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Napoli nobilissima — 3.1894

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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visse nella nostra città. Molte strade, case, chiese ed edificii varii, ri-
cordano ancora i bisogni materiali e spirituali di questa colonia stra-
niera.
Chi voglia sapere le opere pubbliche compiute da ciascun viceré,
può guardare i panegirici del Parrino, e ve le troverà, per ciascun
d’essi, abbastanza esattamente indicate (1). Parecchie di queste opere
conservano ancora i nomi dei loro promotori. Così strada di Toledo
si chiama ancora la grande arteria centrale di Napoli, dovuta a D. Pie-
tro di Toledo; e il battesimo, ormai ventiquattrenne, di via Roma, non
è prevalso contro l’antico nome. Fontana Medina — e la fontana non
c’è più — si chiama la strada che da piazza Municipio mena a S. Giu-
seppe, in memoria del viceré Medina las Torres; e, in memoria dello
stesso, Porta Medina, il luogo dove, fin oltre il 1860, è stata la porta
sostituita nel 1640 all’antico Pertuso. Fort’Alba, dal viceré D. Antonio
Alvarez de Toledo, Duca d’Alba (1622), si chiama quella porta che
volgarmente è indicata col nome di Porta Sciuscella. Via e piazza Conte
Olivares quelle vie presso il Mandracchio, dovute al viceré D. Errico
di Gusman, Conte d’Olivares, e Porta Olivares si diceva la porta poi
abbattuta con le altre che davano sulla Marina.
Vari altri nomi, derivati dai viceré spagnuoli, caddero presto in
disuso. Strada di Ribera o di Alcalà si disse un tempo la via poi di
Monteoliveto, fatta a concorrenza di quella di Toledo dal viceré Don
Parafan de Ribera Duca d’Alcalà (2). Strada di Medinaceli, il passaggio
alberato di Ghiaia, fatto dal penultimo viceré spagnuolo D. Luigi de la
Cerda Duca di Medinaceli, e poi sostituito dalla villa reale (3); Ponte
Monterey, il Ponte di Ghiaia; via Gusmana, la calata del Gigante; via
Girono, la Cupa di S. Antonio Abate, dal primo Duca di Ossuna, vi-
ceré di Napoli (4).
La popolazione spagnuola prese posto principalmente nei nuovi edi-
fizii sorti da uno dei lati della nuova via Toledo, nel luogo che prima
si diceva dei Celsi. Aperta quella via e costruito il palazzo reale, « e
« per aderire al gusto del Viceré — diceva il Celano — e per l’amenità
« e salubrità del sito e per la comodità del negozio, standosi vicino
« al palazzo, dall’una parte e dall’altra si cominciò ad abitare da
« diversi spagnuoli e ministri ». Il Conte di Castrovillari Spinelli, pro-
prietario del suolo, lo concedette via via a censo per le nuove costru-
zioni (5). E il tratto di Toledo delimitato da S. Anna di Palazzo e dai
vichi di Magnocavallo si disse Quartiere spagnuolo (6).
« Habitan los espanoles » — scrive sui principi! del secolo XVII
uno scrittore spagnuolo — « la parte mejor de la ciudad, à quien
« llaman cuartel, por vivir todos dentro de sus limites. Partecipa de
« calles anckas, de suntuosos templos y deleitosos jardines » (7).
Ed ivi presero dimora i soldati spagnuoli di presidio a Napoli. An-
tiche statistiche ci danno un numero di cinque a seimila soldati spa-
gnuoli a Napoli, sparsi nelle galee, nei quartieri, nelle fortezze (8).

(1) Citerò a questo proposito un libro spagnuolo, ignoto presso di noi,
ch’è indicato nel Gallardo (Ensayo de una biblioteca de libros espanoles
raros ó curiosos, II, 802): Libro en que se trota de todas los ceremonias
acostumbradas hacer en el palacio reai del reino de Napoles, y del gobierno,
edificios y memorias hechos por los Vireyes, desde el gran capitanà està
parte. Dirigido al limo y Excmo Sr. Don Antonio Alvarez de Toledo, duque
de Alba. Puesto en luz y en su punto por Miguel Diez de Aux, contino
y entretenido por S. M. el ano 1622 (con sette illustrazioni).
(2) Celano, ed. Chiarini, III, 19, 311.
(3) Cfr. Croce, La villa di Chiaia, in Napoli nobilissima, I, 10.
(4) Celano, ed. Chiarini, V, 518. Essendo stata fatta ad istigazione della
viceregina D. Isabella della Queva, l’iscrizione che vi fu messa nel 1586
diceva: « clara, plana ac tuta reddita, mutato nomine non Cupa jam, sed
« Queva Girono dignissimum, videlicet, splendidissimum ac tutissimum
« antrum nuncupatur ».
(5) Celano, ed Chiarini, IV, 636.
(6) Caeasso, 0. c., p. 43-4.
(7) Cr. Suarez de Figueroa, nel Pasajero, 1617 (Vedi Docum. cit., t.
XXII, p. 25).
(8) Capasso, o. c., pp. 43-4, 46.

