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Napoli nobilissima — 3.1894

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NAPOLI NOBILISSIMA

Secondo un’antica tradizione riferita dal Celano (’), essa
apparteneva ad una statua della sirena Partenope, favolosa
madre e fondatrice di Napoli, che era eretta nel tempo
antico sulla piazza maggiore della nostra città. Ma, consi-
derando che la piazza maggiore era messa dove è ora la
chiesa di S. Lorenzo, vale a dire molto lontano dal posto
dove la testa si trova, non sembra che la tradizione po-
tesse avere un fondamento serio. Potrebbe anche essere
una di quelle tradizioni inventate dagli eruditi.
Riferisce il Summonte (2 3 4 5) che verso la fine del sec. XVI
quella testa giaceva a terra abbandonata, quando un Ales-
sandro di Miele, padrone della casa, nel cui angolo ora sta
eretta, la fece collocare su di una base di piperno e la
tolse al ludibrio ed alla distruzione. Sulla parte anteriore
della base non vi è mai stata iscrizione alcuna, come er-
roneamente afferma il Chiarini nelle sue note al Celano (3),
giacché il Summonte, che narra dell’ erezione della base
avvenuta poco prima dei suoi tempi, deplora che non vi
sia stata messa iscrizione e propone di mettervene una.
Molte e fortunose furono le vicende della « Capa » di
Napoli. Posta in uno dei quartieri più popolari della città,
ha visto passare impassibile tutte le rivoluzioni, da quella
di Masaniello a quella di Garibaldi, ed ognuna di esse le
lasciava un ricordo. Per lo più ci perdeva il naso ! Sedati
i tumulti, era ristaurata, ma il rimedio era peggiore del
male: le appiccavano un naso inverosimile, l’intonacavano,
la dipingevano ! (4). Gli anni la ritornavano all’antico co-
lore. Pochi anni fa, rimasta di nuovo priva del naso, le
fu rimesso quello che ora si vede e che avrebbe ben po-
tuto esser lavorato con perizia maggiore ! In questi ultimi
giorni è stata di nuovo imbiancata: auguriamoci che la
pioggia e le intemperie le restituiscono il bel colore do-
rato, che le hanno dato i secoli (5).
Tutte queste vicende forse hanno contribuito a far ri-
guardare quella testa come cosa buffa e perciò il volgo la
chiama anche donna Marianna; e quando vede una per-
sona colla testa grossa e che ecciti il riso, dice scherzosa-
mente: Me pare donna Marianna a Capa ’i Napole!
Ludovico de la Ville sur-Yllon.

(1) Celano, IV, 223.
(2) Summonte, o. c., p. 5.
(3) Op- c‘1-’ IV> 232-
(4) Celano, loc. cit.
(5) Nel 1749 Nunziante Pagano dedicò (con una spiritosa epi-
stola) a la Capa-de-Napoli, un suo componimento drammatico : La Fe-
nizia chelieta tragicomeca. Nel secol nostro Michele Cappelli fece reci-
tare una commedia vernacola intitolata La Capa de Napoli. Nel 1860
si cominciò a pubblicare un giornale in dialetto La Capa de Napole e
lo Sebeto, del quale comparvero solo due numeri. (Cf. la nota di V. Im-
briani a pag. 175 della sua edizione della Posilicheata di P. Sarnelli).

L’ATRIO DEL PLATANO
dell'Archivio di Stato in S. Severino di Napoli

I.
Le opere d’arte ed i monumenti più belli di Napoli
sono nascosti. Quanti napoletani hanno veduto la tela di
mastro Simone da Siena in S. Lorenzo e le tombe dei
fratelli Sanseverino di Giovanni Miriliano nella chiesa di
S. Severino ? Il maraviglioso arco del trionfo di Alfonso
d’Aragona non è ancora tutto chiuso da mura cadenti e
di fabbriche indecorose ?
L’Archivio di Stato nel monastero di S. Severino sulla
rumorosa e affollata via di S. Biagio dei Librai è celato
e chiuso dal severo edificio del Banco della Pietà; il
chiassuolo, che mena ad esso ed alla chiesa monumentale,
è angusto e sudicio. Un rigagnolo d’acqua immonda quasi
perenne scorre nel mezzo, una schiera di polli vi razzola
intorno, ed uno sciame di fanciulli mezzo nudi vi sguazza.
Le allegre comari, che abitano le stanze terrene del Con-
servatorio dei SS. Filippo e Giacomo dell’arte della Seta,
fanno cucina, salotto e peggio dell’ aperto chiassuolo: o
chiacchierano distratte sull’ uscio col lavorìo in mano, o
sciorinano panni, o sulle panche all’aperto mettono le ca-
raffe del vino, dispongono i filari del pane, e le piramidi
dei frutti da vendere. Gli stranieri, che vengono all'Ar-
chivio di Stato, veggono e studiano carte vecchie e co-
stumi antichi. Mi si conceda di dire così, perchè k> credo,
che quel chiassuolo ai tempi di Carlo III Borbone era
certo tale e quale, ed oramai è noto lippis et tonsoribus, che
nella città di Napoli fra un mondo, che si move tutto, c’ è
un nescio quid, che non si move.
Nella Relazione degli Archivii Napolitani, che il Soprin-
tendente Francesco Trincherà per ordine del Ministro della
P. Istruzione fece compilare per l’Esposizione di Vienna
nel 1872, a pag. 47 leggesi: « È solo a deplorare, che
l’accesso al medesimo Grande Archivio per un vicoletto
angusto, d’ ordinario ingombro d’immondizie, sporchissimo,
fetidissimo accusi la colpevole incuria del Municipio na-
politano, massime di quanti ne furono a capo dal 1860
in sino ad oggi. Niun nostro reclamo, ninna nostra rac-
comandazione, niuna nostra preghiera potè finora scuotere
la sua inerzia, o la sua indifferenza, perchè una buona
volta badasse al decoro di questo sontuoso monumento
che è l’Archivio... ».
Oggi la condizione delle cose non è affatto mutata.
Tre avvenimenti mi ricordo, i quali per poco mutarono
l’ordinaria vita del chiassuolo: il ministro de Petris, buon’a¬
nima, sulla fine della vita e del potere visitò l’Archivio e
 
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