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Napoli nobilissima — 3.1894

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

i43

Portosalvo ed il molo piccolo « entrandosi in esso per
« sotto di ben larghe ed alte arcate » (’).
Negli anni a noi più prossimi, nuove fabbriche levaronsi
nella Darsena. Demolita già, sul declinare dello scorso se-
colo, la torre S. Vincenzo, posta all’imboccatura di essa,
il suo fondo venne a maggiore profondità cavato, e l’an-
tico scalo, del pari, protratto di altri 75 palmi. Prolun-
gandosi, ancora, verso l’anno 1826 le fabbriche dall’abbat-
tuta torre S. Vincenzo con panchine e grandi magazzini,
si ebbe in mente far sorgere un nuovo porto militare, men-
tre l’altro, per le aggiunte già fatte ad oriente del molo,
e con la costruzione del braccio d&W’Immacolatella, addetto
solo per le navi da commercio, tolse il nome di porto mer-
cantile (1 2 3 4). Ferdinando II di Borbone, intorno l’anno 1838,
rese ancora migliore la strada del Piliero, ampliandola
verso il mare, dal quale era chiusa con saldi cancelli di
ferro. La via, adorna da una bella fontana, fu posta a li-
vello con due nuovi ponti, l’uno in ferro, l’altro in fab-
brica, sostituiti al gran ponte carolino, allora demolito.
Anche, dopo pochi anni, la strada del Molo, resa piana
e lastricata di nuovo, ornavasi di larghi marciapiedi e di
solide colonne ad armeggio delle navi, e vi si aprivano
pure agevoli scale per discesa al sottoposto lido. Abbat-
tutasi in parte la chiesa di S. Maria del Mimedio con le
case che vi erano daccanto, e che fu ricostruita poco più
innanzi, venne a scoprirsi allo sguardo la lanterna, che, an-
che essa rifatta, in bella prospettiva sorgeva maestosa (3).
D’allora non si videro più sul molo i cantastorie con gli
occhiali al naso, ritti in mezzo a gruppi di attoniti ascol-
tanti, ripetere, con spontanea declamazione, le ardite geste
di Rinaldo, e il furore di Orlando. Nè quelle baracche
composte di quattro deboli assicelle e di un vecchio len-
zuolo, ove accorrevano miserabili avventori a farsi radere
per un grano, o meglio a farsi scorticare. Così, trasforman-
dosi la gaia vita del luogo, scomparvero pure i Bancaroz-
zai di libri, i Bagattellieri, i Cavadenti, e quella turba di
gente spensierata ed allegra, attirata al suon di gran-cassa
o di trombe, a mirare spettacoli di giuochi di forza e di
bravura (4).
Non pertanto, pel cresciuto sviluppo delle cose di mare,
edifìcaronsi nella Darsena numerosi magazzini, officine di
ogni specie, parchi d’artiglierie, allo stesso tempo che il
porto militare acquistava maggiore importanza per la co-
struzione dei bacini da raddobbo, con macchine a vapore

(1) Sigismondi, tom. cit., pag. 191. Confr. D’Auria, Dalla Dar-
sena all’Immacolatella, in Nap. nobilissima, anno I, n. io.
(2) Celano, ed. Chiarini, voi. 4, pag. 411, 413 e 478.
(3) Ivi, voi. 1, pag. 76. D’Auria, 1. c. Per la lanterna del molo,
confr. Spadetta, Nap. nobilissima, anno I, n. 7.
(4) Mariano Lombardi, Napoli in miniatura, pag. 294-312.

per esaurimenti, ed una vasta piazza da cantiere (*). Ed
oggi, il punto franco già sorto presso il faro; il maestoso
nuovo porto che sorge lungo la strada della Marina, coi
bacini di carenaggio, di là da venire, sono opere mirabili,
che, dovute al progredir dei tempi nostri, contribuiranno
un giorno, forse non lontano, al maggior lustro e decoro
della città.
fine.
Antonio Colombo fu Gaetano.

DA LIBRI E PERIODICI
Annunziammo già (III, 64) la memoria di E. Cocchia, intorno a
un medaglione di Jacobo Sannazaro, scritta a proposito di una pole-
mica sorta nel seno della Società Reale tra il Cocchia e l’altro socio
Carmelo Mancini. La polemica ha dato un nuovo frutto colla me-
moria letta dal Mancini all’Accademia Pontaniana il 3 giugno del
corrente anno col titolo : I nomi accademici di Jacopo Sannazaro liberati
dalle falsità e la simbolica dei medesimi stabilita e coordinata con quella
del suo mausoleo (pp. 24, in-4.0).
Lasciando stare tutta la parte, diremo così, personale della pole-
mica, e lasciando stare anche la quistione iniziale dell’autenticità del
medaglione coll’effigie del Sannazaro, presentato dal De Petra all’Ac-
cademia Reale il 28 dicembre 1893, c’importa di fermarci sull’illu-
strazione che n’è venuta fuori dei nomi accademici e del mausoleo
sannazariano. Contro l’autenticità del medaglione produce argomenti
gravissimi il Mancini; ma, ammettendo anche che possa restare qual-
che dubbio sul proposito, il medaglione è, in ogni caso, una cosa
piuttosto insignificante, che non meritava per se stesso l’onore della
lunga discussione.
Ma dalla nuova memoria del Mancini resta irrefragabilmente sta-
bilito che il nome accademico del Sannazaro era Actius (e non Accius)
Syncerus. Il Mancini riprova l’opinione — già combattuta dal Rosalba —
che il nome Actius derivi da acta, le spiagge cantate dal Sannazaro.
La sua opinione è invece che il nome sia tolto dall’Apollo Azzio,
conduttor delle Muse. « Quando il Fontano fondò questa nostra Ac-
cademia —■ egli dice — ed assegnò i diversi nomi simbolici ai suoi
aggregati, ritenne per sé la parte del leone; imperocché Jovianus altro
non significa che figlio, o discendente di Giove, principe degli dei; e
riserbò il secondo posto per il suo prediletto Sannazaro, col denomi-
narlo Actius, cioè Apollo duce delle Muse. Ma solo a lui manifestò la
simbolica di questo splendido nome, e raccomandogli il segreto per
salvarlo dai velenosi strali dell’invidia. In diversa ipotesi tutto col
tempo sarebbe venuto a conoscersi, nè avrebbero potuto sorgere tante
ridicole congetture per ispiegarne la genesi. Nè il Manuzio seniore,
nè il giuniore, nè il D’Alessandro, uomini dottissimi, fecero menzione
nei loro scritti di Apollo Musagete, e probabilmente nessuno a quei
tempi conosceva che questo era il nome adorato pel promontorio di
Azzio. Ma il Fontano dovette impararlo dai nummi Augustei, e da
altre fonti poco note .... » (pp. 22-3).
Connessa a questo nome è la simbolica di quel rilievo ch’è nel
mezzo del mausoleo del poeta: rilievo che è stato da molti descritto,

(1) Celano, ediz. cit., voi. 4, pag. 416. Confr. Poliorama pittoresco,
anno XIV, p. 146.
 
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