Lo stesso scrittore spagnuolo c’informa: « Contiene el tercio de
« 24 à 30 companias. Vienen algunas à servir en Napoles cuando las
« llaman: las demàs ó alojan por el reino ó estan por presidios » (1).
Ma, parlandosi di quartieri, non bisogna pensare a qualche grande
edificio nel quale i soldati fossero raccolti e sottomessi a rigorosa di-
sciplina come ai tempi nostri. I soldati spagnuoli abitavano sparsi per
le case... delle donne che erano accorse numerose in quel luogo.
Ognun sa come le meretrici fossero un ingrediente ordinario degli
eserciti del secolo XVI, che si movevano con tanti fanti, tanti cavalli
tanta artiglieria, e tante centinaia di meretrici. Con poca ripugnanza
dunque si vedevano coabitare, nel cosiddetto quartiere spagnuolo, sol-
dati e meretrici.
Non che mancassero inconvenienti, che consistevano principalmente
nelle risse che accadevano frequenti tra spagnuoli e napoletani, e nella
vita sfrenata che si conduceva tra soldatacci e donnacce (2). Sorse al-
lora il nome obbrobrioso di donne dei quartieri, e anche ora, dopo pa-
recchi secoli, da che i soldati spagnuoli furono tolti da quel luogo,
esso conserva abitudini e fama non belle, e conserva il nome di quar-
tieri: ncopp'i quartiere, come si dice in dialetto.
Il viceré Conte d’Ognatte, nel 1651, dopo la recente rivoluzione
e la repressione fatta dalle soldatesche spagnuole, credette necessario
di porre rimedio a quella condizione di cose. Egli trasportò i soldati
spagnuoli a Pizzofalcone, adattando a quartiere la casa del Marchese
di Trevico da lui comprata. Ed ottenne così anche gli effetti di agevo-
lare la vita del soldato assicurandogli un’abitazione gratuita, e di for-
tificare l’importante posizione di Pizzofalcone (3). Il quartiere fu am-
pliato nel 1668 dal viceré Don Pietro d’Aragona. Ma, a sentire qual-
che maledico contemporaneo, lo spettacolo che i soldati spagnuoli of-
frivano in quel luogo, era tutt’altro che dignitoso: i lodatori di Don
Pietro dicevano ch’egli li aveva ridotti come tanti romiti religiosi-, ma —
soggiungeva il critico Isolani —- religiosi mendicanti, perchè « con gli
« abiti tutti laceri e mezzo ignudi, chiedon supplicando l’elemosina a
« chiunque per di là s’incontra .... » (4).
La collina di Pizzofalcone e i contorni ritennero il nome di quartiere
spagnuolo fin nella seconda metà del secolo XVIII, quando si trovano
indicati i seguenti confini del Quartiere spagnolo : « Dalla Fontana di
« Palazzo a dirittura fino al vicolo, che va nella Porta Garrese di
« Monte Calvario, tira fino a Suor Orsola, volta per S. Carlo delle
« Mortelle, e per quanto si contiene dentro la città scende nella Porta
« di Chiaia, va fino a Pizzofalcone, donde, per S. Maria della Catena,
« torna nella Fontana, dalla quale partì » (5).
E, giacché sono a parlare dei soldati, ricorderò che innanzi Castel-
nuovo, presso la Fontana detta dei cavalli marini, assisteva sempre
una compagnia di soldati spagnuoli, che si mutava ogni sera, e il
luogo perciò si diceva la Garitta della guardia spagnuola (6).
Lungo la via di Toledo e nei contorni, erano le case e i palazzi
di parecchi illustri personaggi spagnuoli, di quelli che, per lunghi uf-
fici esercitati e per parentele contratte, avevano preso stabile dimora
nella nostra città.

(1) Suarez de Figueroa, l. c.
(2) Celano, IV, 543-4. Il Suarez de Figueroa, l. c., scrive dei soldati spa-
gnuoli: «Los cuerdos aléjanse pocas veces del cuartel, porque de internasse
« muello los espanoles en la ciudad, se han derivado infinitas desgracias ».
(3) Celano, l. c.
(4) Ceci, Pizzofalcone in Napoli nobilissima, I, 131.
(5) Vedi a p. 233 del libro: Istruzioni per lo governo del Monte della Mise-
ricordia ecc. ecc. e coll’aggiunta delle ulteriori pie disposizioni sopravvenute
sin oggi per tutto l’anno 1776. Dal Rev. D. Antonino Venuto, attuai segre-
tario del Monte stesso. In Napoli, 1777, presso Gennaro Migliaccio. Debbo
questa citazione all’amico Cav. Lorenzo Salazar.
(6) Celano, ed. Chiarini, IV, 399.
 
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