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Napoli nobilissima — 3.1894

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

103

chiese, e specialmente in maggior numero sulla grande
scaglionata di S. Paolo maggiore. Fra la folla vedevansi
non pochi prodi e vecchi soldati delle fanterie spagnuole
ed italiane, che avevano combattuto coi Turchi nelle guerre
di Africa e di Ungheria, trattemeli (pensionati), avvantag-
giati (con assegni di grazia), struppiati (’), come allora di-
cevano gl’invalidi, i quali tutti prendevano dal passaggio
gradita occasione di raccontare ai pacifici popolani, che
ascoltavano con manifesti segni di meraviglia e compiaci-
mento, i fatti d’arme, i pericoli e le avventure in cui si
erano trovati. Nè vi mancavano quei soldati spagnuoli, che
dicevansi bisogni (1 2 3), perchè mancavano di tutto, meno che
di avidità, insolenza ed albagia. E ne davano pruove anche
in questa circostanza. Uno di essi, al quale era conteso
dalla folla un posto migliore, gridò a quelli che gli erano
innanzi: — « Non mi conosceis vos? Non si ha da trat-
tare d’està maniera los hombres d’honra » (gli uomini
d’onore). Al che avendo ripetuto uno: « Ma chi sete voi
« per vita vostra? » Egli rispose: « Son el limpiador (ri-
« pulitore) major della plana (argento) dorata del conde de
« Benivento ». Di sorta che la cosa andò in una baia da
far crepare dalle risa molti, i quali mai non udirono un
tale ufficio (3).
In generale gli spettatori ammiravano la barbara gravità
e l’indifferenza del re Muleassen, che nell’ entrare Porta
Capuana, appena vi alzò gli occhi, nè guardò la moltitudine
delle genti, ch’erano accorse a vederlo, nè le signore e
gentildonne infinite, che si trovavano alle finestre. Solo
alzò gli occhi e mirò per buono spazio di tempo alla fac-
ciata della chiesa di S. Paolo, già tempio pagano dedicato
ai Dioscuri, meravigliosa allora, perchè non ancora rovi-
nata dal tremuoto del 1688. E parve a molti eh’ ei leg-
gesse quella epigrafe greca ch’era scolpita nell’architrave
della medesima.
Giunto all’incoronata e licenziatosi dal Viceré, Muleas-
sen entrò con la sua gente nel palazzo di d. Garzia di
Toledo vicino a Castelnuovo, e fu da questo, dalle navi
e galere, che stavano nel molo e dal castello di S. Eramo
salutato con molte artiglierie « et candonate grossissime
« et fulgori che durò per spazio di uno quarto de hora
« in circa, tremando la terra che pareva che andasse basso
« sopra. Il palazzo dove andò il re era stato molto bene
« preparato tanto de magnare quanto de dormire con più
« et diversi soni bellissimi ». La regina, moglie di Mu-

ti) Di questi soldati se ne trovano alcuni notati nella Cedola
n. 266, f. 184.
(2) Cfr. Arch. stor. ital., t. IX, p. 212.
(3) L’aneddoto avvenne pochi anni prima, nel 1535, in una sala,
a quanto pare, di un signore napoletano, ed è riferito dal Giovio,
Lettere, f. 97, il quale aggiunge essere la cosa venuta in proverbio.

leassen, e le altre donne insieme con 500 soldati mori,
che erano giunti per mare nella precedente domenica e
si trovavano nelle navi ancorate nel porto, la sera di gio-
vedì sbarcarono e quella con le donne andò al palazzo
Toledo, e questi presero alloggio in varie case private (D.
continua.
Bartolommeo Capasso.

IL TEATRO DEL FONDO

IL
Come si vede, dalle due commedie e due farse accen-
nate, l’indirizzo che si voleva dare al teatro, fu dal bel
principio deviato. Si dovevano in esso rappresentare dram-
mi eroici, azioni coreografiche bene ideate, maestrevol-
mente dirette e ballate con grazia, e si videro invece
sciocche farse, commedie buffe triviali, balletti grotteschi.
A molti questo sviamento parve giustissimo, perchè dice-
vano: per il genere classico vi è S. Carlo, il teatro mas-
simo per eccellenza; colà debbono rappresentarsi i bei
drammi, le grandi tragedie, i balli storici o fantastici gran-
diosi e di effetto sorprendente. Questi sconci, quando av-
vennero, furono deplorati e mal tollerati, e per fortuna
accaddero solo sotto impresari speculatori intriganti e po-
veri, che per manco di danaro ed avidità di lucro scrit-
turavano artisti mediocri, poeti balordi, e maestri di cap-
pella ignoranti. Queste erano rare parentesi, poiché le
opere buffe, serie, semiserie ed anche le farse, scritte da
buoni poeti, musicate da eccellenti maestri, e cantate da
abili artisti, non mancarono.
Del celebre maestro Domenico Cimarosa, oltre L’infe-
deltà fedele, se ne rappresentarono, e sempre applaudite,
molte altre; tre nel solo anno 1795, La Penelope, L’im-
pegno, L’amante disperato. Di Guglielmi nell’aprile del 1790,
La bella pescatrice, ch’era stata già un anno prima rappre-
sentata e applaudita molto al Teatro nuovo. Pel Fondo il
maestro vi aggiunse due pezzi nuovi « fra i quali un duetto
« cantato dal celebre tenore Pintauro, e dalla signora Ma-
« rianna Vinci, molto abile cantatrice » (2). Al Nuovo, la
parte della Vinci fu cantata da Luisa Volpini. Dello stesso
Guglielmi, per terza opera dell’anno teatrale suddetto, fu
rappresentato L’azzardo. Piacque moltissimo non solo la
musica gioviale e festevole, ma ancora il magnifico e adatto
vestiario, e la fantastica e vaga dipintura dello scenario (3).

(1) Db Spenis, l. c.
(2) Notizie del Mondo, 20 aprile 1790, n. 32.
(3) Fu dipinto da Cosimo Betti e Luigi Grassi, due abili sceno-
grafi, allievi del fiorentino Domenico Chelli, architetto, pittore, sceno-
grafo del teatro San Carlo.
 
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