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Napoli nobilissima — 3.1894

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Fasc. VII
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Salazar, Lorenzo: La patria e la famiglia dello Spagnoletto
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Capasso, Bartolommeo: Il palazzo di Fabrizio Colonna a Mezzocannone: Pagine della Storia di Napoli studiata nelle sue vie e nei suoi monumenti
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https://doi.org/10.11588/diglit.62000#0116

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NAPOLI NOBILISSIMA

E, per finire, pubblico un’ultima notizia, che varrà a
suffragare l’anima dello Spagnoletto, contristata dalle ca-
lunnie di Bernado de Dominici; ed è proprio la fede di
matrimonio di Don Bernardo, che, con quella moglie, do-
veva necessariamente aver mal di fegato:
Maggio 1735
Adi 21 d.° D. Bernardo de Dominici, e D. Maria Marta Madda-
lena Quaresima hanno contratto matrimonio tra loro per verba de
pnti vis, et volo in Chiesa juxta form S. C. T. et dee.” Illmi, et
Rev.mi Dni Vie. Genelis Neàp. in presenza del sud.» Coad.e (1) solle
quello presenti II Revo D. Fortunato Egineta, Ignatio Oliviero, e sig.
D. Dom.co Giordano (2).
Lorenzo Salazar.

IL PALAZZO DI FABRIZIO COLONNA
A MEZZOCANNONE
Pagine della Storia di Napoli
studiata nelle sue vie e nei suoi monumenti
IV.
Muleassen re di Tunisi nel palazzo Colonna (1543).
Il palazzo di via Mezzocannone nel secolo XVI non fu
solamente illustrato dai Colonnesi, che ne erano i proprie-
tarii, ma anche da uno strano inquilino, che vi dimorò
per qualche mese nel 1543 e che diede occasione ad al-
cune pagine della nostra storia del tempo. Questo strano
inquilino fu il sultano di Tunisi, chiamato dagl’italiani
Muleassen (Muley-Hassen), e dagli Arabi propriamente
Abu-Abd-Allah-Mohammed-el-Hasan (3), il quale nelle sue
lettere e nei dispacci intitolavasi servo di Dio, sostenuto da
Dio vittorioso, negli affari segreti e nei palesi, e principe dei
credenti (emir-el-mumenim).

(1) R. D., Gregorio Cariuccio.
(2) Libro XIV matr. S. Anna, fol. 107.
(3) Nella narrazione delle vicende di Muleassen, oltre ai nostri
storici Castaldo, Summonte e Costo, io seguo principalmente Paolo
Giovio, che ne trattò abbastanza largamente nella Historia sui temporis,
e, riassumendo i principali fatti, negli Elogia virorum bellica virtute il-
lustrium. Per la prima opera quando mi par necessario cito l’edizione
di Basileo 1578, e per la seconda l’edizione anche di Basilea del 1596.
Il Giovio ebbe l’opportunità, come egli medesimo attesta, di sentire
dalla bocca propria del re di Tunisi i fatti della sua vita avventurosa,
allorché s’incontrò in Roma con lui in casa del cardinale Alessandro
Farnese, quando acciecato e scacciato di nuovo dal regno, andava ra-
mingo per l’Italia cercando protezione ed aiuto. Mi giovo pure delle
lettere di Muleassen a Ferrante Gonzaga (1537-1547), tradotte in parte
originariamente ed in parte trent’anni fa dall’Amari, e pubblicate negli
Atti e memorie delle regie Deputazioni di Storia patria per le province
Modenesi e Parmensi, Modena, 1865, voi. Ili, p. 115 e s.; non che dei
Cenni storici che l’Oderici premise alle medesime.

Egli apparteneva alla dinastia dei Beni-abi-Hafs, che van-
tavasi discendere direttamente da Omar, il compagno del
Profeta. Dopo la morte del padre Muley-Mohammed, co-
munque ultimo dei 22 figliuoli di costui, col favore di
Lentigesia sua madre, e dopo uccisi o accecati quasi tutti
coloro che potevano aver dritto alla successione, egli oc-
cupò il trono. All’eccidio scamparono solo due suoi fratelli,
uno dei quali per nome Rescid (i nostri lo chiamano Ro-
scetto), con l’aiuto di Kaireddin (Ariadeno) Barbarossa,
che allora dominava in Algeri, cercò di recuperare il per-
duto potere, ma invece die’ occasione a quel famoso cor-
saro d’impadronirsi sotto un tal pretesto della Tunisia,
discacciandone Muleassen, e mettendo un presidio turco
nella città capitale ed in Kairevàn, la città santa degli
Arabi. L’altro, Abdelmeleck, rassegnavasi per allora alla vita
privata, e si faceva eremita.
Intanto il sovrano spodestato, che vedeva non poter
trovare protezione ed aiuto tra gli Arabi e dai Musulmani,
fu persuaso da un rinnegato genovese, chiamato Ximea,
a ricorrere all’imperatore Carlo V, il quale, avendo già de-
liberato di conquistare l’Africa 0), con sollecitudine accolse
la proposta, ed associò all’impresa anche papa Paolo III,
il Portogallo e l’Ordine di Malta. Vi concorsero inoltre
volontariamente moltissimi signori della Cristianità e molti
baroni del regno, tra i quali sono principalmente ricordati
Ferrante e Pietro Antonio di Sanseverino principi di Sa-
lerno e di Bisignano, Giambattista Spinelli duca di Castro-
villari, Ferrante Carafa duca di Nocera e don Ferrante
d’Alarcone marchese della Valle Siciliana. Costoro fabbri-
carono ed armarono a proprie spese una galea per cia-
scuno, le quali si unirono a quelle, che a carico dell’erario
avea apprestate il Viceré d. Pietro di Toledo. Oltre a ciò
tra i tre colonnelli destinati a fare ventiquattro compagnie
di soldati italiani, uno era il conte di Sarno Girolamo
Tuttavilla.
L’armata forte di circa quattrocento vele (1 2 3), della quale
prendeva il comando l’imperatore in persona, nel giorno

(1) Summonte, Istoria, t. IV, p. 88; Costo, Aggiunte al Collenuccio,
t. II, p. 356. Di quest’impresa poi parlano ampiamente gli storici di
Carlo V, dei quali basta notare tra i sincroni o quasi Sandoval, Di-
sforia de la vida I echos del emperador Carlos V, Amberes, 1681, t. II,
1. XXII, De la conquesta del reyno de Tunez, a. 1535, p. 155; e tra i
moderni de Leva, Storia documentata di Carlo V, in correlazione all’Ita-
lia, Venezia, 1867, t. Ili, p. 142 e s. Si ha inoltre una scrittura spe-
ciale sull’argomento col titolo: Commentarium seu potius Diarium expe-
ditionis a Carolo V imp. semper Augusto a. 1535 susceptae di un tal
Giovanni Etropio, e che fu stampata nel libro: Rerum a Carlo V
Caesare Augusto in Africa bello gestarum Commentarli, Antuerpiae, 1555
in-8°, e ripetuta in Rerum germanicarum collectio, Basilea, t. II, p. 1341.
Il Bilintano africano, poema in cui si contengono le vittorie di Carlo Ce-
sare, Napoli, 1536, in 8.,° citato dal Giustiniani, mi è ignoto.
(2) De Leva, O. c., t. Ili, p. 143. Il Sandoval nota 700 vele, ma
esagera. Uno scrittore di quei tempi fa pure l’elenco delle diverse
specie di navi, di cui si componeva l’armata, che io qui a titolo di

». B. HEIDELBERG
 
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