera, per la quale
risultavano insufficienti le impoverite finanze del Regno,
avevano provveduto i cittadini di Napoli con una nuova
imposta di un tari d’oro sopra l’estrazione di ogni botte
di vino greco e latino, e che Carlo, nel 4 agosto di quel-
l’anno, prometteva dover durare non oltre un quinquen-
nio (8 9). Se non che, in appresso, l’angioino per reclamo dei
cittadini, a quell’imposta, riuscita molesta ed ineguale, so-
stituiva, con diploma del 22 maggio 1306, un altro dazio,
detto poscia la gabella del buon denaro; la quale, stabiliva
che, oltre alla costruzione del porto, dovesse concorrere,
ancora, alle spese per le altre opere pubbliche della città (9).
(1) Capasso, Sulla circoscrizione civile ed ecclesiastica e sulla popola-
zione della città di Napoli, p. 9-10.
(2) Camera, Annali, voi. II, p. 76.
(3) Camera, Ivi, p. 83-84.
(4) Ivi, p. 74.
(5) Questa distinzione appare la prima volta nel 1344. Cit. reg.
Ang. 1343-1344, A, n. 336, fol. 151. Confr. Capasso, La fontana dei
quattro del molo, Arch. star. Nap., voi. V, p. 163, n. 1.
(6) Capasso, cit. opuscolo, Napoli e Palepoli, p. 63. Detto, La fon-
tana dei quattro del molo, 1. c., p. 163. Contarini, Antichità di Napoli,
p. 7. Capaccio, Napoli descritta nei principii del secolo XVII, Arch. stor.
Nap., voi. VII, p. 84. Non è poi da ritenere quanto affermano alcuni
patrii scrittori che l’opera fatta da Carlo II fosse il molo piccolo, e
neppure quello di avere immaginato un altro porto, posto in mezzo
tra il grande ed il piccolo. Del molo di mezzo farò cenno in appresso.
Confr. Capasso, cit., opusc., Nap. e Palepoli, p. 63 e 113, n. 53-54.
Detto, La fontana dei quattro del molo, 1. c., p. 168, n. 4.
(7) Costui turbato da taluni cittadini di Procida nel pacifico pos-
sesso del dritto di pesca presso il Capo Miseno, era ricorso a Carlo,
il quale il 5 luglio e 28 agosto 1302 scrisse al Capitano di Napoli ed
ai Baiuli di Procida che avessero garentito da ogni molestia il richie-
dente, prothomagister operis portus Neapolis. Reg. Ang. 1301-1302, A,
n. 119, fol. 286 e 340.
(8) Camera, Annali, voi. II, p. 11.
(9) Il documento edito in parte dal Camera, op. e voi. c., p. 92,
è pubblicato per intero dal Minieri-Riccio nel Saggio di codice dipi,
ruppi., p. II, pag. 39.