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Napoli nobilissima — 3.1894

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82

NAPOLI NOBILISSIMA

Si erano cavate le fondamenta, e l’attuario per assistere
alla fabbrica del teatro era stato già nominato dall’Udi-
tore generale d. Ferdinando Dattilo « in persona dell’at-
« tuario di questa Regia Udienza generale dell’ Esercito
« Francesco Catalano, come uno dei più antichi e molto
« pratico di tale incarico (*) »; e l’oracolo sovrano tar-
dava a rispondere. Finalmente si fece vivo il ministro e
notificò alla sopraintendenza del « Fondo dei lucri » che
il re intorno ai quesiti proposti aveva risoluto: — « Che
« non vuole che si faccia veruna solennità nell’incomin-
« ciarsi la fabbrica; Che il teatro si chiami Teatro del fondo
« dei lucri, e che i due palchetti sieno di seconda fila la-
« terali alla dritta (1 2 3 4) ».
Pare che S. M. avesse avuto il presentimento che l’o¬
pera non sarebbe riuscita buona, dopo che vide e studiò
i disegni e la pianta dell’edificio.
Il Securo era di dura cervice, e si ostinò di costruire
il teatro in forma quadrata all’esterno, e sferica nell’ in-
terno, e dovette così incunearlo in mezzo a due vicoli;
l’uno dal lato d’oriente stretto e contorto, che finisce
all’estremo con un supportico, dal quale si esce nella con-
trada di Piazza Francese, e l’altro dal lato opposto pure
con supportico lungo e basso (3), e sul quale s’innalza un
palazzo a varii piani adibito all’amministrazione del teatro,
ed attaccato da un lato allo stesso, pochi passi dalla porta
laterale, e dall’altro con l’edificio, dove fu allogata la Posta
delle lettere (4).

(1) Teatri, c. id. id.
(2) Teatri, c. id. id.
(3) Avanti questo supportico si veggono tre o quattro scrivani pub-
blici, prima erano più; e come quelli del vico II Gravina, e dei pila-
stri del portico di S. Carlo fanno, agl’ignoranti, per poca moneta, da
segretarii galanti, o commerciali, secondo il sesso, che si avvale dei
lumi e delle eleganze della loro bassa letteratura.
(4) Fu in questo luogo trasferita, dopo che s’incendiò il locale,
dove prima esisteva all’angolo della strada di S. Brigida.
In quel tempo la Posta riceveva le lettere il mercoledì ed il sa-
bato, sull’imbrunire, raccolte dai portalettere dalle cassette apposte
in tutti i quartieri in alcuni luoghi, e specialmente presso le botteghe
dei tabaccai, e riunite poi a quelle ch’erano gittate fino a due ore di
notte nei detti giorni di mercoledì e sabato nella buca grande dell’e¬
dificio, venivano divise per provincie, distretti, comuni e villaggi dove
erano dirette.
L’amministrazione fu allora diligentemente ordinata in varie offi-
cine, tra le altre quelle per l’assicurazione e l’affrancamento di lettere
ed altri oggetti, che i negozianti ed i privati cittadini dovevano man-
dare all'indirizzo sicuro, e senza spesa del ricevente. Un’altra officina
accettava i pacchi, le casse, le lettere ed altre cose che venivano dal-
l’estero e dalle provincie del regno dirette a persone dimoranti in
città o altrove, ed erano distribuite da un numero di corrieri all’uopo
istituiti. Questo servizio si chiamava procaccio.
Nel cortile di quest’edificio si ventilò il progetto di far estrarre i
numeri del lotto, ma fu conchiuso « dopo matura riflessione di do-
versi continuare a far l’estrazione nel salone della Regia Camera ».
E le ragioni furono due: « l’una perchè essendo i Giocatori persone
« ignoranti, incapaci e prevenute da mille pregiudizii e superstizioni,
« potrebbero facilmente attribuire alla mutazione del luogo la perdita,
« che forse venissero a soffrire; e l’altra, perchè essendo in numero

I fatti diedero poi ragione al re, perchè l’opera menata
a termine da un capo fabbricatore, Francesco Cocozza,
fornita di piperni lavorati da abili scalpellini, sotto la di-
rezione di un buon maestro, Francesco Scalese, servita
per le opere in ferro dall’officina ferraria di Giuseppe Ce-
mentano, abbellita di dorature da Antonio Pittarella (0, e
diretta, come si sa, dall’ ingegnere Securo, di tutto respon-
sabile « con piena libertà d’immaginare ed eseguire a suo
« modo, con un sito sgombro d’ogni intorno d’ostacoli
« e di abitazioni » riuscì un teatro che presentava « una
« facciata pesantissima » un teatro « non ampio (pur
« essendo per grandezza citato il secondo di Napoli), non
« magnifico, non comodo a vedere ed esser visto, non
« armonico nell’udire; mentre la più eccellente musica
« perdeva due terzi della nativa squisitezza, anche per
« gl’ interpilastri che dividono ciascun palchetto, e per
« tanti intagli e centinature » (2).
Ma pur sordo ed adorno di fronzoli, gingilli e ghiri-
gori dorati, con lucidi specchi e doppie lumiere, con uno
scenario eseguito dai migliori artisti scenografi del S. Carlo,
ed un telone dipinto da Crescenzo La Gamba, fu aperto
al pubblico, dopo un anno di lavoro incessante.
In un giornale dell’epoca, il cronista, nelle notizie in-
terne, annunzia ai suoi lettori questa apertura, e dopo aver
fatto sapere che fu di sabato, e proprio il giorno 31 lu-
glio dell’anno 1779, non omette di dire che era « fabbri-
« cato dirimpetto alla porta del Castelnuovo » (veramente
un po’ più lontano da questa) « a spese del fondo della
« separazione »; tinge nell’acqua di rosa la penna di oca
e continua: « si è meritato il nome di uno dei più belli
« che si vedano in Italia per la struttura, per la vaghezza
« e per l’eccellente disegno. Questa prima apertura fu
« onorata dalla presenza delle Maestà Loro e della prima
« nobiltà. Il dramma giocoso posto in scena è intitolato
« L’infedeltà fedele, opera del signor Giovambattista Lo-
« renzi, che in questo genere di componimenti si è sa-
« puto distinguere. La musica è del maestro di cappella
« Cimarosa, ed ha avuto tutto l’incontro. Lo spettacolo
« riesce bellissimo in tutte le parti e per le decorazioni,
« e per l’abilità dei cantanti » (3), dei quali tace i nomi,

« ben grande le persone che giocano, et intervengono nel tempo del-
« l’estrazione, e per la maggior parte della plebe più bassa, si è sti-
« mato sempre a proposito, e per evitare ogni disturbo, di restringerla
« in quel salone, dove intervengono ancora molti Giudici della G. C.
« della Vicaria, coi loro soldati, col rimanere gli altri soldati nel cor-
ee tile, di tal maniera che rimangono quasi imprigionati ».
Per altre curiosità sull'argomento v. l’articolo del mio amico Giu-
seppe Ceci, La Posta vecchia, in 'Napoli nobilissima, voi. I, p. 189.
(1) Benedetto Croce, I teatri, ecc., p. c. in nota.
(2) Napoli-Signorelli, Storia critica dei teatri, Napoli, t. VI, p.
249-50.
(3) Gazzetta civica, n. 61.
 
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