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Napoli nobilissima — 3.1894

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i88

NAPOLI NOBILISSIMA

a) Americo Vespucci; b) Lucrezia; c) Vergine col Bambino cui preme
col dito il labbro inferiore; d) uomo a mezza figura (p. 4^4 x 3%);
e) Santa Chiara; /) SS. Annunziata; g) Vergine col Bambino ed un
angelo; /?) due fanciulli a mezza figura che ridono; z) la Santa Fa-
miglia (p. 1% x 1%); 0 busto di un fanciullo; m) ritratto virile a
mezza figura;/?) ritratto di giovine donna; o) Santa Famiglia; p) Parma
sotto le sembianze di Pallade che abbraccia Alessandro Farnese; q) Cri-
stoforo Colombo. Gli altri o si erano nascosti sotto la generica deno-
minazione di scuola di Parma, scuola del Parmigianino e sotto altri
nomi, o si eran rifugiati nello scarto. Erano ancora esposte le due
grandi tele dell’inventario Farnese del 1708 assegnate al Mazzola:
a) figura di uomo nudo con barba bianca e drappo rosso, con mar-
tello nella destra e nella sinistra bilance; b) uomo in piedi con barba
bianca e nella destra un compasso in atto di misurare una colonna.
Indicate nel '21 con la denominazione di figure simboliche del Mazzola,
avevano nel '52 preso il nome di Girolamo ed erano passate ad in-
dicare Pitagora e Archimede. E vi erano inoltre, più che oggi non
sieno attribuiti al Parmigianino, due ritratti. Il primo: a) uomo a
mezza figura (n. 94 dell’inv. *52) va ora con la denominazione di
« Ritratto di un Principe di casa Farnese » ed è attribuito a Leandro
da Ponte detto il Bussano (n. 40 della Sala delle Scuole diverse)-, l’altro,
m), troviamo indicato come un quadro da passarsi allo scarto nel no-
tamente per numeri fatto da Demetrio Salazaro, da Michele De Na-
poli ed Antonio Franchi intorno al 1866.
Frattanto il nome di Gerolamo Mazzola non compare ormai nel
'52 se non arbitrariamente per le due figure gigantesche, e, per com-
penso della cernita non del tutto spregevole dei quadri già attribuiti
al Mazzola, vengon fuori alcuni fra gli errori più gravi delle presenti
attribuzioni, come quella dell’Amerigo Vespucci.
Gli appunti da me messi assieme come contributo al prossimo in-
vocato ordinamento, di cui scriverò nel prossimo fascicolo, della nostra
Pinacoteca, m’indurrebbero a seguir tutto il cammino di questi quadri
parmigianini, a incominciar dall’inventario di Ranucci del 1587; ma
andrei troppo lontano dai limiti di una breve nota di aggiunta e, sia pure
pel culto che l’arte di ogni tempo ha in me, anche dai confini da me
assegnati a questo mio contributo. Una cosa importante mi è però
avvenuto di notare, che ci sarà di non iscarso aiuto e certo di sicura
guida nel ripristinamento della Galleria Farnese. Dove i quadri non
siano stati intelaiati in tempo più o men recente, conservano ancora
dietro, sulle tele o le tavole, i numeri in rosso dell’ordinamento far-
nesiano, rispondenti a quelli degli inventari! farnesi e della Descri-
zione « Li numeri che sono sotto al nome dell! autori de’ quadri »
avverte l’autore della Descrizione per alfabeto di cento quadri, che mi
ha avviato nella ricerca, « sono li stessi che sono notati di dietro a
cadauno quadro per il loro regolamento, contrasegno ed autentica ».
10 li ho notati tutti per la scuola parmigiana, lo stesso andrò facendo
per tutti i quadri di questa Pinacoteca; ma, per ora, mi restringerò
ad alcune osservazioni ed aggiunte ai quadri di cui così bellamente
parla il Ricci nella seconda parte del suo articolo. La Sacra famiglia
(s. IV, n. io) è segnata ed attribuita a Girolamo Mazzola nell’inven-
tario del Lolli, ma al Parmigianino correttamente in quello del 1821.
11 Busto di fanciullo che legge (s. IV, 35) è erroneamente chiamato ta-
voletta, mentre è carta tirata su tela, come ben nota l’inventario del
1821 e quello del 1807, che, però, lo dà come del « Parmigianino,
copia di Corregio »; nè può esservi alcun dubbio sull’identificazione sua
col n. 476 della Descrizione e dell’inventario 1708, portando ancora
la tavoletta al suo tergo il n. 476 in rosso. Anche la Santa Famiglia
a tempera conserva dietro la tela il numero 68 dell’inventario Far-
nese: essa non è una delle migliori cose del maestro, ma forse non

a torto il Liberatore, descrivendola nel Museo Borbonico (voi. X, tav. 49),
inchina a crederla in alcune parti non finita. Della Madonna che
muove al riso il bambino i nostri dotti della prima metà del secolo,
delle sottili indagini della critica storica ed estetica non sempre ignari,
seppero perfettamente il significato; e nel Museo Borbonico, la nota
opera che lo descrive, Guglielmo Bechi osservò giudiziosamente che
« di una madre amorosa, che al suo figliolino, come si suol fare dalle
donne volgari, mette il dito in bocca per sollevargli il dolore che gli
fa alle gengive lo spuntare de’ denti, il Parmigianino avesse saputo
fare una Madonna graziosissima che il bambin Gesù con questo atto
vezzeggia ». E l’interpretazione a me pare più giusta di quella che
dà ora il mio chiaro amico, poi che dall’aria seria della madre rico-
nosciutagli da lui, pare assai più ch’ella corra a sollevargli col dito
il dolore delle gengive che ad accertarsi dello spuntar dei dentini,
atto accompagnato sempre nelle madri dal sorriso dell’intima gioia.
Di ritratti assai più ne erano esposti in passato — come ho già
detto — in queste reali gallerie col nome del Parmigianino; ma di
essi parlerò in un’altra mia nota su tutti i quadri che ora si dicono
nel catalogo ufficiale come della scuola Parmigiana. Il Ricci si do-
manda chi, pel ritratto della sala V segnato col n. 12, abbia tirata
fuori la fiaba che rappresenti Amerigo Vespucci. Ma noi non possia-
mo se non indicare il tempo approssimativo in cui compare tal nome,
che trovo per la prima volta in un inventario senza data posteriore
certamente al '27 e anteriore all’inventario 48-52, mai probabilmente
del '33. Nell'inventario del *21 è correttamente descritto « quadro in
tavole alto palmi tre ed once dieci, largo palmi tre ed un quarto. Ri-
tratto di uomo con barba e berretto nero in testa con piuma, seduto,
colla sinistra tiene un libro aperto ed una mezza figura di schiena »
e attribuito al Parmigianino, cui è anche attribuito dall’inventario del
1708, dove però le misure sono br. uno e on. 9 e br. uno e on. 6,
non quelle riportate dal Ricci come dell’inventario 1680. La Descri-
zione del 1725 ha frainteso il primo inventario, e dove quello dice
« Ritratto etc. (e) mezza figura di schiena vestita di verde e rosso »,
riferendola alla mezza figura di schiena che realmente è, oltre la prin-
cipale, nel quadro, ha sostituito erroneamente « ed è vestito di verde
e rosso ». Anche qui è, dietro la tavola, il n. 29 in rosso, rispondente
al farnesiano della Descrizione e dell’inventario Lolli. Il ritratto « cre-
duto dell’amante del gran maestro » e detta l’Antea degl’inventarii
farnesiani meriterebbe forse ancora una lunga trattazione. L’abito suo,
l’aspetto mite e verginale, una certa ingenua goffaggine, io non so se
non potrebbero giustificare una assai diversa spiegazione. In una let-
tera dell’anno 1867, che conservasi in questo archivio, diretta da
Luigi Sanvitale al Senatore Fiorelli trovo scritto che « vi sarebbero
delle ragioni per giudicarlo la imagine di Pellegrina Rossi da San Se-
condo (secolo XVI) »; ma non ho l’agio di approfondir la cosa. L’in-
ventario del ’2i dice invece pudicamente che « è voluto per il ritratto
della Serva del Parmiggianino ». Fuor di dubbio direi, ad ogni modo,
per quanto il restauro possa far credere in alcuna parte il contrario
e l’esecuzione dell’armoniosa e gentile figura, non in tutto perfetta,
giustifichi quel dubbio che « non una pelle di martora ricucita, una
specie (per così dire) di faina imbalsamata con le zampe anteriori
e la testa penzoloni » penda alla bella fanciulla dalla spalla destra,
come afferma il mio valoroso amico; ma una martora viva e vera.
Se anche tutto il resto mostrasse il contrario basterebbe a non per-
mettere il dubbio il movimento della testa e della zampa destra
dell’animale, non penzoloni, ma curva ed in atto chiarissimo di tener
fra le unghie preso il merletto. Essa l’ha introdotta tra il merletto
bianco e l’orlo della manica, il cui pizzo solleva per afferrarvisi, men-
tre spinge innanzi con moto vitale il muso, allungando con linea
 
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